Nel cuore della Tanzania, più precisamene nel Tarangire National Park vive Omo, una giraffa femmina di 15 mesi dal colore bianco come quello di una palla di neve, la sua criniera è rosso-ruggine, il ciuffo della sua coda è nero e gli occhi scuri sono orlati da lunghe ciglia pallide.
Come in altri mammiferi, ad esempio nel caso di leoni e tigri dal manto bianco, Omo soffre di Leucismo, che è una malformazione genetica dovuto a un gene, recessivo nella maggior parte dei casi, che conferisce appunto il colore bianco alla pelliccia. Si tratta di una forma di albinismo incompleto, poiché gli occhi tengono la pigmentazione normale.
Il leucismo è causato dall’assenza di “tirosinasi” , che è un enzima necessario alla sintesi della melanina, la responsabile del colore della pelle.
Uno studioso che segue l’esemplare, il dottor Derek Lee del Wild Nature Institute, ci spiega quanto sia difficile il primo anno di vita delle giraffe, sottoposte all’attacco dei predatori, che tendenzialmente colpiscono di più i cuccioli. Ora già è difficile sopravvivere per un esemplare normale, figuriamoci per Omo, che tuttavia sta riuscendo a resistere fino ad oggi, nonostante le difficoltà che incontra nel mimetizzarsi, soprattutto con colori così inusuali per la sua specie, anche se gli animali leucistici hanno qualche punto di forza, ad esempio sono più resistenti al calore rispetto agli esemplari normali.
Essendo diventata una vera e propria web-star, sui social network molti si chiedono se a causa della sua particolarità genetica, Omo sia stata esclusa da altri esemplari di giraffa.
Niente di tutto ciò anzi, Omo è riuscita ad avere un’integrazione perfetta in un branco di esemplari suoi simili con cui continua tuttora la convivenza.
Secondo Lee, la Natura è una vera maestra in materia di tolleranza e accettazione di chi è diverso.
Ad ogni modo la vita di questo esemplare è ancora a rischio, come spiega uno studio demografico del 2011, il quale ha dimostrato che il numero delle giraffe è drasticamente calato a causa delle trasformazioni dell’habitat. Per monitorare tutto ciò, Lee insieme alla moglie, hanno sviluppato il “Project Giraffe”, servendosi di un software simile a quelli utilizzati per il riconoscimento facciale e per le impronte digitali, monitorando i piccoli esemplari della riserva del parco, grazie al loro manto maculato. In questo modo sono riusciti a documentare nascite, decessi e movimenti di 2.100 esemplari su un territorio di 4.000 chilometri quadrati comprendente parchi nazionali, allevamenti e Wildlife Ranch turistici, pascoli del bestiame dei Masai e campi agricoli. I due coniugi stanno quindi studiando le giraffe in un territorio in cui molte persone vivono a stretto contatto con esse, e così facendo riescono a carpire dove questi animali vivano meglio, dove invece ci sono problemi e perché, in modo tale da proteggere e collegare le aree più importanti per la sopravvivenza delle giraffe. Lungo le loro escursioni, che sono 6 volte all’anno, hanno scovato un numero di esemplari che si aggira circa sui 3.000 e che la maggior parte vive nell’area del Tarangire. Con questo metodo, Lee e sua moglie, sperano di prevenire il rischio d’estinzione della formidabile specie a cui appartiene Omo.
Un altro rischio non di poco conto deriva dal bracconaggio, ma il dottor Lee ricorda che “In Tanzania è illegale uccidere giraffe, in quanto sono l’animale nazionale”, purtroppo però la razzia di carne di questi esemplari in quelle zone è molto frequente. Per fortuna Omo vive in un’area protetta del parco nazionale dandole una probabilità più alta di sopravvivenza grazie alle opere di anti-bracconaggio. Lee si augura che grazie a Omo si possa conoscere a livello globale i problemi che affrontano, anche a causa della mano dell’uomo, questi animali.
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