L’invecchiamento, oltre ad essere uno dei maggiori fattori di rischio di molte malattie, rappresenta spesso il tramonto della giovinezza e la perdita della bellezza fisica. Da decenni i ricercatori stanno studiando questo processo biologico critico. Avranno davvero scoperto l’elisir di lunga vita?
IN BREVE
“Sono prati che crollano, i vecchi, senza fare rumore.
Bruciano anni di intensi sacrifici in una carta di caramella.
Le loro opere non saranno più vendute, sono stati tanti gregari inutili del pensiero.
Quando però i vecchi dimenticano la storia con la mente, le loro rughe testimoniano e ricordano ogni passo compiuto.”
– La Vita Facile di Alda Merini
Esperienza, saggezza, ricordi vividi del passato che si alternano a ricordi labili del presente, racchiusi in un corpo che diventa ogni giorno più fragile e vulnerabile, segnano il passaggio inesorabile dalla giovinezza alla vecchiaia. Questo processo fisiologico lento e continuo ha affascinato ed ispirato poeti e scrittori di ogni epoca e ha sfidato scienziati e ricercatori, che da anni cercano di risolvere questo complesso puzzle che è l’invecchiamento.
Per la biologa Elizabeth Helen Blackburn, vincitrice del premio Nobel per la medicina nel 2009, tutto è iniziato con le alghe di stagno. Era curiosa di studiare a fondo il DNA e, in particolare, i “tappi” alle estremità dei cromosomi, conosciuti come telomeri. Questa sua curiosità l’ha guidata in un viaggio che mette in luce una delle domande più grandi e più antiche dell’umanità: perché e come invecchiamo?
I telomeri, elementi chiave nell’invecchiamento
I telomeri sono sezioni speciali di DNA non codificante alla fine dei cromosomi che, come le punte di plastica alla fine delle scarpe, proteggono il nostro DNA codificante durante la divisione cellulare. Ogni volta che una cellula si divide, tutte le sue informazioni genetiche devono essere copiate e distribuite alle cellule figlie, che risulteranno identiche alla cellula progenitrice. L’enzima che sintetizza il nuovo DNA, chiamato DNA polimerasi, non è in grado però di copiare le estremità del filamento di DNA. Così, per evitare che del materiale genetico venga perso ad ogni ciclo cellulare, la cellula utilizza i telomeri per proteggere il DNA codificante, che contiene le informazioni necessarie per la sintesi delle proteine.
I telomeri si consumano e si accorciano ad ogni divisione cellulare fino a quando la loro lunghezza si riduce al punto da non essere più in grado di proteggere il DNA, segnalando alla cellula che è giunto il momento di morire. Sulla base di questa ricerca, Elizabeth Blackburn pensò che l’accorciamento dei telomeri fosse il meccanismo biologico alla base dell’invecchiamento, ma c’era ancora qualcosa che la stupiva. Le cellule delle alghe di stagno non invecchiavano, non morivano e con il passare del tempo i loro telomeri non si accorciavano.
Questo mistero ha portato lei e la sua studentessa Carol Greider alla scoperta di un enzima inatteso, chiamato telomerasi, che aiuta a ricostruire i telomeri. Eliminando la telomerasi dalle cellule delle alghe di stagno queste cominciavano a perdere porzione dei loro telomeri fino a morire. In altre parole, la telomerasi può rallentare, impedire o addirittura invertire l’accorciamento dei telomeri causato dalla divisione cellulare.

Oltre all’invecchiamento, l’accorciamento di telomeri è stato associato ad un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, del cancro, del diabete e di Alzheimer. Tuttavia, l’accorciamento dei telomeri non avviene allo stesso modo in tutti. Per alcuni, accade lentamente, determinando un invecchiamento in salute, per altri invece, accade più velocemente, innescando l’idea che l’attività della telomerasi possa essere esacerbata dalle sollecitazioni della vita.
La conferma a questa ipotesi arrivò quando la psicologa Elissa Epel entrò nel laboratorio di Elizabeth per studiare gli effetti di uno stress psicologico cronico grave, come nel caso di madri con figli disabili, sui telomeri. La ricerca delle due donne ha mostrato che maggiore era il numero di anni in cui le madri si erano prese cura dei propri figli e avevano vissuto la situazione con grande stress psicologico, minore era la lunghezza dei loro telomeri e ridotta l’attività della telomerasi. Dall’altra parte le madri che, pur avendo avuto cura dei loro figli per anni, erano riuscite a gestire la situazione con minore stress, mostravano telomeri più lunghi e una telomerasi più attiva.
Intrigati da questa ricerca, altri scienziati hanno cominciato a esplorare i misteri dei telomeri. I risultati sono stati sorprendenti. In uno studio, i ricercatori hanno scoperto che i care-givers di parenti con demenza che hanno praticato la meditazione 12 minuti al giorno per due mesi hanno avuto un aumento del 43 per cento dell’attività della telomerasi. Altri hanno scoperto che l’abbandono emotivo, l’esposizione alla violenza, al bullismo e al razzismo nell’infanzia hanno tutti un impatto a lungo termine sui telomeri. Al contrario, esperienze positive, amicizie durature e matrimonio a lungo termine possono proteggerli.
A questo punto potreste pensare erroneamente che basterebbe inventare un farmaco che aumenti la produzione della telomerasi per rimanere sempre giovani, ma Elizabeth Blackburn è attenta a sottolineare che troppa telomerasi può in realtà essere controproducente, aumentando il rischio di cancro.
La ricercatrice preferisce sostenere invece l’idea che migliorare il proprio stile di vita, gestendo lo stress cronico, svolgendo attività fisica, mangiando meglio e dormendo abbastanza, possano aiutare a preservare i nostri telomeri, e che non è l’invecchiamento il nemico da combattere ma le malattie ad esso associate.
Il precario equilibrio ormonale durante l’invecchiamento
Un altro aspetto affascinante, che da anni è stato studiato per comprendere meglio i cambiamenti legati all’età, è l’alterazione dei livelli ormonali durante il ciclo di vita nell’organismo umano. Durante l’invecchiamento si assiste ad uno squilibrio tra ormoni catabolici (ormoni tiroidei e cortisolo), che tendono a rimanere stabili e gli ormoni anabolizzanti (testosterone, fattore di crescita insulino-simile e deidroepiandrosterone), che in genere diminuiscono con l’età.
A farsi largo tra tutti questi nomi per il ruolo svolto sulla fisiologia umana con il passare del tempo sono il deidroepiandrosterone, che per semplicità chiameremo con la sigla inglese DHEA e il cortisolo, simili per alcuni aspetti e molti diversi per altri.
Il DHEA è considerato un “elisir di giovinezza” per le sue proprietà anti-aging, antiobesità e antidiabetiche. La produzione di DHEA comincia a diminuire poco dopo la pubertà e può raggiungere il 5% dei suoi livelli originali negli anziani.
Il cortisolo invece è considerato “l’ormone dello stress”, partecipa a numerose azione metaboliche quali regolazione dei livelli di glucosio nel sangue o dei lipidi nel tessuto adiposo ed è noto per la sua attività anti-infiammatoria.
Sia il DHEA che il cortisolo sono sintetizzati a partire dal colesterolo nella ghiandola surrenale, e la loro produzione avviene sotto l’influenza dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale (che avevamo trattato in questo articolo). Come si spiega quindi la drastica riduzione del DHEA durante l’avanzare dell’età rispetto al cortisolo, che rimane invece constante? Una risposta viene fornita dal fatto che le aree del surrene coinvolte nella produzione di questi due ormoni sono anatomicamente distinte ed esse degenerano in maniera diversa durante l’invecchiamento. Il cortisolo viene prodotto nella zona fasciculata della corteccia surrenale, mentre il DHEA nella zona reticularis, che subisce una progressiva atrofia con il passare del tempo. Inoltre, con l’invecchiamento si osserva una diminuzione degli enzimi responsabili della sintesi del DHEA, associata ad un aumento generale della secrezione notturna dei glucocorticoidi e un alterato meccanismo di controllo della risposta al cortisolo. La riduzione della secrezione di DHEA durante l’invecchiamento è stata correlata a una serie di condizioni associate all’età, tra cui l‘aterosclerosi, le malattie cardiovascolari, il cancro al seno, l’obesità, la perdita di massa muscolare, il diabete e l’immunocompetenza.
Tuttavia, la semplice integrazione del DHEA da fonti esterne ha portato a risultati contraddittori e non del tutto incoraggianti nella strategia anti-età, suggerendo che il meccanismo dell’invecchiamento è qualcosa di molto più complesso.
Il ruolo dell’ipotalamo nell’invecchiamento
La complessità del processo biologico dell’invecchiamento è dimostrata dal fatto che quelle dei telomeri e degli ormoni non sono le sole ipotesi scientifiche proposte per fornire una spiegazione a questo fenomeno fisiologico. Dongsheng Cai e colleghi, dell’Albert Einstein College of Medicine di New York, hanno infatti recentemente dimostrato che l’ipotalamo ha un ruolo fondamentale nell’invecchiamento sistemico, e che quest’ultimo potrebbe essere parzialmente correlato alla perdita di cellule staminali ipotalamiche. I ricercatori hanno osservato che l’ablazione di queste cellule in diversi modelli di topi produce cambiamenti fisiologici simili all’invecchiamento comportando una riduzione della durata media della vita degli animali esaminati. Al contrario, i topi di mezza età a cui erano state trapiantate localmente cellule staminali ipotalamiche sane, progettate geneticamente per sopravvivere nel microambiente infiammatorio cerebrale di questi topolini, invecchiavano più lentamente e vivevano più a lungo.

Ma qual è il segreto delle cellule staminali ipotalamiche? Secondo questa ricerca le cellule staminali ipotalamiche, oltre ad avere un ruolo essenziale nella neurogenesi, sono in grado di secernere delle piccole vescicole, chiamate esosomi, che contengono al loro interno delle piccole porzioni di RNA, definite miRNA (dall’inglese microRNA), che rilasciate nel liquido cerebrospinale raggiungono diverse aree del nostro organismo per essere incorporate nelle cellule riceventi. I miRNA svolgono un ruolo chiave nella regolazione genica delle cellule e la loro produzione sembra ridursi con l’avanzare dell’età. Pertanto, secondo gli autori, controllando la produzione di miRNA esosomali da parte delle cellule staminali ipotalamiche si potrebbe rallentare la velocità dell’invecchiamento, almeno parzialmente.
Riprogrammare le cellule per contrastare l’invecchiamento
Raggiungere questo traguardo è stato uno degli obiettivi di un altro lavoro scientifico, quello del gruppo di ricerca del Salk Institute for Biological Studies di San Diego, guidato da Juan Carlos Izpisua Belmonte, pubblicato sulla rivista Cell. Ocampo e colleghi hanno osservato che la riprogrammazione cellulare verso la pluripotenza inverte l’età cellulare e rallenta il processo di invecchiamento. Per dimostrarlo i ricercatori hanno stimolato parzialmente e per un breve periodo, l’espressione di quattro fattori, chiamati Oct4, Sox2, Klf4 e c-Myc, in topi di laboratori caratterizzati da progeria, ossia da un invecchiamento precoce. Questa manipolazione ha comportato non solo un aumento della vita media dei topolini ma anche un miglioramento delle caratteristiche fisiche cellulari e fisiologiche dell’invecchiamento e il recupero da malattie metaboliche e da lesioni muscolari. In poche parole la strategia dei ricercatori è stata quella di “ringiovanire” le cellule, stimolando i fattori tipici delle cellule staminali, per far ringiovanire l’intero organismo. Altri studi in precedenza avevano tentato questo approccio, ma il rischio nell’indurre le cellule ad uno stato di pluripotenza era stato quello di portare allo sviluppo di cancro e alla formazione di teratomi. Per evitare che questo accadesse, i ricercatori hanno limitato l’espressione dei quattro fattori a brevi periodi e in maniera ciclica.

Nonostante l’entusiasmo che tale risultato potrebbe generare sarà necessario studiare a fondo il meccanismo della riprogrammazione epigenetica prima di poterla utilizzare come terapia anti-invecchiamento nell’uomo.
Tuttavia, ripristinare l’orologio dell’invecchiamento, con l’obiettivo di evitare le malattie legate all’età e migliorare la salute e la longevità sembra una realtà molto più vicina di quanto potremmo pensare.
Fonte
- Human telomere biology: A contributory and interactive factor in aging, disease risks, and protection
Science - Dehydroepiandrosterone (DHEA), DHEA sulfate, and aging: Contribution of the DHEAge Study to a sociobiomedical issue
PNAS - Hypothalamic stem cells control ageing speed partly through exosomal miRNAs
Nature - In Vivo Amelioration of Age-Associated Hallmarks by Partial Reprogramming
Cell