La poliomielite è un’infezione causata dal Poliovirus, patogeno che colpisce principalmente l’intestino. Nelle forme più gravi può essere mortale paralizzando i muscoli respiratori e deglutitori. Le campagne di vaccinazione hanno ridotto in maniera importante l’incidenza della poliomielite.
IN BREVE
Prima della sintesi del vaccino antipolio nel 1955, la poliomielite era una patologia molto rappresentata anche in Italia: non era inusuale vedere persone con arti deformati agli angoli delle strade o altre che perdevano progressivamente la capacità di contrarre i muscoli. Questa patologia e le tristi storie che porta con sé è caduta nel dimenticatoio della nostra società grazie alla scoperta del vaccino ma, ancora oggi, quando si parla di polio, l’immagine che torna in mente alle persone è quella del polmone d’acciaio: un grande tubo di stagno che ospitava e aiutava a respirare i pazienti affetti da poliomielite bulbo-spinale, forma particolarmente grave che bloccava i muscoli atti alla deglutizione e alla respirazione.

Il Poliovirus è un virus a RNA a singola catena appartenente al genere degli enterovirus e alla famiglia dei Rotavirus. Il suo capside (la struttura proteica che protegge l’acido nucleico) può avere una composizione proteica differente tanto da individuare tre sierotipi del virus: PV1 PV2 PV3.
Come si trasmette la poliomielite
Le modalità di trasmissione di questo virus sono sostanzialmente due:
- La via oro-fecale: quella più rappresentata attraverso cui il virus della polio passa dall’intestino del soggetto affetto a quello di un soggetto sano. Questa è una delle trasmissioni più frequenti nell’ambito delle malattie infettive ed è strettamente correlata alla scarsa educazione igienica: il semplice lavaggio delle mani potrebbe se non evitare per lo meno ridurre in maniera importante infezioni di questo tipo.
- Il contatto con le secrezioni del soggetto affetto: principalmente saliva e muco. Per quanto possibile, questa via di trasmissione è comunque poco comune perché richiede una carica virale particolarmente elevata.
Una volta nell’intestino dell’ospite il Poliovirus, come tutti i virus intestinali, trova il suo ambiente ideale nelle anse intestinali e lì, utilizzando il suo patrimonio genetico e quello dell’ospite, inizia a replicarsi e induce la trascrizione di proteine che permetteranno la sua sopravvivenza. Se il virus permane all’interno dell’intestino, definisce sintomi intestinali come nausea, vomito e diarrea. In alcuni casi però il virus può entrare nella circolazione ematica e raggiungere il SNC. Nel 70% dei casi l’infezione è comunque asintomatica, nel 24% dà sintomi simil-influenzali (cefalea, febbre, affaticamento), nel 5% dei casi dà una meningite asettica e nell’1% interessa invece i muscoli causando una progressiva paralisi flaccida che alla fine blocca la deglutizione e la respirazione.
Poliomelite: le manifestazioni più gravi
La meningite asettica, come la meningite batterica, è un’infezione caratterizzata da irritazione delle meningi (le membrane che rivestono il cervello e il midollo spinale tra le quali scorre il liquor) ma si differenzia da quest’ultima dal momento che i patogeni, se non sono batteri, non possono essere isolati e identificati in laboratorio nelle colture liquorali. Si manifesta con dolore addominale, fotofobia, sintomi neurologici (confusione, sonnolenza, cefalea) e febbre. La prognosi per meningite asettica è buona, si risolve in 5-14 giorni (dipende dallo stato di immunocompetenza del paziente) per le forme causate da enterovirus e raramente può complicarsi in un’encefalite.

La paralisi flaccida è invece l’epilogo più temibile della poliomielite ed è quella che destinava i pazienti al polmone d’acciaio. Le sezioni trasversali del midollo spinale permettono di individuare due zone: una è chiamata sostanza bianca, si trova esternamente ed è sede del passaggio degli assoni e delle vie nervose che mettono in comunicazione il cervello con la periferia; l’altra, disposta centralmente, è detta sostanza grigia, è a forma di farfalla ed è sede dei neuroni e delle sinapsi. Quest’ultima ha due corna posteriori in cui le informazioni sensitive (come quelle tattili) vengono trasportate dalla periferia (cute) ai neuroni sensitivi midollari per poi raggiungere le stazioni centrali (tronco encefalico-talamo-corteccia cerebrale) , e due corna anteriori in cui invece si trovano i motoneuroni che modulano le informazioni motorie. Il Poliovirus, nelle sue forme spinale e bulbo-spinale, ostacola proprio l’azione dei motoneuroni spinali causando una paralisi progressiva che prende appunto il nome di paralisi flaccida. Questa, a differenza della paralisi spastica (causata ad esempio dal tetano), è detta anche paralisi periferica o atrofica, è dovuta a lesioni che interessano le vie motorie dalle corna anteriori del midollo spianale fino al muscolo ed è caratterizzata non solo dalla perdita della motilità volontaria ma anche dalla diminuzione del tono muscolare e del trofismo: i muscoli sono più deboli e appaiono più assottigliati.

La diagnosi della poliomielite si basa sulla corretta interpretazione e ricerca di quelli che sono i sintomi più significativi come la presenza di rigor nucalis (dal momento che la poliomielite può essere associata a meningite), dolore alla schiena, difficoltà nella respirazione e nella deglutizione e alterazione dei riflessi. La conferma diagnostica della polio è data dall’analisi biologica del liquor e dell’espettorato in cui si ricerca l’antigene proprio del Poliovirus. Bisogna infatti tenere presente che durante la fase pre-paralitica è impossibile evidenziare l’eventuale presenza del virus con una biopsia dei tessuti/organi target nonostante molti studi abbiano evidenziato che esso abbia un particolare tropismo per le placche di Peyer (strutture presenti nella lamina propria e nella sottomucosa dell’intestino tenue, all’interno delle quali proliferano i linfociti B) e per i motoneuroni contenuti nelle corna anteriori del midollo spinale.
Si guarisce davvero dalla poliomielite?
Attenzione particolare merita quella che viene definita Sindrome Post-Poliomielitica, condizione successiva alla poliomielite acuta, ridotta in termini d’incidenza dopo la scoperta del vaccino antipoliomielitico e caratterizzata dallo sviluppo di nuovi sintomi di natura neurologica (come debolezza e atrofia muscolare progressiva, importante affaticamento, disturbi del sonno) che insorge 15-40 anni dopo la remissione della poliomielite e per cui non è evidenziabile altra causa. Uno studio condotto dal 2010 al 2012 dall’Universidade Federal de São Paulo in Brasile ha dimostrato che potrebbe esserci una forte associazione fisiopatologica tra la sindrome post-poliomielitica e quella che viene definita Sindrome delle Gambe senza Riposo, condizione clinica che rientra tra i disturbi del sonno durante la quale il paziente sente la necessità di muovere gli arti inferiori per avere parziale sollievo dalla sensazione di dolore e formicolio.

Prima del 1955, la poliomielite paralitica mieteva molte vittime e i più fortunati venivano destinati al polmone d’acciaio. In quegli anni gli ospedali erano infatti invasi da queste strutture che ospitavano al loro interno soprattutto i bambini, dal momento che la poliomielite è una malattia con un’elevata incidenza durante l’infanzia. Ciò dipende sia dal fatto che le difese immunitarie non sono ancora perfettamente efficienti a quell’età sia dall’alta concentrazione delle placche di Peyer nella prima fase della vita.
Sabin e Salk: due scienziati contro la poliomielite
La storia del vaccino antipolio inizia nel 1934 (circa vent’anni prima della scoperta di Jonas Salk), quando Brodie e Kolmer, due scienziati statunitensi, sintetizzarono il primo farmaco anti-poliomielite che, tuttavia, fu associato a molte morti e, quindi, non venne considerato efficace. Quando poi, nel 1938, il presidente Roosevelt (anch’egli affetto da poliomielite) invitò tutti i cittadini statunitensi a versare 10 centesimi all’anno per la ricerca, la lotta contro la poliomielite divenne d’interesse nazionale. Nel 1939, il medico Albert Sabin, dopo vari studi condotti sugli scimpanzé, annunciò che il Poliovirus era un virus enterico e non respiratorio e che aveva come sede prediletta non le fibre nervose ma l’intestino. Questa scoperta permise allo scienziato di capire quale fosse il vero terreno di coltura su cui sviluppare quello che nel 1953 passò alla storia con il nome di Sabin, il vaccino antipolio con virus attenuato. Questo farmaco si dimostrò molto efficace e venne distribuito immediatamente su larga scala: veniva somministrato per via orale e non necessitava di ulteriori richiami. Tuttavia nel 1955 il dottor Jonas Salk sintetizzò invece il vaccino trivalente Salk che, a differenza del primo includeva tutti e tre gli antigeni dei tre ceppi del Poliovirus (PV1, PV2, PV3) e non conteneva il virus attenuato (e quindi vivo ma privato della sua capacità di infettare pur mantenendo la facoltà di indurre la risposta immunitaria e, dunque, la produzione di anticorpi) ma il virus ucciso con la formaldeide. Salk scoprì dunque che il virus morto non induce soltanto la risposta IgG-mediata ma è anche capace di proteggere i motoneuroni, scongiurando così il rischio di poliomielite bulbare e la sindrome post-poliomielitica.

In quel periodo gli Stati Uniti furono teatro di un aspro dibattito tra Sabin e Salk, tanto che il 12 aprile del 1955 accadde quello che oggi è conosciuto con il nome di incidente di Cutter: la società che aveva ottenuto la licenza per produrre e distribuire il Salk. Questa, nonostante gli stretti controlli che la caratterizzavano, fu al centro di uno scandalo basato sulla distribuzione di circa 120.000 dosi di vaccino per la poliomielite che conteneva il virus vivo e che causò lo sviluppo di polio abortiva (non neurologica) in circa 40.000 bambini, polio paralitica in 56 bambini e 5 morti. Nonostante tutto però gli Stati Uniti, superata la diffidenza iniziale, scelsero il Salk come vaccino contro la poliomielite, che venne distribuito gratuitamente, venne adottato dall’UNICEF e dalla WHO nei programmi di immunizzazione e che prevenne circa 500.000 casi di paralisi da poliomielite. La vaccinazione con Salk è tutt’oggi la più utilizzata ed è obbligatoria in Italia dal 1966.
Nonostante le problematiche legate alla diffusione di questi vaccini, oggi si stima che il Sabin e il Salk hanno ridotto l’incidenza dell’infezione da Poliovirus da circa 350.000 casi registrati nel 1988 ad appena 223 casi nel 2012. Inoltre, è necessario apprezzare ancor più l’efficacia della vaccinazione, alla luce del fatto che ad oggi non esiste una terapia antipoliomielitica: in caso di infezione in soggetti non vaccinati, infatti, l’unico trattamento possibile è quello di controllo farmacologico dei sintomi (per le forme meno gravi) e/o di assistenza ventilatoria con device meccanici nei casi più gravi.