Non c’è niente di più veloce della luce. E’ infatti ormai tramontato il sogno che i neutrini potessero esserlo. Lo studio di queste particelle subatomiche resta comunque di grande interesse per il futuro della fisica: rilevarli infatti non è affatto facile, riescono a passare attraverso la materia e proseguono indisturbati il loro tragitto.
IN BREVE
Esistono numerose particelle subatomiche e forse ce ne sono altre ancora da scoprire, quelle che godono di maggior fama sono: elettroni, protoni, neutroni, bosoni e fotoni. Proprio i fotoni sono le particelle subatomiche che compongono la luce.
Quanto tempo ci mette la luce del Sole ad arrivare sulla Terra? È un numero noto ormai: circa 8 minuti. Non è tanto il valore preciso di tempo che ci interessa, ma il fatto che questo non sia zero! Altrimenti significherebbe che la velocità della luce è infinita. Invece il principio cardine delle moderne teorie della fisica (ad esempio la relatività) considera un valore finito di velocità per la luce: quasi 300 000 km/s. La velocità della luce è stata assunta come limite massimo di velocità raggiungibile dagli oggetti dotati di massa. Come ha postulato Albert Einstein nella sua celebre teoria della relatività ristretta: non può esserci nulla di più veloce della luce. Ne siamo sicuri? Recenti esperimenti della comunità scientifica che avrebbero potuto letteralmente sconvolgere il mondo della fisica si sono incentrati su nuove particelle subatomiche: i neutrini.
Il progetto OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tracking Apparatus) ha permesso di calcolare la velocità di queste particolari particelle subatomiche che, almeno in una fase iniziale, si è rivelata maggiore di circa 6 mila m/s rispetto a quella della luce. Tuttavia lo studio, come è ormai appurato per espressa ammissione degli scienziati del CERN, conteneva un errore ed è stato messo in evidenza che queste particelle non sono più veloci della luce. E dunque non mettono in crisi la teoria della Relatività.
Quali particelle subatomiche compongono un atomo?
L’unico modello atomico in accordo con le leggi della meccanica quantistica è quello degli orbitali atomici: esso prevede che il movimento degli elettroni sia descritto da funzioni d’onda (ψ) all’interno dello spazio intorno al nucleo. L’esistenza delle due particelle subatomiche, ovvero protone ed elettrone, era già nota grazie all’esperimento di Thomson, quando nel 1911 fu proposto il modello atomico di Rutherford. La rappresentazione di Thomson è conosciuta come modello a panettone per la sua caratteristica del posizionamento degli elettroni non dettata da traiettorie su orbite.
L’apparato sperimentale originario dell’esperimento di Rutherford era costituito da una sorgente radioattiva di polonio. La sorgente emetteva particelle α (alfa): particelle subatomiche positive (protoni) composte da nuclei di atomi, per la precisione di elio. Le particelle α erano fatte passare attraverso uno schermo di piombo con una fenditura molto piccola che collimava il fascio di protoni. I raggi α bombardavano quindi una lamina sottile di oro e venivano in seguito intercettati a diversi angoli. Tutto l’apparato era, infatti, contornato da uno schermo di solfuro di zinco (ZnS). Il vantaggio di questo schermo consiste nella sua fluorescenza: emette lampi di luce quando viene colpito dalle particelle subatomiche. In questo modo Rutherford e i suoi collaboratori furono in grado di valutare la deviazione dei protoni dal fascio iniziale.
Il risultato fu che alcune particelle α oltrepassarono la lamina d’oro proseguendo lungo la direzione iniziale, altre vennero deviate e una minoranza fu addirittura riflessa. Le particelle positive che non furono deviate dal fascio iniziale, erano passate in spazi vuoti e quindi avevano conservato la direzione originaria. Quelle deviate di piccoli angoli avevano incontrato sul loro cammino una massa nucleare che cambiava di poco la traiettoria, mentre le particelle che furono riflesse dovevano essere state sottoposte ad una vera e propria forza repulsiva. Essendo le particelle α positive, lo scienziato neozelandese, comprese che durante il loro percorso dovevano aver incontrato alcune particelle subatomiche negative causando fenomeni di repulsione. Fu in quel momento che venne ipotizzata una presenza di carica negativa intorno al nucleo composta da elettroni in movimento.
La scoperta di un’altra particella subatomica
Nel 1914, lo scienziato inglese Chadwick, scoprì che i nuclei colpiti da radiazioni β (beta) emettono elettroni con uno spettro di energia continuo. Le radiazioni β sono particelle a carica negativa, l’opposto dei raggi α usati nell’esperimento di Rutherford. Le particelle β possiedono un alto valore energetico che può causare il decadimento radioattivo di un atomo in un altro atomo differente (quindi cambiando numero atomico) liberando elettroni. È il caso ad esempio del Cobalto-60 che decade in Nichel-60 liberando un elettrone.
Co → Ni + e–
Il problema che sorgeva da questa tipologia di esperimenti era però che l’energia del processo non si conservava. Il verificarsi di tale evento era però una grave violazione del principio di conservazione dell’energia, il che non era cosa da poco. Per ovviare a questa problematica, nel 1930, Pauli suppose l’esistenza di un’altra particella che sarebbe stata liberata proprio come avviene per l’elettrone. Una particella che portasse con sé la differenza di energia tra nucleo iniziale e quello finale più l’elettrone. Questa particella prese il nome di neutrino (indicato con la lettera greca ν).
Co → Ni + e– + ν
L’esistenza di questa nuova particella è stata in seguito confermata diventando un nuovo oggetto di studio. Bisogna, però, far attenzione a non confondere i neutrini con i neutroni. Il neutrone è una particelle subatomica scoperta dallo stesso Chadwick circa 2 anni dopo la teoria di Pauli. Anch’esso è privo di carica, ma con massa molto maggiore del neutrino ed è presente negli atomi già al livello del nucleo. Per individuare un neutrino, invece, è necessario un decadimento.
Che cosa sono i neutrini?
Oggi del neutrino sappiamo che: è una particella elementare, con massa e dimensione molto minore di un elettrone e che quindi interagisce poco con la materia. Un’altra caratteristica rilevante è la carica elettrica: la carica di un protone è +1,6 · 10−19 C(coulomb), la carica di un elettrone è pari a quella del protone con segno negativo, mentre il neutrino non ha carica elettrica. Per individuare un neutrino, invece, è necessario un decadimento. Ad oggi sono classificati tre tipi di neutrini a seconda della loro natura: elettronici, muonici e tau.
Le piccole dimensioni dei neutrini gli conferiscono la capacità di passare negli spazi vuoti della materia e degli atomi stessi, oltre che una velocità prossima a quella della luce, rendendolo una particella inafferrabile.
Come intercettare un neutrino?
Per fermare un solo neutrino sarebbero necessari milioni di masse solari e forse non basterebbero, perciò lo studio di queste particelle è estremamente complicato. Fortunatamente i neutrini sono prodotti in grande quantità nello spazio. Sulla Terra arrivano per lo più quelli che fuggono dal Sole, ma anche prodotti da decadimenti che avvengono all’interno della Terra e perfino prodotti appositamente dall’uomo. Il numero di neutrini che attraversano il nostro corpo è enorme. Basti pensare che soltanto un nostro dito è attraversato ogni secondo da ben 1011 neutrini, ovvero cento miliardi!
Avendo, perciò, a disposizione un così alto numero di eventi, anche con una bassa probabilità di interazione con la materia, la comunità scientifica può sperare in una buona quantità di osservazioni. Per osservare il maggior numero di neutrini occorre mettersi in luoghi geografici particolari, in condizioni da favorire le interazione osservabili con la materia: posti in cui i neutrini devono attraversare molta massa prima di essere rivelati. Viene naturale pensare al cuore di una montagna o alle profondità della terra.
Il più grande osservatorio di neutrini si trova nelle profondità della miniera di Mozumi in Giappone, dove è contenuto un enorme serbatoio di acciaio alto più di 40 metri. Il serbatoio contiene 50 mila tonnellate di acqua distillata. Le sue pareti sono ricoperte da 11 mila fotomoltiplicatori molto sensibili capaci di rilevare le particelle con molta precisione. Quando un neutrino penetra all’interno del serbatoio può interagire con l’acqua e produrre a sua volta due particelle con carica elettrica: un elettrone o un muone (il parente più grasso dell’elettrone). Poiché la probabilità che si verifichi un’interazione è molto bassa serve una grande quantità di acqua: più ce n’è, più è probabile che uno dei neutrini che l’attraversano reagisca. La particella carica che viene prodotta si muove nel liquido a una velocità maggiore di quanto farebbe la luce stessa nell’acqua.
A quel punto le particelle emettono una radiazione luminosa simile al blu. I fotomoltiplicatori rilevano la luce e dalla direzione di provenienza dell’elettrone o del muone si determina quella del neutrino che ha reagito con l’acqua di Super Kamiokande.
Esistono anche altri luoghi in cui si conducono rivelazioni di neutrini o particelle subatomiche, ad esempio al Polo Sud (Ice Cube) e al Gran Sasso. Proprio in quest’ultimo che è avvenuta la misura della velocità dei neutrini.
Descrizione del progetto OPERA
L’esperimento è stato compiuto in collaborazione tra il Cern (Centro Europeo di Ricerche Nucleari) di Ginevra e l’Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare).
A Ginevra si è accelerato un fascio di neutrini muonici poi sparato in direzione del Gran Sasso percorrendo una distanza di 730 chilometri sottoterra e con alcuni dispositivi se ne è determinata la velocità. La velocità della luce calcolata con la massima precisione vale 299 792 458 m/s, mentre quella dei neutrini è risultata, almeno inizialmente, pari a 299 798 454 m/s, quindi una differenza di circa 6 mila m/s. Tutto ciò era stato valutato nei margini di errore: al tempo di acquisizione misurato è stato attribuito un’incertezza pari a circa 10 ns (nanosecondi). Considerando che la differenza tra il tempo di arrivo della luce e dei neutrini è di 60 ns, significa che la discrepanza tra i valori è significativa. In particolare (in ambito fisico) si parla di 6 deviazioni standard, il che dà una probabilità vicinissima al 100% che la misura sia il valor vero da attribuire alla velocità.
Risultati dell’esperimento
Tuttavia, come avevamo anticipato all’inizio dell’articolo, l’esperimento è stato condotto altre volte rivelando un valore di velocità dei neutrini inferiore a quella della luce. La variazione sulla misurazione delle precedenti velocità elevate dei neutrini è stata imputata ad errori sistematici durante l’esecuzione dell’esperimento. Le nuove misurazioni dopo il settembre 2011 hanno infatti confermato la validazione della teoria di Einstein. Il comunicato del 22 maggio 2018 conferma il modello sulle particelle subatomiche che prevede la velocità della luce come limite massimo. Con la correzione effettuata nelle procedura di misura, però, gli scienziati sono giunti a un valore di velocità, seppur inferiore, ma soggetto ad incertezza che non identifica una differenza netta con quella della luce.
Ad ulteriore ampliamento sulla conoscenza dei neutrini, le ultime analisi del fascio delle particelle subatomiche ha dimostrato in modo definitivo come i neutrini possono cambiare la loro natura. Almeno 10 eventi di neutrini muonici fatti partire dal Cern si sono convertiti in neutrini tau. Tale fenomeno di conversione è noto come oscillazione dei neutrini, la cui spiegazione fisica è poco chiara al momento e richiederà anni di lavoro.
In tutto il mondo vengono svolti continui esperimenti sulle caratteristiche dei neutrini e la precisione dei mezzi misura non permetto agli scienziati di avanzare ipotesi. Se la velocità dei neutrini fosse superiore a quella della luce, allora sicuramente si potrebbero aprire nuovi scenari, come l’ipotesi azzardata che i neutrini viaggino all’indietro nel tempo. Certo è che le teorie scientifiche sono valide finché non vengono smentite portando a un avanzamento delle conoscenze della fisica moderna, arrivando alla scoperta di chissà quali segreti dell’universo.
Fino a quell’ipotetico momento tuttavia, oggi i neutrini – dopo un’improvvisa ribalta – sono tornati ad essere considerati particelle “normali”, e Albert Einstein aveva ragione. Ciò nonostante lo studio di questa tipologia di particelle rimane assolutamente di importanza fondamentale per il futuro della fisica.
Fonte
- Bettini–New Neutrino Physics
Società Italiana di Fisica - Recami et alt., Are muon neutrinos faster than light particles
Science Direct - Infn
progetto Opera - New Constraints on Neutrino Velocities
Cornell Universiy Library - OPERA experiment reports anomaly in flight time of neutrinos from CERN to Gran Sasso
CERN