Una ricerca della Laurier University ha dimostrato come un piccolo rito voodoo virtuale può aiutare i dipendenti a ristabilire il proprio senso di giustizia dalle angherie di un capo oppressivo.
IN BREVE
Il capo vi rende la vita impossibile. Il lavoro è diventato un inferno, e tutto per colpa di un superiore pressante e maleducato. Non ce la fate più. Beh, esiste un modo per uscire da questa situazione preservando sia il posto di lavoro che la sanità mentale. Un metodo improbabile, se non del tutto strampalato e degno di una pagina di fumetto, ma che ha trovato riscontro scientifico nei dati di oltre 200 lavoratori maltrattati che hanno ristabilito la pace interiore in un modo… alternativo. Con un semplice atto di vendetta simbolica simulata.
Secondo uno studio condotto da Lindsie Hanyu Liang, della canadese Wilfrid Laurier University, sfogarsi su una bambola voodoo che raffigura il proprio capo è un mezzo efficace per scaricare la rabbia e ristabilire una sana percezione di giustizia, nonostante le angherie subite. Anzi, a dirla tutta non c’è nemmeno bisogno della bambola: un qualsiasi oggetto in grado di rappresentare l’oppressore va bene, perfino un modello virtuale. Finché si tratta di una costruzione simbolica, il materiale non incide sull’effetto terapeutico del karma fittizio che si mette in atto – quindi sì, anche il cliché delle freccette lanciate contro la fotografia condivide lo stesso fondamento psicologico.
Se una ricerca del genere vi lascia perplessi, o almeno remotamente confusi, state tranquilli – non siete i soli. Lo studio, pubblicato a febbraio su Leadership Quarterly, è appena valso a Liang il Premio Ig Nobel 2018 per l’Economia. Per chi non lo conoscesse, l’Ig Nobel è un riconoscimento stanziato annualmente dalla rivista scientifico-umoristica Annals of Improbable Research in onore delle scoperte scientifiche più strane (ma sempre fondate) su cui la comunità accademica abbia voluto investire il suo tempo. O, come recita il motto del premio, “ricerche che fanno ridere, poi riflettere”. Giusto per dare un’idea, il premio per la Biologia del 2007 era un censimento di tutti gli acari, ragni, funghi e crostacei che vivono nei nostri letti. O quello per la Chimica del 2005 un meno socialmente utile studio sulla velocità con cui un uomo può nuotare nello sciroppo rispetto all’acqua. Tutto regolarmente corredato di framework teorici e test empirici sul campo.
Così pure la ricerca della Laurier University: è stato chiesto a 229 lavoratori statunitensi e canadesi di descrivere la propria esperienza di routine lavorativa, in riferimento al tipo di supervisione a cui erano sottoposti (neutrale o oppressiva). Quindi, ad alcuni di essi è stata data la possibilità di scaricarsi contro una bambola voodoo online raffigurante il capo detestato utilizzando strumenti virtuali come spilli, pinze e via dicendo. Intervistati nuovamente, i partecipanti che si sono sfogati percepivano un maggiore senso di giustizia rispetto al gruppo di controllo di lavoratori che non hanno eseguito la vendetta simbolica.
“Un semplice e innocuo atto di rappresaglia simulata può far sentire le persone come se pareggiassero i conti e ristabilisce la loro percezione di giustizia”, spiega Liang al Telegraph. “Non deve essere una bambola voodoo di per sé: teoricamente qualsiasi cosa possa servire come oggetto di vendetta può funzionare.” Nonostante questo, la ricercatrice è esitante a consigliare ai lavoratori di cimentarsi in riti voodoo o strane pratiche di magia nera delle Antille. Come esperta di business e ambienti di lavoro, sostiene che “l’attenzione dovrebbe essere sul comportamento del leader”, di cui gli atti di sfogo dei dipendenti non sono che la necessaria conseguenza.
In aggiunta, mentre lo studio svela un meccanismo psicologico di valore di giustizia, la religione voodoo è altra cosa, e malgrado il fascino folkloristico e il successo nella cultura pop (se avete notato lo spopolare di brani come Voodoo Love di Ermal Meta sapete bene cosa intendiamo) rappresenta un campo che per sua natura non è scienza. Ma non lascia inerte la comunità scientifica, specialmente davanti all’opportunità di studiare come le convinzioni sul paranormale siano in grado di distorcere la percezione della realtà.
È in questa direzione che, per esempio, si era mosso l’ora scomparso Daniel Merton Wegner, professore di psicologia alla Harvard University. Fra le innumerevoli ricerche dedicate alle modalità con cui la mente è in grado di illudere sé stessa e attribuire significati profondi a avvenimenti casuali, citiamo un test condotto proprio sulla suggestione che una pratica voodoo – come quella descritta da Liang – può indurre in chi la svolge, portandolo a credersi responsabile di ogni eventuale malessere che la persona bersaglio subisce. Un po’ come quando, utilizzando una tavola Ouija per comunicare con gli spiriti, si attribuisce al paranormale quello che in realtà è solo un effetto ideomotorio di suggestione. Molti finti riti di magia nera si basano su questo errore di percezione.
Per mettere a nudo questo meccanismo di autoillusione, Daniel Wegner e Emily Pronin chiesero ai partecipanti di eseguire un piccolo rito voodoo su bambole raffiguranti delle vittime designate. Tali vittime non erano altro che attori a cui era stato chiesto di fingersi partecipanti a loro volta, arrivare tardi all’esperimento, trattare gli altri con maleducazione e rendersi complessivamente detestabili. In seguito alla cerimonia voodoo che li prendeva a bersaglio, le vittime si sono ripresentate fingendo di avere un forte mal di testa. La maggior parte dei soggetti, intervistati a fine esperimento, si credeva responsabile del dolore dei bersagli.
“Apparentemente, avere pensieri cattivi verso una persona ci rende più inclini a sentire responsabilità per quella che subisce”, notava Wegner, aggiungendo come questi risultati siano spesso applicati nella vita di tutti i giorni. Per esempio, capita di sentirsi in colpa quando si sparla di una persona e subito dopo le accade qualcosa di male. O al contrario, quando si augura il meglio a qualcuno, si percepisce un lieve senso di merito se le cose vanno come sperato. “Quando sentiamo di aver causato qualcosa, tale sentimento potrebbe essere una costruzione mentale o un’illusione. Per sentirsi responsabili è sufficiente anche solo pensare a un evento appena prima che accada.”
È lo stesso principio del voodoo sul capo. L’appagamento del senso di giustizia ha luogo perché ci si sente responsabili in prima persona dell’atto di vendetta, anche se solo virtuale. Di conseguenza, l’impressione è di avere attivamente pareggiato i conti attraverso un rituale voodoo simbolico ma eseguito personalmente. Il discorso è puramente di percezione, e di come essa venga alterata da emozioni forti come rabbia e desiderio di rivalsa.
Quindi, anche se non è il caso di confezionare bambole da trafiggere ogni volta che si subisce un’angheria sul lavoro, scaricare la tensione (anche solo virtualmente) è un modo efficace per ristabilire il proprio senso di giustizia, e la capacità di sopportazione. Ci sono relazioni interessanti tra credenza voodoo e psicologia umana, che possono aiutarci a comprendere i meccanismi della suggestione. Specialmente quando siamo noi ad autoconvincerci.
(Se ancora ve lo state chiedendo, l’uomo nuota alla stessa velocità nell’acqua e nello sciroppo.)
Fonte
- Laurier researcher wins Ig Nobel Prize for research on employee retaliation using voodoo dolls
Wilfrid Laurier University - Righting a wrong: Retaliation on a voodoo doll symbolizing an abusive supervisor restores justice
The Leadership Quarterly - Winners of the Ig Nobel Prize
Improbable Research - Who really does that voodoo?
American Psychological Association