L’elettroforesi è una tecnica utilizzata per separare macromolecole cariche. Essa consente quindi la distinzione delle stesse in base alle loro dimensioni o alla carica elettrica che le contraddistingue. Questa tecnica ha frequente impiego in biochimica, biologia molecolare, genetica e scienze forensi.
IN BREVE
Indice
ELETTROFORESI: COS’È?
L’elettroforesi è una tecnica analitica che consente la separazione in liquido di macromolecole cariche, poste in un campo elettrico, attraverso la migrazione differenziale delle stesse in matrice di agarosio o poliacrilamide. Questa tecnica consente quindi la separazione di proteine e acidi nucleici in base alle dimensioni e/o cariche delle molecole in questione. Si tratta di una tecnica usatissima nei laboratori di biochimica e biologia molecolare.
Il principio chimico-fisico su cui si basa l’elettroforesi consiste nella risposta che molecole cariche producono se immerse in un campo elettrico: queste, infatti, tenderanno a muoversi lungo le linee del campo di modo che gli ioni positivi migrino verso il polo negativo e quelli negativi verso il polo positivo. In questo modo, considerando una cella elettrolitica definita da un anodo e un catodo rispettivamente poli positivo e negativo, le molecole compiranno anaforesi o cataforesi a seconda che si tratti di anioni o cationi.
La mobilità delle molecole varia in base alle dimensioni, alle cariche elettriche e alle forme delle molecole, alla differenza di potenziale associata al campo elettrico applicato e alla natura del materiale di cui è composto il gel. La mobilità elettroforetica esprime la capacità di una specie chimica di migrare se posta all’interno di un campo elettrico e viene definita a partire dall’equazione di Henry:
Ue= (2εζf(ka))/3η
dove Ue è la mobilità elettroforetica, ε la costante dielettrica, ζ il potenziale zeta, f(ka) la funzione di Henry e η la viscosità del solvente. Mentre la costante dielettrica quantifica la tendenza del materiale a contrastare l’intensità del campo elettrico applicato, il potenziale zeta prende in considerazione le due fasi differenti all’interno della cella elettrolitica: quella liquida nella quale sono presenti le molecole da analizzare e quella solida costituita dai due elettrodi che vengono raggiunti dalle diverse molecole durante la corsa elettroforetica. Il potenziale zeta, infatti, è la tensione che si genera dalla formazione di un doppio strato elettrico e quindi di un’interfaccia solido-liquido in corrispondenza della quale si instaura un trasferimento di carica. Per questo motivo, considerando la struttura tipo di una cella elettrolitica è importante considerare il valore di ζ nell’equazione che definisce la mobilità elettroforetica.
L’elettroforesi è spesso parte di tecniche analitiche più complesse come nel caso del western blotting per le proteine o del metodo della terminazione della catena per il sequenziamento del genoma sviluppato nel 1975 da Frederick Sanger.
L’ELETTROFORESI PROTEICA
L’elettroforesi delle proteine è la tecnica più ampiamente utilizzata in tutti i laboratori di biochimica. Essa è utile per lo studio di soluzioni delle quali si vuole analizzare il contenuto proteico: l’osservazione della migrazione delle diverse molecole, infatti, fornisce uno spettro finale che rispecchia le caratteristiche delle proteine presenti in soluzione. Confrontando i risultati ottenuti con dati specifici per le diverse proteine conosciute, che sappiamo essere contenuti in data base quali PDB, la protein data bank internazionale, è così facilmente possibile riuscire a comprendere la composizione proteica, per qualità e quantità, della soluzione che si vuole analizzare.
La caratteristica principale per cui si distingue l’elettroforesi proteica da quella volta all’analisi del DNA sta nella matrice: quella più usata per lo studio dei polipeptidi è la poliacrilamide, da cui deriva il nome PAGE, polyacrylamide gel electrophoresis, con cui si indica il processo di elettroforesi proteica. Vengono impaccati due gel con distinte porosità, ottenuti facendo co-polimerizzare acrilamide con metilenbisacrilamide. Il gel di impaccamento, o stacking gel, serve a favorire la concentrazione del campione in una zona molto stretta del gel per migliorare la risoluzione delle bande, prima di entrare nel gel di corsa. Il gel di corsa, o running gel, è necessario per ottenere la separazione delle proteine. A causa dell’effetto setaccio del running gel, data la maggior concentrazione di poliacrilamide in esso, le proteine assumeranno differenti velocità di migrazione, inversamente proporzionali alla loro dimensione.
Per visualizzare la traccia elettroforetica, infine, si può utilizzare il colorante Coomassie brilliant blue R-250 oppure la tecnica del silver staining. Nel primo caso il gel viene immerso nella soluzione colorante così che si formino interazioni ioniche tra i gruppi solfonici del colorante e i gruppi amminici delle proteine, oltre a interazioni di Van der Waals. L’eccesso di colorante viene eliminato immergendo il gel in una soluzione di etanolo e acido acetico. Nel secondo caso le proteine sono trattate in modo da diventare sensibili all’argento e poi con un sale dello stesso metallo (in genere nitrato). Una soluzione di sviluppo contenente formaldeide fa precipitare l’argento legato alle proteine riducendo i cationi ad argento metallico. La riduzione viene poi fermata con EDTA. Bisogna fare attenzione a non confondere il colorante che può essere utilizzato per la visualizzazione del risultato dell’elettroforesi con quello che invece è presente nella soluzione iniziale contenente le proteine da analizzare: questo serve soltanto per osservare la corretta distribuzione della soluzione nel pozzetto e non è legato alle proteine che quindi sono libere di migrare senza essere legate ad alcun colorante.
Esistono vari tipi di elettroforesi di proteine. E’ possibile separare le proteine in condizioni native sulla base delle dimensioni e della carica (elettroforesi nativa), per punto isoelettrico (isoelettroforesi), oppure solamente in base alle loro dimensioni (SDS-PAGE). In ogni caso bisogna considerare che la velocità di migrazione sarà sempre direttamente proporzionale al campo elettrico applicato e alla carica della molecola, mentre risulterà inversamente proporzionale alla viscosità del mezzo e alle dimensioni della molecola (massa molecolare e forma). Altro tipo di elettroforesi proteica è quella capillare: sono utilizzati tubi sottili e stretti di diametro interno compreso fra i 20 e i 100 micron, di modo che il calore possa essere velocemente dissipato per poter usare campi elettrici molto alti con la contemporanea riduzione dei tempi di separazione ad alcuni minuti. Nel caso specifico l’elettroforesi delle sieroproteine è utile all’analisi delle molecole proteiche presenti nel sangue e costituisce quindi un importante esame per il controllo dei livelli delle stesse nell’organismo.
Elettroforesi SDS-PAGE
L’elettroforesi SDS-PAGE consiste in un tipo di corsa elettroforetica in cui le molecole proteiche vengono distinte esclusivamente in base alla loro massa. Il nome di questo tipo di tecnica ci indica il suo principale componente: il sodio dodecil-solfato (SDS). L’SDS è un tensioattivo che in presenza di proteine ne rompe i legami non-covalenti denaturandole e quindi privandole della loro forma originaria. Al campione viene aggiunto, inoltre, beta-mercapto-etanolo, che agisce da secondo denaturante rompendo i ponti disolfuro della proteina, e somministrato calore. L’estremità anionica della molecola di SDS lega i residui amminoacidici della proteina impartendo ad essa una notevole carica negativa. In questo modo alle proteine denaturate si impartisce una carica che possa uniformarle tutte. Sappiamo che, dati specifici valori di campo elettrico e di viscosità del mezzo, a parità di carica, migrerà più velocemente la molecola di raggio minore: per questo spesso viene scelta la SDS-PAGE, poiché permette di confrontare le proteine esclusivamente per quella che è la loro massa. Questa tecnica viene spesso utilizzata per analizzare la purezza del campione, determinare la dimensione delle proteine, quantificare la molecola analizzata e verificare lo stato oligomerico di una proteina (presenza di ponti disolfuro).
L’isoelettroforesi
L’isoelettroforesi, o isoelettrofocalizzazione (IEF), oppure ancora focalizzazione isoelettrica, sfrutta il punto isoelettrico caratteristico di ciascuna proteina per distinguere le molecole nella loro corsa sulla matrice di gel. Il punto isoelettrico di una molecola corrisponde a quel valore di pH per cui, se in elettroforesi, la molecola smette di migrare e si ferma. Considerando che una proteina, essendo costituita da amminoacidi, e quindi da potenziali zwitterioni, possiede entrambe le polarità, ciascun polipeptide ha un suo proprio punto isoelettrico (pI) in corrispondenza del quale si ferma in elettroforesi. Se si sottopone una miscela di proteine a elettroforesi attraverso una soluzione o un gel con un gradiente stabile di pH, in cui il pH aumenta in modo regolare dall’anodo al catodo, ciascuna proteina migrerà fino alla posizione corrispondente al suo pI. In questo modo le proteine possono così essere distinte in base alla loro carica elettrica.
Elettroforesi bidimensionale
Spesso la SDS-PAGE è accoppiata al’isoelettrofocalizzazione per ottenere una elettroforesi bidimensionale che distingue le molecole in base a massa e carica su due assi distinti così da avere maggiore specificità di identificazione delle proteine.
Il campione è prima sottoposto a IEF in una direzione, quindi le molecole proteiche vengono distinte mediante SDS-PAGE nella direzione perpendicolare. Questo tipo di elettroforesi è ampiamente utilizzato in proteomica.
Denaturante o nativa?
Come scegliere fra un’elettroforesi denaturante e una nativa? Una elettroforesi nativa potrebbe dare risultati ingannevoli a causa della forma della molecola, perciò in genere si preferiscono quelle denaturanti. Tuttavia, consente di preservare l’attività biologica della proteina, di identificare la posizione della proteina nel gel mediante specifici saggi funzionali e di recuperarla in forma attiva, ed è indicata per evidenziare la contemporanea presenza di forme monomeriche e oligomeriche di una specie proteica pura. Bisogna però considerare che non si può conoscere a priori la mobilità elettroforetica della proteina, né ne si possono identificare le dimensioni, quindi il risultato resta poco affidabile. Proprio per questo motivo in genere si fa affidamento su elettroforesi denaturanti.
ELETTROFORESI DEGLI ACIDI NUCLEICI
L’elettroforesi degli acidi nucleici viene principalmente utilizzata per l’analisi di frammenti di DNA. Questa segue gli stessi principi elettrochimici dell’elettroforesi proteica anche se prevede metodiche leggermente differenti. Si tratta di una tecnica usatissima nei laboratori di biologia molecolare.
Differenze e somiglianze con l’elettroforesi proteica
La prima differenza fra un’elettroforesi proteica e una svolta sugli acidi nucleici sta nel fatto che le molecole in questione nel secondo caso sono sempre cariche negativamente. Data la struttura di base di DNA e RNA, infatti, essendo i nucleotidi composti da una molecola di ribosio, una base azotata e un fosfato, le molecole sono necessariamente a carica fortemente negativa. Inoltre, in questo tipo di elettroforesi varia la matrice: non si parla più di poliacrilamide ma di gel di agarosio, un polimero polisaccaride purificato dall’agar-agar, sostanza gelatinosa estratta solitamente dalle alghe rosse. Altra differenza sta nella posizione della cella elettrolitica: se nel caso dell’elettroforesi proteica il gel di acrilamide viene posto verticalmente, nel caso si analizzino acidi nucleici il gel di agarosio si dispone orizzontalmente. Nel caso di elettroforesi di DNA, inoltre, si utilizzano enzimi di restrizione e quindi proteine appartenenti alla classe delle idrolasi: si tratta di deossiribonucleasi II sito-specifiche. Questi enzimi sono capaci di frammentare il doppio filamento del DNA agendo in modo da tagliare entrambi i filamenti ad una stessa altezza. In questo modo il genoma viene degradato in sezioni di tutte le grandezze e può poi così essere analizzato in elettroforesi. Per quanto riguarda la visualizzazione dello spettro elettroforetico finale, nel caso degli acidi nucleici non si utilizzano coloranti semplici come nel caso delle proteine, bensì composti che in genere risultano agenti intercalanti per il genoma stesso. Il più utilizzato è il bromuro di etidio. Questa molecola, completamente planare, possiede atomi tutti ibridizzati sp2 grazie ai doppi legami coniugati che li uniscono. Si presenta così di spessore paragonabile a quello delle basi azotate fra le quali può incunearsi (intercalare): una volta che il bromuro di etidio intercala, la fluorescenza della sezione di DNA se illuminato da raggi UV aumenta di circa 100 volte. A questo punto basterà riporre il gel sul transilluminatore, richiudere il vetro di plexiglas, accendere lo strumento e osservare il risultato della nostra elettroforesi di DNA.
Usi e applicazioni dell’elettroforesi di DNA
L’elettroforesi su gel di agarosio è utile per analizzare la grandezza dei singoli frammenti di DNA e per andare a valutare la presenza di specifiche sequenze di DNA. Per analizzare la dimensione dei frammenti si utilizza una soluzione, da inserire nel primo pozzetto, contenente frammenti DNA di dimensioni note. In questo modo confrontando il percorso svolto da questi frammenti con quelli presenti negli altri pozzetti si potranno osservare le effettive dimensioni degli stessi. Per quanto riguarda la presenza di specifiche sequenze di DNA, invece, si utilizzano tecniche specifiche che sfruttano sonde a DNA marcate con sostanze radioattive. Il campione di DNA è denaturato quando è ancora immobilizzato nel gel e viene poi esposto a sonde specifiche marcate con elementi radioattivi: in questo modo le sonde si legheranno ai singoli filamenti ad esse complementari così che specifiche sequenze possano essere ritrovate nel gel. Infine, è possibile prelevare la porzione di gel che contiene la sequenza di interesse per poi estrarre il DNA puro: questo potrà poi essere utilizzato per ingegnerizzare geneticamente geni di altri genomi o essere sottoposto a tecniche analitiche di tipo diverso.
Fonte
- Fundamentals of Biochemistry: Life at the Molecular Level
Donald Voet – Judith G. Voet – Charlotte W. Pratt - Elettroforesi e PCR
Sapienza Università di Roma