L’innovazione degli smartphone, il progresso e la scienza ci hanno portato verso rotte un tempo considerate pura fantasia. Ma possediamo gli strumenti adatti per poter correttamente utilizzare ciò che la tecnologia apporta nelle nostre vite?
La professoressa Sherry Turkle del MIT, che si occupa da anni del rapporto tra cervello, identità e nuove tecnologie, ha recentemente pubblicato la sua ultima ricerca nel libro Reclaiming Conversation: The Power of Talk in a Digital Age, ossia “Reclamare la conversazione: il potere del dialogo nell’era digitale”.
La ricercatrice ritiene che, in qualità di membri della società contemporanea, viviamo in un universo tecnologico nel quale dobbiamo sempre essere in comunicazione con qualcuno, come se fossimo malati di solitudine, ma in questo modo abbiamo sacrificato la conversazione faccia a faccia sostituendola con l’utilizzo degli smartphone.
In qualsiasi momento della nostra vita: al lavoro, a casa, in politica, addirittura anche in amore, troviamo modi per aggirare le conversazioni, grazie alla potenzialità data da un testo di una mail che non ci costringe a guardare negli occhi il nostro interlocutore, ad ascoltare o a rivelare noi stessi.
Ma contemporaneamente, manteniamo un contatto costante con i nostri telefoni, dandoci l’illusione di rimanere collegati con il mondo intero finendo per creare uno stato mentale alterato, iper-reattivo, alla ricerca continua di nuovi stimoli.
Secondo la professoressa, non è ciò per cui si dovrebbe aspirare, questo perché come membri di una società evoluta in realtà bisognerebbe possedere la giusta serenità mentale per poter riflettere e prendere decisioni senza essere distratti costantemente.
Tutto questo viene dichiarato dalla Turkle in un video pubblicato sul Business Insider la quale afferma:
“Quando stiamo usando il nostro smartphone, cambiano diverse cose nel nostro cervello e nelle nostre abitudini. Diventiamo intolleranti rispetto all’idea di restare un momento da soli. Il nostro cervello ha bisogno di uno stimolo costante, e questo è probabilmente il cambiamento più pericoloso, perché siamo sempre ipervigili, in allerta costante.
Questo genere di atteggiamento potrebbe forse essere utile nella natura selvaggia, ma noi non viviamo nella natura selvaggia, e non è utile per la vita che viviamo, in cui abbiamo necessità di essere rilassati per prendere decisioni importanti. Se siamo sempre così in tensione, questo ci rende più depressi, più iper-reattivi, incapaci di riflettere sulle cose e sui noi stessi.
Di fatto, ogni volta che facciamo una ricerca su Google, è come se stessimo uscendo per una battuta di caccia nella giungla: ci mette in quello stato mentale, che non è adatto per il genere di riflessioni e di conversazioni che facciamo quotidianamente, sia nelle nostre relazioni che nelle decisioni che dobbiamo affrontare”.
Forse non si tratta soltanto di una piccola curiosità, ma potrebbe essere interessante capire come la tecnologia porti a relazionarci con il mondo, se nel bene o nel male.