Il benzene è un idrocarburo ciclico insaturo, appartenente alla categoria degli idrocarburi aromatici di cui ne viene considerato il capostipite.
È un liquido incolore e volatile; infatti, a pressione atmosferica bolle a 80,15 °C. Tuttavia il suo utilizzo nei laboratori è limitato sia perché è molto dannoso per la salute, sia perché è un agente inquinante.
La molecola del benzene fu isolata per la prima volta nel 1825 da Michael Faraday, ma soltanto nel 1834 fu possibile determinarne la formula empirica (CH) e successivamente la formula molecolare (C6H6). La determinazione della struttura del benzene rimase tuttavia un mistero per i chimici dell’epoca; infatti, come è possibile dedurre dalla formula molecolare, la molecola presenta un altissimo numero di insaturazioni in relazione al numero di atomi di carbonio, come del resto tutti gli idrocarburi aromatici.
Una corretta interpretazione della struttura del benzene fu data dal chimico tedesco Friedrich August Kekulé von Stradonitz nel 1865. La struttura di Kekulé prevedeva un ciclo a 6 termini, e doppi legami in posizione alternata. Secondo le cronache dell’epoca, pare che Kekulé ebbe la propria intuizione in seguito ad un sogno, durante il quale Kekulé vide gli atomi di carbonio come a formare un serpente nell’atto di mordersi la coda. Tuttavia, la struttura proposta da Kekulé presentava un’imperfezione: un doppio legame carbonio-carbonio è più corto di un legame singolo carbonio-carbonio, mentre secondo i dati sperimentali tutti i legami carbonio-carbonio del benzene avevano la stessa lunghezza. Per arrivare a descrivere correttamente la struttura del benzene bisognerà aspettare la teoria degli orbitali ibridi.
Gli orbitali degli atomi di carbonio del benzene presentano tutti ibridazione sp2; di conseguenza ogni atomo di carbonio presenta tre orbitali sp2 posti a 120° tra loro (il che conferisce, quindi, una struttura planare alla molecola) ed un orbitale 2p che esce fuori dal piano. Gli elettroni negli orbitali sp2 formano due legami con gli atomi di carbonio adiacenti ed un legame con un atomo di idrogeno, mentre gli elettroni spaiati presenti negli orbitali 2p non vanno a formare alcun doppio legame (come aveva proposto Kekulé), bensì vanno a formare un unico orbitale, che delocalizza la carica elettronica.
Questo concetto si può spiegare meglio con la teoria degli orbitali molecolari, secondo la quale sei orbitali atomici 2p si combinano tra loro per formare 6 orbitali molecolari, tre orbitali di legame (ad energia più bassa) e tre orbitali di antilegame (ad energia più alta). I sei elettroni provenienti dagli orbitali atomici si collocano negli orbitali di legame riempiendoli, in questo modo si hanno tre orbitali molecolari divisi tra 6 atomi, il che porta ad avere in pratica mezzo legame per ogni atomo di carbonio. Questa teoria è in accordo con le osservazioni sperimentali effettuate ai tempi di Kekulé: tutti i legami carbonio-carbonio hanno la stessa lunghezza e sono più lunghi di un doppio legame carbonio-carbonio e più corti di un legame singolo carbonio-carbonio.
É stato osservato che la molecola del benzene è ben più stabile di una ipotetica molecola di 1,3,5-cicloesatriene.
L’idrogenazione del doppio legame del cicloesene libera 28,6 kcal/mol. Pertanto, per l’idrogenazione dell’1,3-cicloesadiene ci si aspetterà un calore di idrogenazione doppio; infatti, i dati sperimentali indicano che si liberano 55,4 kcal/mol. Se invece si effettua l’idrogenazione del benzene, anziché ottenere un calore di idrogenazione all’incirca triplo rispetto a quello del cicloesene, si ottengono “solo” 49,8 kcal/mol. Questo indica come la molecola del benzene sia nettamente più stabile di un ipotetico 1,3,5-cicloesatriene. La differenza tra il calore di idrogenazione (ipotetico) del 1,3,5-cicloesatriene e quello del benzene (pari a 36 kcal/mol) è detta energia di risonanza o aromaticità ed ha un effetto anche sulle proprietà chimiche del benzene e, più in generale, dei composti aromatici.
Quando nel 1834 venne determinata la formula molecolare del benzene, visto l’alto numero di insaturazioni, ci si aspettava una reattività simile ad i composti insaturi come alcheni ed alchini; tuttavia, il benzene rispondeva ad ogni saggio di riconoscimento, dando reazioni di sostituzione elettrofila anziché di addizione elettrofila. Tale comportamento è da imputare sempre all’aromaticità; infatti, le reazioni di addizione distruggerebbero l’anello aromatico, con conseguente aumento dell’energia (e quindi diminuzione di stabilità) della molecola.
Il meccanismo di sostituzione elettrofila aromatica (S.E.A.) è pressoché il medesimo per ogni reazione del benzene: una specie chimica carica positivamente (cioè un elettrofilo) viene attratta dalla densità elettronica dell’anello aromatico e vi si lega, portando una carica positiva all’interno dell’anello (catione benzenonio, stabilizzato dalla risonanza). Successivamente, è ripristinata l’aromaticità dell’anello poiché una base presente nell’ambiente di reazione strappa un H+ dall’intermedio.
Nel benzene tutti i 6 atomi di carbonio sono chimicamente equivalenti (analogamente per gli n atomi dei vari idocarburi aromatici), pertanto, si otterrà un solo prodotto di S.E.A.. Nei benzeni monososituiti, invece, il sostituente è in grado di influenzare la densità elettronica dell’anello e di conseguenza la velocità di reazione. I sostituenti si dividono in elettronattrattori ed elettrondonatori, i primi riducono la densità elettronica, mentre i secondi la aumentano.
Fonte
- Chimica organica – H. Hart, C. M. Hadad, L. E. Craine, D. J. Hart – Zanichelli
- Chimica generale, principi ed applicazioni moderne – R. H. Petrucci, F. G. Herring, J. D. Madura, C. Bissonnette – Piccin