La definizione di protisti è cambiata nel corso del tempo, in passato intesi come organismi che non erano né piante né animali ed adesso definiti una moltitudine di organismi che non possono essere raggruppati all’interno di un gruppo monofiletico. Gli studi condotti durante gli ultimi 50 anni dimostrano che tutte le suddivisioni utilizzate per differenziare gli altri gruppi di organismi non sono applicabili ai protisti.
IN BREVE
I protisti sono comunemente definiti come organismi eucarioti che non fanno parte dei regni di Funghi, Piante e Animali poiché il loro gruppo, al contrario dei principali regni animali, non possiede la caratteristica di essere monofiletico (ovvero, derivanti da un unico capostipite ancestrale). La difficoltà nella classificazione sistematica del gruppo è infatti dovuta alla sua natura parafiletica, che è la caratteristica di un gruppo di organismi di derivare da un progenitore comune, che però non include tutte le specie discendenti da questo. I protisti sono usualmente organismi unicellulari, ma possono essere anche muticellulari o costituiti da una singola cellula che può assumere dimensioni notevoli. Se tralasciamo per un attimo le differenze riguardanti il numero di cellule, ci accorgiamo subito che gli organismi appartenenti a questo gruppo presentano ulteriori, e spesso più significative dal punto di vista sistematico, divergenze. Una di queste è senza dubbio la modalità di alimentazione; a tal proposito distinguiamo diverse tipologie di trofismo che includono i protisti fotosintetici (autotrofi) che possiedono un’ampia varietà di pigmenti che sfruttano la radiazione luminosa come fonte di energia per la costruzione di molecole organiche che poi verranno depolimerizzate; altri sono eterotrofi e necessitano dell’assorbimento di molecole organiche da altri organismi viventi; altri ancora sono saprofiti e si nutrono di organismi morti. Alcuni, degni di nota, sono mixotrofi, condizione nella quale attuano sia processi di fotosintesi che attività di alimentazione caratteristiche di eterotrofi.

I protisti differiscono enormemente anche morfologicamente, da 1µm di diametro (come Micromonas e Nosema) fino a 100 metri di lunghezza (Macrocystis). Possono essere di forma cubica, piramidale, a stella, cilindrica e molte altre non riconducibili ai solidi geometrici più comunemente conosciuti. Inoltre, alcuni presentano pareti cellulari di natura sia organica che inorganica, altri possiedono cellule “nude”. Curiosamente, al contrario di animali e vegetali, non riscontriamo nette caratteristiche morfologiche o fisiologiche che fanno dei protisti un gruppo monofiletico. Alla luce di questo, i metodi di classificazione che si basano sulle modalità di nutrizione, sugli stadi vitali e sul numero di cellule non sono più utilizzati per definire filogeneticamente il gruppo dei protisti, come nessun altro gruppo di organismi. Al contrario nuove metodologie di classificazione, come l’analisi ultrastrutturale di caratteristiche morfologiche e delle sequenze nucleotidiche dei geni, hanno esteso e raffinato l’analisi filogenetica del gruppo. Ciò ha portato alla costruzione di alberi filogenetici basati sui fattori mendeliani, i geni, comuni a tutti gli organismi. Seppur approssimati, principalmente a causa delle nostre ancora limitate conoscenze, questi alberi rappresentano un notevole miglioramento della nostra comprensione di questo gruppo particolare e, in un certo senso, “problematico”.
Il ruolo della biologia molecolare nella filogenesi
La moderna storia dei protisti è iniziata con l’avvento della microscopia elettronica, che ha anche portato a scoperte rivoluzionarie sulla biodiversità di piante e animali. Le informazioni ricavate da analisi di morfologie a livello ultrastrutturale hanno avuto un effetto marcato sulla classificazione dei protisti, che ha anche ricevuto un notevole contributo dalla teoria endosimbiontica. Infatti il concetto di endosimbiosi è stato cruciale per la comprensione della biodiveristà del gruppo ed di particolare utilità è stata l’indagine dell’origine endosimbiontica degli organuli cellulari contenenti pigmenti fotosintetici, i cloroplasti. Molto presto gli scienziati si accorsero che alcune alghe potevano essere imparentate più strettamente con alcuni Oomiceti (water molds, ord. Saprolegniales) che con altre alghe o che i protozoi che causavano la malaria (gen. Plasmodium, vedi Fig.3) potessero derivare da alghe. La microscopia elettronica ha avuto un impatto significativo nella classificazione avanzata dei protisti ma lo studio della biologia molecolare degli organismi appartenenti a questo gruppo ha avuto un ruolo indubbiamente determinante in questo senso. Applicando tecniche di biologia molecolare per studiare e confrontare le sequenze nucleotidiche dei geni si sono arrivate a comprendere in maniera più approfondita le relazioni evolutive di diverse classi di organismi appartenenti al gruppo. Come non è stato per il secolo scorso, periodo in cui le relazioni filogenetiche a fini classificatori erano ritenute di secondaria importanza, lo studio della filogenesi è diventato di fondamentale. Ad esempio, le relazioni evolutive tra le alghe cromofite appartenenti al phylum Heterokonta sono state studiate analizzando il SSU rRNA (small subunit ribosomial RNA, RNA della subunità minore dei ribosomi) nucleare e dei cloroplasti, e i geni che lo codificano. Sfortunatamente la ricostruzione della filogenesi è ostacolata dalla nostra scarsa conoscenza di caratteristiche ultrastrutturali non sempre comparabili (I flagelli, tipici di alcuni protisti, sono assenti in altri) e dinamiche enzimatiche non ancora chiare dal punto di vista biochimico.

L’identificazione delle specie nei protisti
La definizione del concetto di specie all’interno del gruppo è altrettanto problematica. In questa direzione, il concetto morfologico di specie è quello usato più comunemente quando si parla di protisti, poiché le modalità di riproduzione in molti sottogruppi sono sconosciute. La supposizione implicita del concetto morfologico di specie è quella che ogni volta che avviene un processo di speciazione, questo porterà ad un cambiamento morfologico rispetto alle specie già esistenti. Per certi protisti questo concetto si applica alla perfezione, mentre per altri no. Il concetto biologico di specie è applicato nei sottogruppi di protisti in cui è nota la modalità di riproduzione sessuale, cioè in alghe verdi, ciliati, alghe rosse e diatomee. Tuttavia, è necessario precisare che il concetto biologico di specie deve prima superare la barriera o “filtro” imposta dal concetto morfologico. In altre parole, se si determina un certo grado di affinità morfologica e si riconosce una compatibilità sessuale, allora si può applicare il “test” del concetto biologico ovvero, in maniera molto semplificata, verificare se la prole generata sarà fertile. Recentemente, l’analisi di sequenze nucleotidiche selezionate sono state utilizzate per differenziare le specie secondo i due concetti sopra citati. Entrambi i concetti sono congruenti per le macroalghe e l’analisi genica ha contribuito a determinare questa congruenza, mentre lo stesso non vale per le microalghe poichè cambiamenti evolutivi nelle sequenze geniche e nelle caratteristiche morfologiche dei diversi gruppi (che suggeriscono la presenza di eventi di speciazione) non sono supportate dalla sufficiente conoscenza delle modalità di riproduzione. In alcuni casi, come nel fitoplancton di forma coccoide, le differenze morfologiche sono esigue tra le specie, ma questo non significa che tutti gli organismi del gruppo che presentano questa morfologia appartengano alla stessa specie. Questi organismi richiedono l’applicazione di un concetto “molecolare” di specie che fornisca criteri di classificazione validi, cioè necessitano di una caratterizzazione molecolare che evidenzi dei criteri discriminatori non individuabili a livello morfologico.

Importanza economica e commerciale dei protisti
L’importanza economica dei protisti è spesso sottostimata, a volte anche dai protistologi. Ad esempio le alghe costituiscono il 40% della produttività primaria a livello globale e i protisti in generale contribuiscono in maniera significativa ai processi di produzione di cibo e manifatturieri. Mentre la fotosintesi attuata dalle alghe è senza dubbio riconosciuta come ecologicamente essenziale per la vita dei mari e degli oceani, è forse più difficile realizzare che il commercio ittico è fortemente dipendente, direttamente o indirettamente, dalla sopravvivenza delle alghe. Allo stesso modo le alghe hanno avuto un ruolo cruciale nella fissazione del carbonio presente nell’ambiente per produrre composti organici che nelle ere geologiche si sono accumulati e che oggi sfruttiamo sotto forma di greggio e gas naturali. La ricerca in biomedicina ha dimostrato che acidi grassi come l’acido eicosapentaenoico (EPA) riduce il rischio di malattie cardiovascolari. L’uomo attinge principalmente dal pesce questo nutriente che assume a sua volta l’EPA dal fitoplancton marino. L’EPA è inoltre prodotto da protisti eterotrofi e la sua estrazione e commercializzazione ha bassi costi. Il DHA (acido docosaesaenoico) promuove lo sviluppo neurologico nei bambini ed è prodotto dal dinoflagellato Crypthecodinium, un protista.

I protisti rimangono un gruppo significativo in biologia e costituiscono una “raccolta” di organismi prevalentemente microscopici, alcuni dei quali sono legati ad antenati di animali, funghi e piante. Filogeneticamente, i Protisti rappresentano un gruppo di organismi che difficilmente saranno mai riuniti in un’unità tassonomica organica. In altre parole, vi è ben poca speranza di leggere in un libro di Biologia del futuro del Regnum Protista, o regno dei Protisti.
Fonte
- Not plants or animals: a brief history of the origin of Kingdoms Protozoa, Protista and Protoctista.
PubMed