Nelle ultime due decadi, il codice genetico espanso sta acquistando sempre più importanza nel mondo della biologia come nuovo metodo di codifica di aminoacidi non naturali, implementabili in proteine naturali con promettenti e vaste possibilità di applicazione.
IN BREVE
Era il lontano 1961 quando l’intera comunità scientifica si domandava, ormai da un decennio, in che modo, dalla macromolecola che più di tutte aveva prepotentemente fatto ingresso nella classifica dei polimeri più importanti in biologia in ottica evoluzionistica, il DNA, potesse avere origine un’immenso proteoma. Il DNA è solo una mera sequenza di nucleotidi o questi dirigono l’assemblaggio dei mattoni che costituiscono le proteine, gli aminoacidi? Il 15 Maggio dello stesso anno, Marshall W. Nirenberg e il suo collaboratore J. Heinrich Matthaei, diedero una risposta a tale quesito. Effettivamente, vi è una correlazione diretta e proporzionale tra una tripletta di nucleotidi (codone) ed un aminoacido tra i 20 della serie L, ossia i principali costituenti delle proteine rinvenibili negli organismi viventi. Da lì a breve, si sarebbero lanciati un un vero e proprio cracking del codice che, senza abuso di linguaggio, può essere definito un source code degli esseri viventi. Da esso questi attingono per produrre le molecole necessarie alla loro sopravvivenza. Essi scoprirono che il codice genetico, altamente conservato a livello evolutivo, è costituito da 64 codoni, ciascuno dei quali codifica per un aminoacido. Tutti tranne tre di questi, che terminano la sequenza di sintesi della proteina (sequenze nonsense o stop UGA, UAA e UAG) e dei quali ancora non si era scoperto il vero potenziale.
La codifica di aminoacidi non naturali
Malgrado l’efficacia di conservazione evolutiva e l’universalità del codice, molti gruppi di ricerca si sono posti il problema di come sfruttare al massimo l’efficienza e la fedeltà dei meccanismi di decodificazione molecolari. Bisognava dare al codice genetico universale un’identità nuova, innovativa. Sicuramente il codice genetico standard è sufficiente per la vita, ma ciò non bastava ai ricercatori. Possiamo sfruttarlo per introdurre nelle proteine aminoacidi non naturali, in modo da creare delle proteine aventi nuove funzionalità, chimicamente ricettive ad un qualsiasi substrato organico? Gli orizzonti del codice possono essere ampliati? In che modo può essere ottenuto un codice genetico espanso? L’incorporazione di aminoacidi non naturali, nella sequenza peptidica di una proteina, è un procedimento complesso e coinvolge diversi “attori molecolari”. Ma sì, è possibile, e sfrutta le sequenze di stop il cui ruolo appariva come unicamente determinato. Prima di tutto abbiamo bisogno di un RNA-transfer o tRNA. Questa è una molecola che catalizza il trasferimento di uno specifico aminoacido nella neoformantesi sequenza peptidica e che riconosce uno specifico codone con una sequenza complementare, l’anticodone. Un corrispondente aminoacil-tRNA sintetasi (un enzima) e quantità intracellulari significative dell’aminoacido non naturale da incorporare. La selezione di unaa (unnatural aminoacid) avviene attraverso vari processi di stabilizzazione nell’ambiente riducente presente all’interno delle cellule. Al pari della specificità con cui l’asse di un segmento lo interseca perpendicolarmente ed unicamente nel suo punto medio, questi tre elementi devono essere “ortogonali”. Gli elementi dell’asse cotone-anticodone-enzima-aminoacido devono riconoscersi a vicenda in modo altamente fedele e selettivo. I corrispondenti elementi endogeni e gli enzimi attivi da un punto di vista metabolico devono essere poco competitivi e la stabilità intracellulare è un requisito essenziale per evitare la loro depolimerizzazione.
Bisogna, a questo punto, trovare dei codoni che non codifichino per nessuno degli aminoacidi già esistenti. Inoltre, devono scavalcare la fedeltà di codifica del codice genetico degenerato. Ed è proprio qui che entrano in gioco i nonsense codons. Inizialmente, infatti, i primi tentativi di incorporazione di un codice genetico espanso sono stati effettuati sfruttando l’amber nonsense codon UAG. Per specificare un nuovo aminoacido in Escherichia Coli ci si è serviti del tRNA di Methanococcus jannaschii (MjtRNA), un archebatterio, ottenendo un E. Coli esprimente 21 aminoacidi.
Prospettive e applicazioni del metodo
Da allora c’è stato un grande ampliamento di prospettiva, arrivando alla creazione di librerie di oltre 30 aa in organismi modello. Attraverso la genesi in vitro di tRNA capaci di riconoscere non più triplette, ma quadruplette di nucleotidi, si ingrandita notevolmente la capacità di codifica. La generazione di proteine con proprietà fisiche e chimiche uniche, sta portando all’esplorazione di una vasta gamma di applicazioni che sfruttano gli “upgrade” peptidici del codice genetico espanso. Tra queste vi sono l’introduzione di gruppi chimicamente reattivi. Ad esempio attraverso l’incorporazione specifica di aminoacidi non naturali capaci di associare la neoproteina ad un “tag” di un cromoforo (molecola che interagisce con la luce, illuminandosi a sua volta), in modo da attivarla o disattivarla semplicemente con una fonte luminosa (come un interruttore light-based).
Promettente risulta la possibilità di potenziare l’azione farmacologica di alcune molecole, favorendone la stabilità chimica nell’ambiente cellulare. Come anche la creazione di biopolimeri interamente costituiti da backbones di proteine contenenti aminoacidi non naturali. Per ultima, ma anche più intrigante e soggetta a dibattiti di natura etica, l’enorme potenzialità di generare organismi pluricellulari con un codice chimerico, naturale e non, e valutarne il successo evolutivo. Chissà, infatti, se l’evoluzione avesse scelto un modo differente per codificare il proprio linguaggio, come quest’ultimo avrebbe modificato la biodiversità e la vita in toto? E ammesso che vi siano forme di vita aliena su altri pianeti, in che maniera avranno scelto di codificare il linguaggio che dà identità alla loro stessa esistenza?
Fonte
- A chemical toolkit for proteins: an expanded genetic code
Nature molecular cell biology