L’empatia è una sensazione molto complessa e dalle mille sfaccettature, caratterizzata da una predisposizione genetica di base che può essere amplificata o ridotta con l’esperienza.
IN BREVE
Il termine empatia deriva dal greco en-pathos che letteralmente significa “sentire dentro”. Dal punto di vista sociale il significato di empatia è da intendere come un sentimento fondamentale per vivere in comunità: la capacità di comprendere e capire lo stato d’animo del prossimo e di immedesimarci in lui, escludendo giudizi morali e considerazioni soggettive come l’antipatia o la simpatia, favorisce e solidifica lo spirito di comunità. Fino a poco tempo fa si pensava che questo sentimento fosse frutto di uno sforzo mentale compiuto da coloro che per coscienza o per attitudine volessero comprendere gli altri. Oggi, grazie alle innumerevoli ricerche sulle emozioni nell’ambito delle neuroscienze e alla scoperta dei neuroni specchio, l’empatia è entrata a far parte di quel corredo genetico che appartiene ad ogni essere umano.
Avere empatia è come sbadigliare
I neuroni specchio sono un gruppo di cellule cerebrali scoperte negli anni ’90 e maggiormente rappresentate nella corteccia frontale, parietale, nelle aree motorie e in quella di Broca. Il loro ruolo fondamentale nelle scimmie si è registrato nei piccoli di macaco che, grazie a questi neuroni, sono in grado di imparare per imitazione dei loro simili.
Negli essere umani invece (per i quali sarebbe più corretto parlare di sistema specchio), questi neuroni permettono di compiere atti motori transitivi e intransitivi: non è necessario avere l’oggetto fisico per riproporre l’azione recepita dai neuroni specchio osservando un altro essere umano. Ultime scoperte hanno evidenziato come questi neuroni, che sono inoltre il motivo per cui lo sbadiglio diventa contagioso, siano inoltre concentrati nell’ippocampo e nella corteccia temporale. Queste ultime aree hanno poco a che vedere con gli atti motori, dal momento che sono la sede delle emozioni. La presenza dei neuroni specchio in esse potrebbero essere la chiave di volta per avere sempre maggiori informazioni sul nostro comportamento sociale.
Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.
– Schopenhauer
Le teorie sull’empatia
Uno dei modelli descriventi l’empatia più accreditato è quello descritto da Hoffman: è un sentimento esistente già alla nascita che si articola durante le varie fasi della vita. Lo studioso identifica tre forme di empatia:
- Affettiva: in questa forma, che coincide con la primissima infanzia, l’empatia non è altro che un sentimento intriso di affetto e sensazioni profondamente soggettive di cui il bambino non è pienamente cosciente;
- Cognitiva: man mano che il soggetto cresce la componente cognitiva raggiunge ed eguaglia quella affettiva così da avere forme più evolute di empatia in cui il soggetto impara a capire, e non soltanto a sentire, lo stato d’animo dell’altro;
- Emozionale: questa forma si definisce con l’esperienza dell’empatia così da scegliere di aiutare un soggetto perché si comprendono le sue emozioni, mantenendo comunque un certo distacco (si sfocerebbe altrimenti nella simbiosi), comporta un senso di benessere mentre decidere di non aiutarlo porta con sè il senso di colpa. Un buon modo per sviluppare questa forma di empatia è leggere libri di buona qualità in modo tale che avere un punto di vista diverso e immaginare la storia che si sta leggendo possa indurre la mente a conoscere più sfumature emotive possibili.
È importante a questo punto distinguere tra l’empatia e la mentalizzazione. Quest’ultimo è un processo importante della crescita che esprime la capacità di avere una “teoria della mente” attraverso cui comprendere i pensieri, gli stati mentali e le motivazioni altrui senza che siano necessariamente uguali alle proprie. Se entrambe hanno come oggetto in esame la comprensione degli altri, l’empatia aggiunge la preoccupazione e la condivisione. Inoltre la mentalizzazione non riguarda solo gli altri ma anche sé stessi: si giunge ad uno sviluppo psicologico adeguato quando si è in grado di comprendere e interpretare in maniera adeguata i propri stati d’animo.
Conosci te stesso e capirai gli altri
La consapevolezza di sé e degli altri è dunque il terreno fertile su cui far crescere i rapporti sociali e, uno dei motivi per cui oggi le persone empatiche sono sempre di meno, è forse da ricercare nell’adeguata evoluzione delle forme precedentemente descritte perché crescere in un ambiente in cui le distrazioni sono molte e i momenti di riflessione sono sempre di meno, capire il proprio mondo interiore è sempre più difficile.
L’empatia ha un’importanza sociale importantissima ed è un meccanismo di sopravvivenza della specie dal momento che induce ad entrare in connessione con chi si ha di fronte comprendendolo. Punto focale dell’empatia socialmente utile è infatti non soltanto la capacità di comprendere che qualcosa non va ma soprattutto capire come agire nei confronti di una persona che, ad esempio, soffre. Le azioni che si possono intraprendere sono sostanzialmente due: amplificare lo stato emotivo dell’interlocutore comportandosi da specchio emozionale nei suoi confronti (che, nel caso di un soggetto triste significa amplificare la sua tristezza) attuando la cosiddetta empatia proiettata oppure agire in base allo stato d’animo del proprio interlocutore senza giudicare, amplificare o farsi coinvolgere totalmente. Quest’ultima esprime il significato di empatia utile.
Si può imparare l’empatia?
Uno studio pubblicato su Nature ha evidenziato come gli operatori di salute mentale, ovvero persone che per il loro lavoro sono a contatto con soggetti sofferenti tutto il giorno, tendono ad avere una risposta più spiccata all’empatia rispetto ai medici che si occupano di altri reparti o a lavoratori che non hanno nulla a che fare con il mondo sanitario. Inoltre, gli operatori di salute mentale hanno una maggiore propensione a giudicare più duramente le cause che hanno inflitto dolore ai pazienti. Tutto questo fa comprendere che l’empatia è sì una prerogativa che l’essere umano porta con sè dalla sua nascita ma che, a differenza di sentimenti ancestrali come la paura, egli deve essere educato all’empatia. E’ dunque un sentimento che può tanto crescere nel corso della vita quanto diminuire.
E’ stato inoltre valutato con tecniche di imaging che l’empatia stimola le stesse aree cerebrali che sono stimolate dal dolore: questo potrebbe tanto significare che empatia e dolore sono due sentimenti indissolubili tra di loro o che, molto più banalmente, attivano le stesse aree cerebrali con processi diversi. Gli studi in questo senso sono molti ma la somministrazione di oppioidi (farmaci che riducono il dolore) ha portato un gruppo di soggetti in studio a percepire come meno dolorose non soltanto le piccole scariche di elettroshock che essi subivano ma anche quelle che sentivano le persone del gruppo di controllo.
Sii più motivato e avrai più empatia
Un altro concetto fondamentale per comprendere l’empatia è il concetto di motivazione: alcune persone tendono ad essere più empatiche rispetto ad altre perchè sono affettivamente o cognitivamente più motivate a comprendere e quindi a far stare meglio gli altri? In realtà non c’è una risposta univoca a questa domanda: secondo alcuni nei soggetti che per natura hanno una sensibilità maggiore, essere empatici significa “mettersi nei panni” dell’altro completamente e far stare meglio il prossimo diventa sinonimo di far star meglio sé stessi.
Secondo altri invece le persone più razionali e che quindi non hanno grandi coinvolgimenti emotivi nelle scelte della loro vita riuscendo a scindere ragione e sentimento, tendono ad avere un’empatia più distaccata: cambiano il loro punto di vista immaginando quello della persona che hanno di fronte e questo li porta da un parte a non lasciarsi coinvolgere emotivamente dalla situazione del prossimo (non entrano cioè in simbiosi con lui), dall’altra a non dare giudizi morali.
Sei un narcista? Potresti avere un deficit di empatia
L’esatto opposto dell’empatia è l’apatia: assenza di motivazione e incapacità di capire e modulare le proprie azioni nei confronti dei sentimenti altrui. L’apatia però non è una patologia o meglio, lo diventa soltanto nel momento in cui una persona poco empatica tende costantemente ed inconsciamente a svalutare i risultati degli altri in relazione all’impegno che ci hanno messo (apatia subclinica); o quando si ha una menomazione nel provare affetti e nell’iniziare un’azione (apatia clinica).
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), il morbo di Alzheimer e la Demenza Fronto-Temporale sono esempi di malattia neurobiologica in cui il paziente perde l’empatia e aumenta l’apatia. Ma la riduzione di empatia non sempre correla con un aumento dell’apatia: studi condotti su soggetti psicopatici (che dunque hanno un grado di empatia molto basso) hanno dimostrato che i programmi di empatizzazione aumentavano la loro risposta neurale: non c’era dunque in loro un danno a livello corticale (e quindi potenzialmente erano in grado di provare empatia) ma quello che mancava loro era la motivazione per farlo.
- NARCISISMO: questa condizione rientra tra le psicopatologie da riduzione di empatia perchè i narcisisti sono incapaci di percepire che anche gli altri hanno bisogni e necessità e sono quindi convinti che il loro modo di vedere il mondo sia universalmente giusto. I soggetti con questo profilo psicologico oltre ad avere una carenza di empatia hanno un’idea grandiosa di sé e un costante bisogno di ammirazione.
- DISTURBO ISTRIONICO DI PERSONALITÀ: questo disturbo è proprio delle persone che non riescono a comprendere il limite sociale delle relazioni sociali e che dovrebbero essere rieducate all’empatia perché hanno un’emotività esagerata e tendono ad avere comportamenti provocanti e/o seduttivi incuranti del contesto sociale in cui si trovano.
- PSICOPATIA: proprio di coloro che oltre ad avere una carenza di empatia non sono in grado di provare rimorso per le azioni compiute. Rientra tra i disturbi antisociali di personalità ed è associato al fatto che, tra le tante devianze che caratterizza il profilo di questi pazienti, gli psicopatici percepiscono le altre persone come semplici oggetti perché in loro è deficitario il feedback empatico che permette di mettersi nei panni degli altri.
Essere una persona empatica non significa essere sofferente ma significa imparare a gestire le proprie emozioni, avere una buona autostima e saper porre dei limiti cognitivi ed emotivi verso gli altri. In poche parole essere empatici significa coltivare quella che nella teoria delle intelligenze multiple viene chiamata intelligenza emotiva.