Cos’hanno in comune Amedeus Mozart, Micheal Jackson e Frank Sinatra? Oltre al fatto che ognuno di essi ha dato un contributo rivoluzionario al mondo musicale, sembra che tutti e tre avessero l’orecchio assoluto. Ma è davvero così indispensabile possedere questa dote per diventare un musicista di talento?
IN BREVE
Fa parte dell’immaginario comune credere che i migliori musicisti abbiano ricevuto sin dalla nascita il dono dell’orecchio assoluto, ovvero la capacità di riconoscere e denominare una nota senza compararla con un suono di riferimento. Recenti studi hanno però dimostrato che per un musicista piuttosto che l’orecchio assoluto è molto più importante coltivare e sviluppare il proprio orecchio relativo, che corrisponde invece alla capacità di cogliere le relazioni (o intervalli) tra le varie note e suoni, così da imparare l’arte dell’improvvisazione e sviluppare la facoltà di suonare varie melodie con tonalità differenti.
Orecchio assoluto VS orecchio relativo
Uno studio condotto a Bahr nel 1998 afferma due concetti importanti:
- l’orecchio assoluto si manifesta non soltanto in base all’ambiente in cui si cresce ma la sua definizione è inversamente proporzionale all’età in cui si inizia l’educazione musicale
- orecchio assoluto ed orecchio relativo sono due condizioni che non possono coesistere ma che anzi si escludono a vicenda.
Il dibattito è aperto soprattutto sull’ultimo punto dal momento che secondo altri autori le due condizioni hanno invece un ruolo sinergico e di potenziamento: il musicista con l’orecchio assoluto che ha sviluppato il suo orecchio relativo non ha soltanto la capacità di riconoscere le singole note senza un riferimento ma riesce anche a relazionarle tra di loro su differenti frequenze. Anche sull’assenza del riferimento è necessario fare un appunto poiché, soprattutto nell’educazione musicale occidentale, ogni voce canora e ogni strumento sono accordati in relazione alla vibrazione prodotta dal LA e quindi risulta logico pensare che i bambini avviati sin da piccoli all’arte musicale registrino il suono, la frequenza e la vibrazione del LA e che comparino inconsciamente ad essa tutte le note. Inoltre, per quanto si sia molto certi che l’orecchio relativo si possa “allenare”, sono tante le titubanze in relazione al fatto che l’orecchio musicale sia definito alla nascita.
Le basi genetiche e ambientali dell’orecchio assoluto
L’università di San Diego in California ha recentemente dimostrato che nell’espressione di questa dote ha un ruolo fondamentale l’ambiente in cui si cresce e le tradizioni (soprattutto linguistiche) con cui si è stati educati nel primo anno di vita. È stato identificato un polimorfismo a singolo nucleotide a carico del DNA denominato RS3057, che pare sia legata alla capacità di riconoscere le note musicali, ma gli studi scientifici su questo punto sono alquanto ambigui e contrastanti. Per quanto riguarda invece l’ambiente in cui si cresce pare che un ruolo fondamentale lo giochi il linguaggio. Non sorprende infatti che nelle popolazioni asiatiche ci sia una maggiore incidenza dell’orecchio assoluto, dal momento che il mandarino, il cinese o il giapponese sono per natura lingue tonali in cui il significato delle varie parole è strettamente connesso all’intonazione, alla musicalità e alla cadenza con cui vengono pronunciate.
Per un bambino, geneticamente predisposto allo sviluppo dell’orecchio assoluto, è importante acquisire suoni di questa natura nel primo anno di vita. Uno studio interessante afferma che nei primi 12 mesi di vita il cervello molto plastico del neonato è capace di acquisire e registrare tutti i suoni e la maggior parte delle frequenze (ed è questo il motivo per cui è più facile che un bambino da sempre abituato ad ascoltare linguaggi differenti diventi con più facilità un adulto poliglotto). Dopo questo lasso di tempo però è come se si definisse una selezione negativa nei confronti di quei suoni e quelle frequenze poco rappresentate nell’ambiente e così il bambino inizia a riprodurre i suoni che, in termini quantitativi, hanno maggiormente stimolato il suo cervello.
Quindi, in teoria, tutti noi nasciamo con l’orecchio musicale ma, se non lo si allena nei primi anni di vita rendendolo indispensabile, tendiamo a perderlo perché il cervello cerca di registrare solo i suoni utili alla vita di tutti i giorni attraverso un meccanismo definito use it or lose it.
Vedere i suoni, questione di orecchio assoluto
Un concetto particolare ed interessante è quello del pitch color (letteralmente colore delle note). Secondo questa teoria ogni nota avrebbe le sue caratteristiche peculiari concettualmente molto simile allo spettro visivo dei colori. L’orecchio umano però non sarebbe capace di coglierle dal momento che nella nostra cultura il riconoscimento dei suoni si riduce alla definizione del modo, del ritmo e dell’altezza tralasciando la tonalità e ciò, in termini cromatici, sarebbe come guardare il mondo in bianco e nero.
Il colore delle note esiste davvero in medicina e prende il nome di sinestesia che non è altro che la perturbazione che alcuni sensi (per esempio l’udito) inducono su altri (per esempio vista). Il sinesteta musicale afferma quindi di vedere i suoni perché una determinata nota scatena in lui esperienze automatiche o volontarie che non appartengono soltanto alla via sensitiva o cognitiva che le ha generate. Il cervello di queste persone è dunque capace di percepire la differenza tra due sensi ma è anche capace di rappresentarli contemporaneamente. Diversamente da quanto si potrebbe pensare soltanto raramente la sinestesia è associata ad autismo mentre risulta essere molto frequente nei soggetti con orecchio assoluto.
L’orecchio assoluto oltre la patologia
A favore di questa tesi gioca il fatto che soggetti ciechi alla nascita a causa di un’ipoplasia del nervo ottico o quelli che lo sono diventati precocemente, hanno un udito più sviluppato e più capace di cogliere le lievi sfumature dei suoni.Tra i soggetti non vedenti quella dell’orecchio assoluto è una facoltà molto rappresentata e, oltretutto, pare che in essi sia possibile svilupparla anche dopo l’anno di vita. Tutto ciò può essere spiegato facendo una semplice considerazione: circa 1/3 della corteccia cerebrale umana è destinata alla visione. Nel momento in cui viene meno l’input visivo in età infantile o esso non è mai stato percepito, il cervello riorganizza buona parte della corteccia destinata alla visione specializzandosi nella conoscenza e nell’analisi di altre percezioni, in particolare del tatto e dell’udito.
Un’altra patologia che si associa alla presenza dell’orecchio assoluto è la sindrome di Williams. Si tratta di una malattia congenita causata da una microdelezione cromosomica a carico del cromosoma 7 che determina un deficit della produzione di elastina. I bambini affetti da questa sindrome infatti presentano importanti alterazioni a livello cardiaco e a livello dell’arteria renale oltre ad avere una conformazione del viso caratteristica che peggiora durante lo sviluppo. La relazione tra la sindrome di Williams, l’orecchio assoluto e il prodigioso senso del ritmo è da ricercare nel fatto che essi hanno anche un’alterazione della funzione acustica che li rende soggetti ad acufeni e particolarmente sensibili ai rumori.
Differenze anatomiche o fisiologiche?
A questo punto la domanda sorge spontanea: quali sono le differenze fisiologiche tra un soggetto con orecchio assoluto e uno senza questa dote? Bisogna premettere che per l’intensità dell’ascolto è importante la velocità con cui le onde meccaniche dalla periferia giungono al cervello e che fisiologicamente le informazioni sonore raggiungono prima l’emisfero sinistro rispetto a quello destro. Quest’ultimo fenomeno prende il nome di differimento e nei soggetti con orecchio assoluto è ridotto a tal punto che i segnali sonori raggiungono quasi contemporaneamente i due emisferi.
Le differenze sono poi da ricercare anche nella morfologia del tessuto cerebrale poiché nei soggetti dotati si riscontra un’ipertrofia del planum temporale di destra (normalmente è maggiormente sviluppato quello di sinistra), la zona centrale dell’area di Wernicke che si trova posteriormente alla corteccia visiva e che è importante per il linguaggio. La vicinanza di queste due zone avvalora la tesi dimostrata da uno studio pubblicato nel 2009 secondo cui l’orecchio assoluto ha forti basi non soltanto linguistiche ma anche verbali. La maggiore rappresentazione del planum temporale destro favorirebbe gli assolutisti nell’etichettare adeguatamente le note. Questo studio ha infatti dimostrato che i soggetti non assolutisti tendono a confondere non tanto le note con una frequenza simile come Do-Re (261-293 Hz) ma quelle che hanno nel nome vocali in comune Do-Sol (261-392Hz). Non a caso infatti la nota più facilmente riconosciuta sarebbe il Re dal momento che è l’unica ad avere nella sua nomenclatura la lettera “e”.
Il test che diagnostica l’orecchio assoluto
Ma come si fa ad affermare che l’orecchio musicale sia una dote naturale? Esiste un test per l’orecchio assoluto chiamato digit span che studia la memoria auditiva: viene chiesto ai soggetti di ascoltare una serie di numeri e di ricordarne quanti più possibile. Le persone con orecchio assoluto tendono ad ottenere punteggi molto alti in questo tipo di test, per i cui risultati un altro studio aveva evidenziato il carattere genetico. Nell’ambito delle intelligenze multiple quindi i soggetti con orecchio musicale non hanno soltanto uno spiccato senso dell’arte e della musica ma tendono a ricordare meglio le cose ascoltate. Questo è quello che fanno i ricercatori per costruire le loro ricerche sulla base del metodo scientifico. In conclusione dunque, anche se non si sa ancora molto, gli studi più recenti tendono a sottolineare sempre di più che l’orecchio assoluto potrebbe essere una dote non così elitaria come si crede ma che potrebbe appartenere anche ai soggetti non musicisti. Non bisogna poi dimenticare che capire i meccanismi che regolano la manifestazione dell’assolutismo permetterebbe probabilmente di definire le condizioni per svilupparlo al meglio.
Fonte
- Thank you for the music?
The Lancet Journal - Vowel identity between note labels confuses pitch identification in non-absolute pitch possessors.
PubMed