Il Megalodonte è una delle creature marine più possenti mai esistite. Vissuto nel Pliocene, questo squalo gigantesco, era l’incubo dei mari, ma come è giunto alla sua estinzione? Ripercorriamo la sua storia, fra bufale e ricerche scientifiche.
IN BREVE
Avete mai sentito parlare del Megalodonte? Si tratterebbe di uno squalo dalle dimensioni esorbitanti, una sorta di mostro marino vissuto nel Pliocene la cui esistenza (secondo spiegazioni scientifiche) sarebbe improbabile ai giorni nostri.
Comparso 16 milioni di anni fa e vissuto fino a circa 2 milioni di anni fa, il Megalodonte (Carcharodon megalodon definito anche Carcharocles megalodon), era la creatura preistorica in assoluto più temuta. Le sue dimensioni raggiungevano i 16 metri (anche se alcuni esemplari potevano raggiungere dimensioni maggiori), quasi irreali, ed è probabilmente l’animale più forte che sia mai esistito. Il suo peso raggiungeva le 50-60 tonnellate, e necessitava di almeno 8 tonnellate di carne al giorno per nutrirsi (circa un quinto del suo peso). Tuttavia, anche se questo possente mostro degli abissi è da considerarsi ormai estinto, ha un lontano parente ancora in vita: il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias), le cui dimensioni variano tra i 4 i 6 metri.

Nonostante le notevoli differenze per quanto riguarda le dimensioni, gli scienziati paragonano lo storico Carcharodon megalodon al grande squalo bianco in particolare per la dentatura possente e per il muso smussato. Non è stato difficile per gli esperti tracciare un perfetto identikit del preistorico squalo Megalodonte, mostro degli abissi: il suo scheletro, come quello di un qualsiasi altro esemplare di squalo, era fatto di cartilagine motivo per cui non ne è stato possibile trovarne alcuna traccia. Ciò che sembrerebbe essere rimasto, arenato nelle profondità degli oceani, sarebbero i suoi denti ossei, sopravvissuti nel corso del lungo tempo trascorso e in grado di dire molto sulla possente e arcaica creatura. Proprio dalla dimensione dei suoi denti dipenderebbe il suo nome, megalodon, che in greco significa, appunto, “grande dente”.

A confermare il vero significato del nome, i numerosi ritrovamenti, nel corso degli anni, di enormi denti appartenenti a storici esemplari di megalodon, alcuni addirittura in territorio italiano. Risalirebbe allo scorso aprile, infatti, il ritrovamento di un dente di Megalodonte all’interno del Tunnel Borbonico, a Napoli, da parte del geologo Gianluca Minin. Quello nel Tunnel Borbonico è solo uno dei tanti ritrovamenti a testimonianza dell’esistenza di questo squalo gigantesco, un’esistenza che, come abbiamo già detto, sarebbe tramontata circa due milioni di anni fa. Molte sarebbero le possibili cause della sua fine. Una delle ipotesi avanzare evidenzierebbe come principale causa la variazione delle condizioni ambientali: nel periodo durante il quale è vissuto il possente squalo preistorico le condizioni ambientali erano più omogenee e le acque degli oceani più calde. Rispetto al suo parente ancora in vita (il grande squalo bianco), il Megalodonte non sarebbe riuscito ad evolversi in maniera tale da adattare la sua temperatura corporea a quella degli oceani, giungendo dunque alla sua dipartita.
Tuttavia questa ipotesi sarebbe stata largamente smentita dalla paleontologa Catalina Pimiento e dal suo team di colleghi che hanno condotto delle ricerche dettagliate in merito all’estinzione dello squalo Megalodonte. La Pimiento, consultando il Paleobiology Database, ha infatti posto sotto analisi la presenza del’abnorme creatura nel tempo, relativamente al clima: circa 20 milioni di anni fa, megalodon, viveva nelle acque dell’emisfero settentrionale e continuò a diffondersi in quasi tutti gli oceani fino a quasi 15 milioni di anni fa. Da quel momento in poi la sua presenza nei mari avrebbe raggiunto i minimi storici. La ricerca dimostra, però, che non ci sarebbe alcuna correlazione tra le testimonianze fossili dello squalo Megalodonte e i picchi delle temperature (sia verso l’alto che verso il basso).

Ma allora cosa ha ucciso il Megalodonte?
Ancora nessuna notizia certa in merito alla sua morte, nemmeno dalle ricerche condotte dal team di Catalina Pimiento. Tuttavia, grazie a queste ricerche, c’è stata qualche svolta cruciale in merito alla faccenda del Megalodonte: Il percorso che ha portato alla sua estinzione ha avuto inizio verso la metà del Miocene. In questo periodo, secondo quanto affermato sia dal paleontologo Dana Ehret che dagli autori dello studio, crollava la diversità fra i cetacei e comparivano nuovi predatori. Questi finirono per costituire una consistente fetta di concorrenza particolarmente influente nella caccia dello squalo Megalodonte, predatori come la balena assassina.
Una storia affascinante quella del Carcharodon megalodon, da sempre al centro dell’attenzione di molti e talvolta oggetto di improponibili bufale. Nonostante le dimostrazioni scientifiche di studi come quello di Catalina Pimiento, infatti, non sono mancate ipotesi a difesa di teorie sulla possibile esistenza dell’enorme creatura ancora oggi. Qualche anno fa Discovery Channel ha proposto ai suoi telespettatori un documentario che metteva in dubbio le teorie scientifiche fornendo presunte prove e testimonianze volte a confermare la possibile presenza di Megalodon nei nostri oceani ancora oggi. Le testimonianze provenivano, però, da attori e non da veri esperti.
Tuttavia molti altri sono stati gli eventi che hanno posto le solite basi per la nascita della grande bufala di Discovery. Uno dei fatti più rilevanti in merito risale al 1872, quando l’equipaggio della corvetta della Marina Reale Hms Challenger è riuscito a raccogliere campioni biologici e geologici dal fondale oceanico contenti noduli di diossido di manganese, ovvero delle particolari formazioni che si creano intorno al materiale precipitato sul fondo degli oceani. All’interno di due di questi noduli vennero rinvenuti enormi denti di squalo, subito attribuiti al Megalodonte.
Nel 1959 il dottor Wladimir Tschernezky riuscì a stabilirne l’età basandosi sullo spessore dello strato di manganese che li ricopriva: i campioni avevano fra gli 11mila e i 24mila anni, non molti in termini geologici. Si iniziò, così, a prendere in considerazione la possibile sopravvivenza, nel corso del tempo, dello squalo Megalodone. Tuttavia il metodo proposto da Tschernezky si rivelò un metodo senza alcuna validità: il tasso di deposizione del diossido di manganese negli oceani, infatti, varia in base alle condizioni ambientali. Negli anni ’60, però, iniziarono a diffondersi innumerevoli notizie di presunti avvistamenti di esemplari di Megalodonte, probabilmente suggestionati dai suddetti ritrovamenti e dalle conseguenti analisi.
Una delle storie più note, a questo proposito, risale al 1918 quando David Stead, un naturalista australiano, riportò le testimonianze scioccanti di alcuni pescatori di Port Stephens: gli uomini di mare dichiararono con assoluta certezza di aver incontrato uno squalo Megalodonte. Tuttavia le versioni fornite dai presunti testimoni erano alquanto discordanti. Tanto per cominciare le dimensioni dell’animale avvistato variavano fra i 35 ai 90 metri e aveva un colore biancastro, e poi non erano riusciti a fornire ulteriori prove a difesa del loro presunto avvistamento. Ma allora il Megalodonte esiste davvero? No. si tratterebbe di una bufala, come confermato anche dalle ricerche condotte da Catalina Pimiento e dal suo team, una notizia falsa chenel tempo ha ingannato molti e che poi Discovery ha sfruttato con l’unico scopo di totalizzare un alto numero di visualizzazioni, scopo perfettamente raggiunto con milioni e milioni di curiosi telespettatori.
Fonte
- When Did Carcharocles megalodon Become Extinct? A New Analysis of the Fossil Record
NCBI