L’odore acre di ossa bruciate impregna l’aria del Kenya; un fumo nero pece si solleva con colonne tenebrose per centinaia di metri, visibili da leghe di distanza. È uno spettacolo che in molti ricorderanno: zanne di fuoco. Ci troviamo al parco nazionale di Nairobi, in Kenya. Un luogo che da molti sarà ricordato come il più grande monito alla crisi del bracconaggio in Africa.
Ad aprile 2016, molte dozzine di uomini hanno accatastato diverse pire di zanne di elefante, scaricandole da grandi contenitori con cui sono arrivate al parco. Torri d’avorio alte fino a dieci piedi e larghe venti. È una sorta di grande cimitero degli elefanti, una specie vivente divenuta emblematica a livello mondiale per il grave rischio di estinzione cui il bracconaggio l’ha condannata nel corso degli anni.
Quando il fuoco è stato appiccato sotto alle pire, il parco nazionale si è trasformato in un crematorio, dando origine a zanne di fuoco. È stato il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta a dare alle fiamme circa 105 tonnellate d’avorio di elefante, 1,35 tonnellate di corna di rinoceronte, pelli di animali esotici e altri prodotti come legno di sandalo e cortecce usate a scopi medici. Mai prima di allora è stata compiuta una simile distruzione di merci illecite. La perdita delle sole zanne – appartenenti a circa 8000 elefanti – hanno causato una perdita ai bracconieri di circa 105 milioni di dollari sul mercato nero, secondo le stime dell’esperto di tratta di fauna selvatica Bradley Martin. I corni di rinoceronte, invece, prelevati da 343 animali, hanno arrecato ai bracconieri un danno pari a 67 milioni, per un totale di 172 milioni. Beni illeciti finiti in fumo.
Questa cifra astronomica è una volta e mezzo il capitale che il Kenya investe per il suo ambiente e l’agenzia delle risorse naturali ogni anno. Ma secondo i Kenyniani questa dimostrazione non è abbastanza per sensibilizzare i cacciatori di frodo o salvaguardare le specie minacciate. Credono inoltre che possa valere qualcosa sia quello degli elefanti ancora vivi.
Non si tratta di retorica conservazionista. Il turismo, più della fauna selvatica, porta alle casse del Kenya un 12% del PIL. Nell’arco della sua vita un elefante è 76 volte più redditizio per il turismo che non per il suo avorio. Così almeno afferma il centro di recupero di elefanti e il gruppo di riabilitazione David Sheldrick Wildlife Trust. Tuttavia, il fondatore del centro di recupero degli elefanti è preoccupato riguardo al futuro. Daphne Shledrick, il conservazionista Kenyano che ha battezzato il centro di recupero in onore del padre, dubita infatti che suo nipote potrà osservare un giorno elefanti allo stato brado. Gli elefanti sono in serio pericolo. SI stima che ogni 15 minuti, uno di essi venga ucciso per le sue zanne. Il governo africano sta combattendo da tempo il commercio illegale di merci provenienti dalla fauna selvatica; per lungo tempo è stato in dubbio su cosa fare dei beni confiscati. Benché l’incenerimento delle zanne non sia una soluzione al problema, esso rappresenta comunque un forte monito verso la caccia di frodo.