Quando parliamo di cellule staminali intendiamo classi di cellule potenzialmente in grado di auto rinnovarsi e generare cellule diverse, con un’abilità tanto più grande quanto è la loro “potenza” (effetto del meccanismo che presto conosceremo come imprinting genetico). Le cellule staminali vengono suddivise in due principali categorie: cellule staminali embrionali e cellule staminali adulte.
All’atto della fecondazione, uno spermatozoo penetra all’interno della cellula uovo. I nuclei maschile e femminile così si uniscono a formare una singola cellula, lo zigote. Man mano che lo sviluppo embrionale procede, lo zigote si replica per divisioni successive: prima due, poi quattro, poi otto cellule e così via, fino alla formulazione della morula, un complesso di otto-sedici cellule, capaci di dare origine ad un intero organismo, per questo definite totipotenti. A differenza di quelle embrionali, le cellule staminali adulte non sono più totipotenti, ma multipotenti, ovvero in grado di dare originare solo a determinati tipi cellulari.
Ma cosa regola la “potenza” di una staminale? E chi impartisce ad una specifica cellula il proprio destino finale? Una quantità inconcepibile di lavori riportati in letteratura scientifica suggerisce che il DNA contenuto nello zigote iniziale subisce dei rimaneggiamenti genetici ben ordinati che, grazie ad un meccanismo epigenetico chiamato imprinting genetico (che comprende compattazione e distensione del DNA mediante modificazione chimica), porta alla regolazione spazio-temporale dei diversi geni cellulari, impartendo alla specifica cellula determinate informazioni, esclusive di quel tipo cellulare in quella precisa finestra temporale. Così, pur condividendo gli stessi 30000 geni derivanti dallo zigote , ogni cellula legge solo da specifici tratti di DNA, silenziandone alcuni e mantenendone accesi altri, acquisendo in tal modo la propria identità.
L’acido desossiribonucleico, altro nome con cui è conosciuto il DNA, si avvolge infatti intorno a complessi proteici chiamati istoni. Gli amminoacidi degli istoni sono suscettibili a modificazioni chimiche, che alterano indirettamente lo stato di compattazione del DNA, rendendolo più o meno accessibile ad altre proteine in grado di legarsi ad esso e di “leggerne” i geni.
Appare quindi evidente come un’alterazione del meccanismo d’imprinting possa avere deleterie conseguenze sull’espressione genica e sulla capacità di una cellula di mantenere la propria identità. Sebbene l’imprinting genetico non sia l’unica modalità di regolazione genica, la ricerca mirata alla comprensione tra disfunzioni cellulari e imprinting, potrà avere un ruolo nel comprendere le cause genetiche di molte patologie umane.
Fonte: Current Biology