Nel corso dei millenni, alcuni mammiferi hanno sviluppato sistemi di ecolocalizzazione, e quindi la capacità di percepire le caratteristiche dell’ambiente in cui si trovano senza bisogno della vista. Questa, nel tempo, è stata quasi del tutto sostituita. Andiamo allora alla scoperta di uno dei maggiori successi dell’evoluzione: il biosonar.
IN BREVE
Indice
ECOLOCALIZZAZIONE: CHE COSA SIGNIFICA?
Per quanto possa sembrare assurdo, è proprio così: alcuni mammiferi, ed in particolare alcuni microchirotteri e cetacei, hanno sviluppato un sistema uditivo tale da poter fare a meno dell’apparato visivo ”tradizionale”. L’ecolocalizzazione, o ecolocazione, consiste, infatti, nella capacità di percepire la realtà che ci circonda sfruttando l’eco di ritorno di specifici ultrasuoni. Consideriamo un’onda sonora che in tutta la sua intensità viaggia all’interno di un fluido e a un certo punto incontra, a causa della presenza di un oggetto immerso nel fluido stesso, una netta differenza di densità fra il volume occupato dall’oggetto e il fluido circostante: parte dell’onda rimbalzerà all’indietro verso l’area che l’aveva generata in precedenza.
Non è quindi poi assurdo parlare in specifico di biosonar: dall’acronimo inglese sound navigation and ranging, per sonar si intende proprio quel sistema che utilizza onde sonore allo scopo di identificare la presenza di oggetti che ad occhio nudo altrimenti non potrebbero essere identificati con tanta facilità. E se l’uomo ha deciso di applicare questo principio fisico soprattutto in periodo di guerra a scopo difensivo, alcuni animali lo sfruttano quotidianamente per orientarsi e cacciare. Escludendo alcuni uccelli che abitano caverne particolarmente buie, gli animali effettivamente capaci di ecolocalizzare appartengono all’ordine dei chirotteri, meglio noti come pipistrelli, e all’infraordine dei cetacei.
IL BIOSONAR DEI PIPISTRELLI
Animali tanto piccoli quanto astuti, non si può dire che i pipistrelli abbiano una gran bella fama nel regno animale. Da sempre associati ai vampiri, per la necessità di alcune specie di cibarsi di sangue di altri animali (in realtà si tratta di sole 3 specie sulle 1200 circa note), questi animali svolgono un ruolo ecologico fondamentale. Si nutrono prevalentemente di insetti ma, come tutti sappiamo, mentre di giorno preferiscono riposare cacciano durante la notte. Ma come fanno allora ad orientarsi? Circa l’utilizzo del biosonar, i pipistrelli sono certamente gli animali più studiati e famosi. In realtà, non tutti i chirotteri sono capaci di ecolocalizzare, alcuni infatti hanno sviluppato una vista più raffinata e tecniche di caccia svariate. Per la maggior parte, però, si può considerare la vista di un chirottero come un senso ormai superato: data la capacità di precisione del biosonar questi animali sono ormai quasi completamente ciechi.
Per ecolocalizzare, i pipistrelli producono onde sonore che possono essere emessi dal naso o dalla bocca aperta a partire dalla laringe e i cui echi vengono poi ricevuti dagli ampi padiglioni auricolari. Si tratta di ultrasuoni per lo più impercettibili per l’orecchio umano: la frequenza oscilla, infatti, fra i 14000 e i 160000 Hz, considerando che l’orecchio umano riesce a percepire suoni compresi fra i 20 e i 20000 Hz. In questo modo, frequenze maggiori, implicando lunghezze d’onda inferiori, consentono a questi animali di scandagliare al meglio l’ambiente circostante alla continua ricerca di prede e per evitare, per quanto possibile, gli ostacoli. Si tratta in pratica dello stesso principio fisico che regola l’utilizzo del microscopio. L’unica pecca sta nel fatto che segnali a frequenza molto alta sono caratterizzati da bassa energia e quindi non riescono a propagarsi a grande distanza. Per questo i pipistrelli sono obbligati a produrre ultrasuoni continuamente.
Altro problema, se così possiamo chiamarlo, sta nel riconoscimento delle superfici lisce: queste riflettono l’onda sonora deviandola in modo da disorientare l’animale. Per questo può capitare di osservare un pipistrello sbattere contro la nostra finestra, poiché non ricevendo alcun eco di ritorno questo percepisce lo spazio a sé frontale come libero da ostacoli. Allo stesso modo è stato osservato che una superficie liscia orizzontale tende a ricevere e deviare l’onda quasi come uno specchio d’acqua: il pipistrello quindi vi si avvicina e cerca di bere! Un’aspetto interessante sta nella capacità di questi animali di limitare al minimo le interferenze: la Texas A&M University ha dimostrato come, per evitare confusione, se un pipistrello si trova in un ambiente affollato tende a vocalizzare sempre meno non appena si accorge che i propri ultrasuoni si stanno sovrapponendo con quelli di un altro esemplare.
IL CASO DEI CETACEI
Nonostante a proposito del biosonar si faccia sempre riferimento ai chirotteri, ci sono altri animali capaci di ecolocalizzare. Si tratta di alcuni dei giganti marini che popolano i mari di tutto il mondo: i cetacei. Facciamo allora un po’ di chiarezza.
Quando pensiamo ai cetacei, dobbiamo considerare che questi splendidi animali non sono tutti uguali e tendono ad essere distinti in misticeti e odontoceti: i primi sono dotati di fanoni e comprendono balene e balenottere, tra cui la celebre megattera, i secondi invece contano tutti i cetacei dotati di denti, fra cui delfini e capodogli. Sicuramente la presenza o assenza di denti costituisce la differenza più evidente, sia a livello trofico che morfologico, ma è un’altra la peculiarità di alcuni di questi animali a costituire un ottimo elemento di distinzione: la presenza del melone. Si tratta di un organo dalla forma ovale, posto fra lo sfiatatoio e la parte terminale del capo degli odontoceti. È costituito da tessuto adiposo comprendente lipidi di tipo diverso ed è capace di fungere da amplificatore per quelli che sono i suoni, detti anche click, prodotti dall’animale e utili ai processi di ecolocalizzazione.
Come ecolocalizza un delfino?
Per compressione d’aria, gli odontoceti sono capaci di produrre onde sonore a partire dalla laringe e da piccoli sacchi aerei posti fra questa e il melone. Gli ultrasuoni prodotti sono amplificati a livello del tessuto grasso di questo organo e inviati all’esterno, di modo che le onde sonore possano correre nell’acqua producendo una risposta diversa in base alle differenze di densità incontrate. Questi animali ricevono l’onda sonora di ritorno che correndo lungo la mandibola lunga e stretta, una sorta di antenna ricevitrice, raggiunge l’orecchio medio e quindi quello interno, di modo che tramite il nervo acustico il segnale giunga al cervello. La distinzione fra i corpi presenti in acqua è permessa dai diversi volumi di spazio occupati e dalle differenti densità, che generano onde di ritorno differenti per intensità e velocità di modo che l’animale possa percepire con estrema sicurezza e precisione qualsiasi minima alterazione circa l’ambiente che lo circonda.
Affidabilità e precisione del biosonar sono massime: si pensa addirittura che un delfino possa percepire ad occhi chiusi la presenza di una pallina di soli due centimetri di diametro a una distanza di 75 metri, possa distinguere una femmina gravida da una non gravida o capire se il contendente per lo stesso pesce, in fase di caccia, sia effettivamente a stomaco vuoto o abbia già la pancia piena. Inoltre, data la natura adiposa dello strato di tessuto che riveste l’orecchio interno, la dispersione sonora è ridotta al minimo così che i suoni possano essere ricevuti nitidamente.
Tutto ciò ha dell’incredibile.
L’effettiva capacità visiva dei cetacei
Quindi i delfini sono ciechi? Per la maggior parte no. Escludendo, infatti, i delfini di fiume, che per motivi legati alla maggiore torbidità delle acque in cui vivono hanno rinunciato, nel corso dell’evoluzione, quasi completamente alla vista, prediligendo melone e mandibola più sviluppati rispetto ai cugini marini, questi animali godono di una vista piuttosto buona. Il problema sta nel fatto che immergendosi a profondità che scendono al di sotto del limite della zona fotica, in totale assenza di luce, non riuscirebbero ad orientarsi se non in questo modo. Inoltre, l’evoluzione del biosonar ha portato questo sistema ad essere preferito anche in presenza di luce, poiché assolutamente preciso. Ciò non toglie che essendo animali in genere molto curiosi, soprattutto nel caso di tursiopi e stenelle, non è poi troppo difficile avere l’occasione di vederli nuotare accanto alla prua della nostra barca ad occhi aperti mentre cercano di spiarci più da vicino.
ECOLOCALIZZAZIONE NEGLI UMANI: UNA SPERANZA PER I NON VEDENTI?
Già qualche decennio fa, alcuni studi condotti su persone non vedenti avevano dimostrato che una fra le tante capacità nascoste dell’essere umano, tipicamente sviluppate in caso di impossibilità all’utilizzo di uno dei cinque sensi, fosse una sorta di biosonar paragonabile a quello dei chirotteri. Si tratta, infatti, di un sonar di tipo attivo e che quindi è responsabile non solo della ricezione degli echi di ritorno ma anche della produzione delle onde sonore di partenza. Recentemente, studi condotti dalla Ludwing Maximilian University di Monaco hanno dimostrato come l’ecolocalizzazione potrebbe in realtà essere un’abilità sviluppabile dall’essere umano, a prescindere dalle sue capacità visive.
Esperimenti sono stati condotti col fine di dimostrare che un esercizio mirato potrebbe rendere l’essere umano capace di ecolocalizzare: è stata evidenziata un’attivazione delle aree motorie e uditive particolarmente importante, sia che si trattasse di individui visivamente capaci che di non vedenti. Vista l’immaturità di questi studi, altre centinaia di esperimenti e test neuronali dovranno essere condotti prima che si possa parlare di un’abilità non solamente potenziale ma realmente possibile, nella identificazione di un esercizio utile allo sviluppo di questa capacità. Sta di fatto che una scoperta simile rivoluzionerebbe certamente il nostro concetto di percezione della realtà. Ciò che oggi ci sembra pressoché impossibile, potrebbe diventare realtà: un giorno, forse, vedremo a occhi chiusi.
Fonte
- Delfini e balene in Italia, Michela Bacchetta, Centro Ricerca Cetacei Editore, Milano, 2007
Centro Ricerca Cetacei - Zoologia, McGraw-Hill, Milano, 2016
Hickman et al.