In Alaska e nelle più fredde regioni del Nord America vive un esemplare di rana, la Rana sylvatica, che, non essendo ricoperta di piume o di pelliccia, resiste alle basse temperature invernali in modo del tutto particolare: quando la rana va in letargo, infatti, si iberna.
IN BREVE
Si sa: uno degli obiettivi tanto ambiti degli esseri umani è sempre stato quello di voler vivere il più a lungo possibile e in perfetta salute. L’uomo ha sempre osservato la Natura e le sue leggi e anche in questo caso essa, delineando la perfetta fisiologia della Rana sylvatica, ha dato spunto agli scienziati per conservare in maniera adeguata gli organi destinati al trapianto e i corpi affetti da malattia per le quali oggi non esiste ancora una cura. Infatti, quando la rana va in letargo si iberna per sopportare le basse temperature del Nord America, diventando rigida a tal punto da assumere le sembianze di un pezzo di legno.
È importante ricordare che i tessuti sono composti da cellule e le cellule sono ricche di acqua. Quando la temperatura raggiunge il livello di congelamento, nei tessuti si formano cristalli che possono rompere le membrane cellulari e, dunque, danneggiare irreversibilmente gli organi. In realtà esistono alcuni insetti e pesci marini la cui fisiologia risponde alle basse temperature rilasciando nel sangue degli anticongelanti naturali come il sorbitolo e il glicerolo che abbassano ulteriormente il punto di congelamento delle cellule in modo tale che a 0°C i compartimenti cellulari rimangano fluidi. Ciò che sorprende invece è che, mentre la rana va in letargo, nonostante il 65% dell’acqua extracellulare si trasformi in cristalli, i suoi tessuti non siano danneggiati. Tutto ciò dipende soprattutto dall’aumento delle concentrazioni di glucosio e urea nel suo sangue.
Quando la temperatura raggiunge livelli molto inferiori a 0° C (si parla anche di -14°C) i termocettori della Rana sylvatica posti sulla sua cute inviano informazioni al sistema nervoso. Questo innanzitutto stimola il rilascio di proteine plasmatiche che, distribuendosi ai tessuti, ne evitano il danneggiamento durante le fasi iniziali del processo; dopodiché induce nel fegato la glicogenolisi in modo tale che la concentrazione di glucosio nel sangue sia circa 100 volte superiore rispetto al normale (così da evitare che il volume cellulare si riduca troppo) e che tale valore sia mantenuto quando la rana va in letargo.
L’iperglicemia è poi sostenuta per tutto l’inverno grazie alla particolare struttura della vescica anfibia che per la sua anatomia è selettivamente permeabile al glucosio e all’urea e lo diventa ancora di più ogni volta che arriva l’inverno e la rana va in letargo. L’iperglicemia è dannosa per l’organismo animale e quindi questa condizione dovrebbe essere fisiologicamente ridotta con l’aumento dell’escrezione di glucosio con le urine. Ma, dal momento che è proprio l’alta concentrazione di quest’ultimo a preservare l’integrità delle cellule della Rana sylvatica durante il letargo, lo stesso quantitativo di zucchero destinato all’eliminazione viene riassorbito.
Se nel momento in cui la rana va in letargo riesce a sopravvivere, non dipende soltanto dall’iperglicemia ma anche dall’incremento dell’osmolalità plasmatica dovuta ad un aumento della concentrazione di urea. Uno studio, i cui risultati sono reperibili nel Journal of Biological Experimental, ha confermato che durante l’ibernazione l’urea, dopo che è stata eliminata (e deve esserlo perché livelli troppo elevati protratti nel tempo sono neurotossici e possono indurre la morte) viene riassorbita dall’organismo aumentando la sua concentrazione nel sangue di circa 50 volte rispetto ai valori che essa ha in estate. La funzione dell’urea è quella di rallentare il metabolismo in modo graduale e sicuro così da immagazzinare l’energia necessaria alla Rana sylvatica per affrontare lo stress congelamento/scongelamento, la stagione degli amori e, dunque, la riproduzione.
Non è ancora chiaro come un’iperglicemia tanto elevata non danneggi quest’organismo, ogni volta che la rana va in letargo, con i noti effetti che produce in tutti gli altri vertebrati né quale sia il vero meccanismo genetico alla base della sospensione dei suoi processi vitali. Tuttavia l’affascinante adattabilità della Rana sylvatica e lo studio della sua fisiologia, biochimica e genetica continuano ad essere fonte di ispirazione per la definizione e il perfezionamento di procedure quali l’ibernazione e la crioconservazione.