La fluorescenza è l’emissione di luce da parte di una sostanza che ha assorbito una radiazione elettromagnetica. Nella maggior parte dei casi, la luce emessa ha una lunghezza d’onda maggiore e quindi un’energia minore rispetto alla radiazione assorbita.
IN BREVE
La fluorescenza è una forma di luminescenza. Le sostanze fluorescenti assorbono le radiazioni elettromagnetiche ricevute e sono in grado di riemetterle a una lunghezza d’onda maggiore, e quindi a energia minore. L’esempio più eclatante di fluorescenza avviene quando la radiazione assorbita è ultravioletta e quindi invisibile all’occhio umano; dato che la radiazione riemessa è a lunghezza d’onda maggiore, essa è nella parte visibile dello spettro. Così una radiazione invisibile diventa visibile, e ci sono molti oggetti che emettono luce di un colore specifico solo se esposti ai raggi UV. I materiali fluorescenti smettono di brillare quando la fonte delle radiazioni che ricevono ferma l’emissione. La fluorescenza ha molte applicazioni: mineralogia, gemmologia, medicina, sensori chimici, marcatori fluorescenti, coloranti, rilevamento biologico e di radiazioni cosmiche, lampade fluorescenti. Anche in natura ci sono molti fenomeni di fluorescenza, sia in piante e animali che nei minerali.
Storia
La prima osservazione di un fenomeno di fluorescenza fu descritta nel 1560 da Bernardino de Sahagun; lo stesso esperimento fu ripetuto da Nicolas Monardes nel 1565. I due spagnoli osservarono la fluorescenza dell’infusione nota come lignum nephriticum (letteralmente legno di rene). Essa deriva dal legno di due specie di albero: pterocarpus indicus e eysenhardtia polystachya. Questo fenomeno era causato dalla fluorescenza del prodotto dell ossidazione di uno dei flavonoidi presenti in quei legni: la matlalina. Nella prima metà del diciannovesimo secolo diversi scienziati descrissero la fluorescenza dei fluoriti, della clorofilla e del chinino. In un articolo del 1852 sulla rifrangibilità George Gabriel Stokes descrisse l’abilità di fluorite e vetro all’uranio di trasformare gli invisibili raggi ultravioletti in luce visibile blu o verde. Fu egli a coniare il termine fluorescenza, derivato da fluorite. Le conoscenze sulla struttura atomica necessarie per comprendere e descrivere la natura del fenomeno furono acquisite solo all’inizio del ventesimo secolo. Le prime applicazioni pratiche di questa proprietà vengono attribuite al fisico polacco Aleksander Jablonski, famoso studioso di spettroscopia di fluorescenza e di transizione tra livelli energetici delle molecole.
Principi fisici della fluorescenza
Quando una radiazione elettromagnetica colpisce un oggetto, essa eccita gli atomi della sostanza. Così un elettrone viene promosso a un orbitale più esterno, meno legato e più energetico. In brevissimo tempo l’elettrone ritorna al livello energetico inferiore attraverso più fasi. Di solito i decadimenti attraverso livelli energetici intermedi non sono radiativi (l’energia viene dissipata sotto forma di calore a causa delle vibrazioni), mentre l’ultimo sì. Un possibile decadimento radiativo è l’emissione di luce , ossia la fluorescenza. Nella maggior parte dei casi le radiazioni emesse sono onde elettromagnetiche di lunghezza maggiore rispetto a quella incidente: questo fenomeno è noto come spostamento di Stokes. Se la radiazione elettromagnetica assorbita è molto intensa, è possibile che un elettrone riesca ad assorbire due fotoni; ciò può portare all’emissione di una radiazione a lunghezza d’onda minore. In rari casi la radiazione emessa può avere la stessa lunghezza d’onda di quella incidente: in questi casi si parla di fluorescenza di risonanza. Un altro processo radiativo attraverso il quale si può rilassare una molecola eccitata è la fosforescenza. La principale differenza tra fluorescenza e fosforescenza è il tempo di vita della radiazione emessa una volta eliminata la radiazione incidente: la luminescenza fluorescente cessa quasi subito mentre quella fosforescente si protrae per un po’; ciò avviene perché nella fluorescenza la radiazione viene emessa a causa di transizioni tra stati con la stessa molteplicità di spin, mentre nella fosforescenza questa molteplicità cambia. L’efficienza della fluorescenza viene descritta dalla resa quantica: un parametro pari al rapporto tra il numero di fotoni emessi e il numero di fotoni assorbiti; la resa quantica standard per i materiali fluorescenti è quella del solfato di chinino in una soluzione di acido solforico.
Fluorescenza in natura
Esistono tre tipi di luminescenza in natura:
- La biofluorescenza consiste nell’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche da parte di proteine fluorescenti in un organismo vivente e nella conseguente emissione di luce. Ciò rende visibili alcuni organismi se sottoposti a radiazioni ultraviolette oppure fa cambiare loro colore in base alla luce con la quale vengono illuminati.
- La bioluminescenza è la naturale produzione di luce tramite reazioni interne ad un organismo, quindi non necessita di esposizione a radiazioni esterne.
- La biofosforescenza è molto simile alla biofluorescenza, ma la luce generata dura più a lungo dopo che la radiazione incidente smette di investire l’organismo.
Le cellule fluorescenti sono i cromatofori fluorescenti. Sono cellule dendritiche che contengono pigmenti chiamati fluorosomi. Gli ioni di potassio K+ attivano le proteine in queste cellule, che muovendosi, aggregandosi e disperdendosi creano uno specifico pattern di fluorescenza. Di solito i cromatofori fluorescenti si trovano nella pelle, appena al di sotto dell’epidermide. Ancora non si sa molto delle funzioni della fluorescenza negli animali, ma si suppone che possa avere grande importanza nella comunicazione, nell’accoppiamento, nella caccia e nella mimetizzazione, nella protezione dai raggi UV, nella fotoacclimatazione e nella regolazione e la salute di dinoflagellate e coralli.
Biofluorescenza marina
L’acqua assorbe la luce ad alte lunghezze d’onda, quindi i colori caldi appaiono sempre meno all’aumentare della profondità. Al contrario l’acqua diffonde la luce a lunghezze d’onda basse, quindi i colori freddi dominano nella zona eufotica di mari e oceani. A 75 metri di profondità la luce ha solo il 10% dell’intensità che ha in superficie, a 150 metri ha l’1%. Per queste variazioni di intensità e lunghezza d’onda, gli organismi marini hanno diverse proteine in grado di assorbire le radiazioni più presenti a diverse profondità. A 1000 metri di profondità, nella zona afotica, non c’è più traccia di luce solare, e le uniche fonti di luce sono gli organismi bioluminescenti. Dato che per la bioluminescenza c’è bisogno di una radiazione esterna incidente, essa è presente praticamente solo nella zona eufotica. La luce che raggiunge questa zona è blu, quindi i colori che assumono gli organismi fluorescenti sono, dal più comune al più raro, verde, giallo, arancione o rosso. Raramente la luce di organismi bioluminescenti scatena fenomeni di biofluorescenza anche nella zona afotica, ma qui non ha mai una vera funzione.
I pesci che vivono in acque poco profonde hanno una buona vista dato che abitano in un ambiente abbastanza illuminato. Comunque alcune specie sfruttano la biofluorescenza per comunicare con i propri simili, come squali, pesci lucertola, pesci scorpione, labridi e pesci piatti. Molte di queste specie hanno anche speciali filtri intraoculari gialli per individuare meglio i propri simili biofluorescenti. Altre specie sfruttano una biofluorescenza rossa per comunicare ai propri simili posizione e direzione senza essere visti dai predatori, i cui occhi non hanno sensibilità alla luce rossa. I coralli sfruttano la biofluorescenza per generare luce affinché le alghe simbiotiche possano effettuare la fotosintesi, per la fotoacclimatazione e in funzione antiossidante. Polpi e meduse sfruttano la biofluorescenza per rimanere in branco e per mimetizzarsi.
Biofluorescenza terrestre
La raganella a pois, tipica dell’Amazzonia, nel 2017 è diventata la prima specie anfibia fluorescente ad essere scoperta. La sua biofluorescenza è dovuta all’Hyloin.L1, un composto presente nella linfa e nella pelle della rana. Esso emana una luce blu-verde se esposto a raggi UV. Questa proprietà facilita la comunicazione, e si crede che sia sfruttata da molti altri anfibi. Le ali della farfalla coda di rondine contengono cristalli con pigmenti infusi che emettono luce fluorescente quando assorbono radiazioni del cielo azzurro. Queste farfalle hanno una vista specializzata nel cogliere la luce emessa dalle ali degli esemplari della stessa specie. Alcuni pappagalli hanno piume fluorescenti che facilitano l’accoppiamento. Gli esemplari che emettono più luce sono i più forti, e vengono quindi favoriti per la riproduzione. Moltissimi ragni sono fluorescenti se esposti a raggi UV, e posseggono diversi tipi di fluorofori. Quello dei ragni è l’unico gruppo in cui la biofluorescenza è diffusa, ha molte forme, è cambiata molto e continua a modificarsi per l’evoluzione delle specie, e ha un’importanza capitale per la comunicazione tra ragni della stessa specie e anche di specie differenti e per la mimetizzazione. La clorofilla presente in tutte le piante ha una leggera fluorescenza rossa se esposta a raggi UV. Altre piante, come la Mirabilis jalapa, sfruttano altri tipi più forti di biofluorescenza per attirare insetti e uccelli impollinatori.
Fluorescenza inorganica
Gemme e minerali diversi hanno peculiari fluorescenze se esposti a radiazioni ultraviolette, alla luce visibile o a raggi X. Calcite e ambra emettono luce se esposti a raggi UV o anche a luce visibile. Rubini, smeraldi e diamanti hanno una fluorescenza rossa sotto raggi UV ad alta lunghezza d’onda; i diamanti emettono anche se esposti a raggi X. Molti tipi di attivatori contribuiscono alla fluorescenza dei minerali. Un’eccessiva concentrazione di attivatori o la presenza di impurità possono smorzare l’emissione di luce. Manganese, uranio, cromo, europio, lantanidi, powellite, scheelite sono gli attivatori più comuni. Alcune soluzioni organiche come antracene o stilbene, dissolte in benzene o toluene, sono fluorescenti se esposte a radiazioni ultraviolette o a raggi gamma. Anche nell’atmosfera sono visibili fenomeni di fluorescenza quando l’aria viene bombardata da elettroni ad alta energia, come nel caso di aurore boreali o esplosioni nucleari.
Applicazioni pratiche
Le lampade a fluorescenza sono costituite da un tubo di vetro in cui c’è vuoto parziale e una piccola quantità di mercurio. Una piccola scarica elettrica fa emettere luce ultravioletta al mercurio. Il tubo è rivestito di materiale fluorescente (fosforo) che assorbe i raggi UV e emette luce visibile. Queste lampade sono più efficienti di quelle tradizionali a incandescenza ma dato che non emettono luce bianca, potrebbero alterare il colore degli oggetti illuminati. Questo problema viene annullato dall’utilizzo di un fosforo tricromatico come materiale fluorescente, che cattura completamente lo spettro dei vapori di mercurio ed emette luce praticamente bianca.
Anche le lampade LED sfruttano la fluorescenza di un fosforo posto su un microchip che assorbe la luce blu emessa da un semiconduttore; la luce blu prosegue e si unisce alle fluorescenze verdi e rosse per formare luce bianca. Il fluorimetro è uno strumento di laboratorio che misura la concentrazione di una sostanza presente in un campione grazie alla sua fluorescenza. Un microscopio a fluorescenza, è un microscopio ottico utilizzato per studiare campioni organici o inorganici sfruttando una fluorescenza indotta nel campione.
Fonte
- Basics concepts in fluorescence
Florida State University