In questi tempi i bambini sono spesso classificati come nativi digitali, si potrebbe pensare che dovrebbero essere in grado di padroneggiare l’operazione di qualsiasi cosa con un pulsante “on”. Tuttavia non è proprio quello che accade. Cerchiamo di scoprire insieme cosa comporta l’uso sconsiderato della tecnologia da parte dei bambini.
IN BREVE
Ipotizzate di uscire di casa e voler andare al parco. Quanti bambini vedete che giocano all’aria aperta? Pochi. Se portaste un bambino (magari vostro fratello o sorella minore) in campagna siete sicuri che non si annoierebbe? Probabilmente si. Si stuferebbe. Scendere in cortile a giocare a nascondino? Manco a parlarne. Una noia. Robe da vecchi, direbbero. La loro giornata ideale? Tutto il giorno in casa a divertirsi davanti a pc, tablet, magari PlayStation e perché no, mettiamoci pure lo smartphone.
I problemi del troppo tempo passato nel mondo digitale
Il termine per indicare questa nuova generazione è nativi digitali. Fu coniato da Marc Prensky agli inizi degli anni 2000 e aveva lo scopo di spingere gli educatori a pensare in modo diverso sull’insegnamento e l’apprendimento. Spesso il termine nativi digitali è stato criticato e giudicato poco rispettoso. Il senso però non è quello di dare un giudizio, ma stimolare una diversa educazioni per i bambini nati nell’era del digitale. È oggettivo che tempi sono cambiati e che la tecnologia digitale ha preso il sopravvento. Ma sui bambini che effetto ha? Come bisogna “somministrarla”?
Come in tutte le cose bisogna usare raziocinio. Ѐ fondamentale il ruolo dei genitori, i quali devono dare il buon esempio. Occorre quindi sensibilizzarli, soprattutto su quali possono essere le conseguenze di un cattivo utilizzo della tecnologia. Se, utilizzata impropriamente, può provocare seri danni.
Nei primi anni di vita, l’interazione con le persone è fondamentale per un corretto sviluppo dei nostri “piccoli”. Pertanto deve prevalere rispetto all’interazione con l’elettronica. Ammaliati da pc, videogames e quant’altro i bambini passano le loro giornate in modo sedentario. Ne derivano problemi come ad esempio l’obesità. Il tempo dedicato allo sport e all’attività fisica è sempre minore. Stando in casa, da soli, i nostri bimbi a lungo andare avranno difficoltà a relazionarsi con i coetanei.
La Kaiser Family Foundation (un’organizzazione no-profit che si occupa di temi legati alla salute) ha effettuato uno studio da cui emergono dati preoccupanti. I bambini americani passano mediamente quasi 8 ore davanti a uno schermo. Un’adolescente, addirittura, può arrivare a passarne fino a 11. Sono dati che fanno riflettere, rispetto allo stato della società attuale e della sua influenza sui nativi digitali. Però ci possono essere considerazioni positive riguardo uso spropositato della tecnologia dei ragazzi: potrebbe comportare ad un accrescimento delle competenze informatiche e tecnologiche.
Nativi digitali: nuovi esperti della tecnologia?
Si è discusso molto su come sia nata una nuova generazione di bambini nati con l’accesso alla tecnologia, e che le loro abilità tecnologiche sarebbero tali che l’educazione tradizionale avrebbe bisogno di riforme per adattarla. Le prove della ricerca stanno ora crescendo per confermare che le capacità superiori dei nativi digitali non sono di fatto una realtà. Un rapporto di Change the Equation (un gruppo non profit statunitense che sostiene l’educazione STEM) ha recentemente riportato che il 58% degli americani di età compresa tra 16 e 34 anni ha scarse competenze quando si tratta di risolvere problemi usando la tecnologia. E per i più piccoli? I risultati sono i medesimi. La maggior parte dei bambini non sviluppa una passione per i principi di funzionamento della tecnologia di cui fanno uso. Non possiamo supporre che i giovani abbiano magicamente assorbito la capacità di utilizzare la tecnologia a supporto di compiti complessi solo perché passano molto tempo davanti a uno schermo. Di fatto non possiamo contare sulla non-pedagogia dell’osmosi. Ciò significa che l’insegnamento in classe (dalla scuola materna all’università) dovrebbe concentrarsi sulla risoluzione dei problemi con la tecnologia (piuttosto che concentrarsi sulla funzionalità del software, ad esempio, mostrare ai bambini come utilizzare la funzione “corsivo” in un elaboratore di testi).
Per regolare il rapporto tra bambini e tecnologia può bastare il solo cambiamento del modello di istruzione? Certo che no. La scuola e la famiglia devono remare nella stessa direzione se si vuole contrastare un minimo un eventuale sviluppo negativo della società. Servirebbe a poco se ai bambini venisse insegnato una visione più approfondita della tecnologia e li si lasciasse giocare sempre con gli smartphone mentre si cena con i parenti.
Un ulteriore problema è quello della quantità delle informazioni a oggi giorni si può accedere. Da quando hanno pochi anni di vita, i bambini, sono bombardati da informazioni di ogni tipo provenienti dal web e non solo; mancando però del vero apprendimento necessario per sviluppare capacità. Al “Global Achievement Gap”, Tony Wagner (2008) citò Mike Summers di Dell Computers: “C’è così tanta informazione disponibile che è quasi troppa, e se le persone non sono pronte a elaborare le informazioni in modo efficace, quasi le congela nei loro passi “. Questa è la posizione in cui i nostri studenti si trovano; la ricerca, per sua natura, richiede agli studenti di setacciare i dati, impiegando del tempo per elaborare ciò che è e non è rilevante. Quelli che sono oggni i nativi digitali, domani saranno ragazzi e studenti che dovranno ricercare a loro volta nuove informazioni. Scavare attraverso questa miriade di informazioni richiede una tecnologia diversa rispetto a una tecnologia semplice e intuitiva. Questo spesso diminuisce il loro senso di efficienza quando ci si avvicina a un impegnativo compito tecnologico o di ricerca.
Quali sono i rischi e cosa si può fare?
Molti studi internazionali o nazionali, come quelli dell’Istat, provano che l’utilizzo della tecnologia può causare una vera e proprio dipendenza da internet. Il direttore Dipartimento Neuroscienz e salute mentale dell’ASST FBF-Sacco di Milano, Claudio Mencacci afferma che circa 300mila giovani tra i 12 e i 25 anni sviluppa una dipendenza da internet. A questo bisogna aggiungere la dipendenza dai giochi offline e dai videogiochi. Queste dipendenze causano dei veri e propri problemi per la salute. Tra le avvertenze nei Legal Documents della nota console PlayStation è scritto chiaramente: i soggetti sensibili a luci intermittenti o a configurazioni potrebbero essere soggetti a crisi epilettiche.
Alla luce delle ricerche citate nel paragrafo precedente, il rischio è quindi quello di crescere bambini sottoposti a stimoli stressanti per il cervello, estraniati dalla vita reale e fin troppo sedentari, senza neanche acquisire alcuna abilità o conoscenza utile. Forse non sono solo nativi digitali, ma è la società a renderli così legati alla tecnologia.
Viene da chiedersi: come bisogna comportarsi? Come gestire la tecnologia per bambini? Se precedentemente si aveva un approccio molto rigido rispetto alla tecnologia e all’influenza che doveva avere sui bambini, ora le cose sono cambiate. Una delle più importanti istituzioni in materia di salute dei bambini (l’ AAP: American Academy of Pediatrics) sostiene che non conta tanto il tempo, quanto la qualità di quello che i bambini fanno davanti a uno schermo.
Gli studiosi si sono resi conto che l’utilizzo della tecnologia non va frenato. Il loro compito deve essere quello di indirizzare i genitori e insegnare loro ad usare questo strumento in modo corretto. Non esiste una “dose giornaliera consigliata”. Quella, semmai la possono decidere i genitori. Deve essere accompagnata dall’insegnamento dei valori e di quelle cose importanti che permettano il corretto sviluppo dei bambini.
Ci si può sempre rilassare al pc o davanti alla TV con i propri figli, anche dopo una partita di pallone, un bel giro in bici o una chiacchierata. Non trovate?
Fonte
- Daily Media Use Among Children and Teens Up Dramatically From Five Years Ago
Kaiser Family Foundation - The High Cost of Low Technology Skills in the U.S. – and What We Can Do About It
Change the Equation