La marijuana italiana a scopo medico sarà prodotta dall’esercito. Al giorno d’oggi è sempre più consueto sentir parlare di legalizzazione ma qual è il confine tra terapia e droga?
IN BREVE
La marijuana italiana e gli effetti della cannabis legalizzati in Italia sono un miraggio o realtà? Sia in Europa (Francia, Germania, Spagna) che oltreoceano (in alcuni Stati degli Usa), sono stati presi provvedimenti per regolamentare e decriminalizzare l’uso della marijuana per scopi medici, o per scopo ricreativo. Tuttavia è ancora acceso il dibattito tra chi considera gli effetti della marijuana un ausilio medico efficace e chi invece ne ritiene i benefici limitati, con il rischio che anziché utilizzarla come farmaco, se ne faciliti l’uso come droga.
A sostegno della prima tesi arrivano a supporto dati clinici che affermano come la cannabis possa essere un rimedio utile nel trattamento di alcune forme di dolore cronico e della spasticità che deriva da malattie o traumi del sistema nervoso. Anche Paolo Poli, direttore dell’Unità operativa di terapia del dolore all’Azienda ospedaliero-universitaria pisana (Aoup), insieme ai suoi collaboratori, ha cominciato a somministrarla a circa 600 pazienti e a riscontrare reazioni positive: nell’ambulatorio dedicato presso l’Aoup, la cannabis medica di provenienza olandese viene ad oggi fornita in diverse regioni italiane con pazienti affetti da “dolori cronici” di varia natura dove altre terapie hanno dimostrato scarsa efficacia: dalla spasticità fino alla fibromialgia, ossia una forma di dolore muscolare accusato specialmente dalle donne.
Per essere precisi, in Italia l’uso terapeutico della cannabis è previsto dal 2007, ma il problema per i pazienti sta nella scarsa reperibilità dei medicinali, a causa della burocrazia richiesta e dei costi, infatti i farmaci a base di cannabis devono essere importati dall’estero e la spesa, fino a un decreto legge del 2013, era interamente a carico del paziente.
Adesso però i medici di base possono prescriverli, e undici regioni (Toscana, Puglia, Veneto, Liguria, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Sicilia, Umbria, Basilicata, Emilia-Romagna) hanno introdotto leggi interne su questi farmaci, spostando i costi sul servizio sanitario regionale per alcune patologie.
Da questo contesto favorevole si è potuti arrivare a una produzione made in Italy della cannabis medicinale, affidandola all’officina farmaceutica militare di Firenze. Lo scopo principale è risparmiare sui costi d’importazione e “centralizzare” la produzione.
Nello stabilimento i vegetali oggetto di studio sono un’ottantina di talèe di canapa che hanno dato il via alla prima coltivazione italiana della marijuana per uso medicinale. Un compito delicato sul piano scientifico, legale ed economico e quindi affidato dai ministeri della Salute e della Difesa a un organismo militare.
Le piante appartengono a una linea genetica selezionata e composta da membri femmine, le uniche in grado di produrre fiori. In un ambiente controllato la cannabis viene forzata a sviluppare un ciclo completo in 90-120 giorni, in modo tale da produrre a regime tre raccolti l’anno. Ora la fase sperimentale è appena terminata e a breve partirà la coltivazione su più larga scala per la produzione effettiva in serre del tutto simili a quelle del laboratorio militare.
A scopo ricreativo la marijuana esiste in due forme diverse: la foglia della pianta femmina che viene solitamente fumata o utilizzata per preparare alimenti e la resina (hashish), a cui più facilmente vengono aggiunti additivi chimici per aumentarne il peso (e quindi il costo) nonostante i deleteri effetti sulla salute. Per produrre i farmaci di marijuana italiana, la parte della pianta utilizzata è l’infiorescenza che viene essiccata, setacciata e macinata, mentre tutto il resto, ossia foglie e fusto, viene smaltito per poi avere, dopo qualche mese, barattolini di circa cinque grammi nelle farmacie, da confezionarsi poi in cartine o cialde nelle dosi richieste per ogni paziente.
Probabilmente il tipo di prodotto utilizzato sarà la Cannabis SM2 e il farmaco da esso ricavato verrà nominato Cannabis SM19.
La prima fase della coltivazione riguarderà la varietà di cannabis che contiene due principi attivi di interesse medico, il tetraidrocannabinolo (THC), la sostanza che dà gli effetti psicotropi e il cannabidiolo. Successivamente, si passerà alla seconda varietà, contenente solo tetraidrocannabinolo a una concentrazione di circa il venti per cento sul peso. Quindi sarà più controllata a differenza della marijuana da strada, dove le concentrazioni dei principi attivi possono essere anche molto diverse e imprevedibili.
Come agisce la cannabis sul sistema nervoso?
Non mancano gli studiosi convinti che la cannabis debba essere riscattata dal momento che, per molto tempo, essa è stata utilizzata come medicinale. Il professore Lester Grinspoon infatti, psichiatra docente emerito dell’Università di Harvard, è convinto che alcuni tipi di marijuana (come la cannabis italiana), siano molto meno tossici di altre sostanze.
Da un punto di vista prettamente medico, i cannabinoidi agiscono a livello di specifici recettori presenti sia nel sistema nervoso centrale, a livello del talamo e della corteccia (recettori CB1), sia nelle cellule del sistema immunitarie (recettori CB2). Interagendo con i recettori CB1 la cannabis inibisce il rilascio centrale di neurotrasmettitori eccitatori come il glutammato, mentre a livello periferico inibiscono il rilascio di citochine proinfiammatorie, sopprimendo così lo stimolo doloroso.
La marijuana però, come ben si sa, è anche una sostanza psicoattiva che determina un temporaneo stato di benessere e relax. Da un punto di vista chimico la molecola maggiormente rappresentata è il THC ed è proprio questa che dà i classici effetti della cannabis; mentre il cannabidiolo (CBD) è il composto che induce rilassamento. Recenti studi hanno dimostrato che la marijuana non può essere considerata una sostanza d’abuso dal momento che la tossicità del THC è molto bassa, anche se questo molto probabilmente dipende dal fatto che le modalità di assunzione della cannabis (fumo o alimenti) ne inducono un assorbimento troppo basso per determinare intossicazione.
Le alte temperature inducono la decarbossilizzazione dell’acido tetraidrocannabinoico in THC, in modo tale da renderlo più assimilabile. Da un punto di vista sociale la marijuana è meno pericolosa rispetto all’alcol, alle benzodiazepine o ad altre droghe, dal momento che essa induce uno stato di rilassamento mentale e, nella maggior parte dei casi, non scatena aggressività o violenza nel soggetto che ne fa uso.
Il 2018 potrebbe essere l’anno di svolta per la legalizzazione della marijuana italiana e questo non può non aprire il dibattito su quanto sia giusto legittimare una sostanza che comunque determina un’alterazione percettiva della realtà avendo effetti attivi a livello psichico e psicologico. Come ogni cosa la legalizzazione dovrebbe essere seguita da una regolamentazione ben definita e facilmente applicabile.
Fonte
- Neuro-scientific enlightenment in Scotland?
The Lancet Neurology - Neurodevelopmental toxicity: still more questions than answers
The Lancet Neurology