Tra gli animali preistorici più affascinanti, lo pterosauro fu il primo vertebrato a sviluppare l’abilità del volo. Questo rettile alato dominò buona parte del Mesozoico solcando i cieli di tutto il mondo. Nonostante le ipotesi contraddittorie a suo riguardo, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza circa la vita di questo preistorico animale.
IN BREVE
Lo pterosauro, il cui nome significa “lucertola alata“, fu un rettile volante vissuto durante buona parte del Mesozoico, circa tra i 200 e i 70 milioni di anni fa. Filogeneticamente si tratta di un ordine di antichissimi rettili che per quanto strettamente imparentati con i dinosauri non possono semplicemente esserne considerati gli individui alati. I dinosauri erano arcosauri, come i moderni coccodrilli. Entro gli arcosauri, i dinosauri si differenziavano per le loro dimensioni ma soprattutto per la posizione delle loro gambe: queste infatti si estendevano direttamente sotto il corpo, mentre quelli delle lucertole e dei coccodrilli si divaricano sui fianchi. Di questo stesso clade faceva parte anche l’ordine degli pterosauri, che quindi, nonostante siano filogeneticamente e tassonomicamente legati ai dinosauri non ne sono diretti rappresentanti. Gli pterosauri furono i primi vertrebrati a distiguersi per la capacità del volo, nonostante ancora non si potesse parlare di uccelli giganteschi: le ali degli pterosauri erano caratterizzate da una membrana di pelle, muscoli e tessuti connettivi che quindi le facevano apparire molto più simili a quelle degli odierni pipistrelli. D’altra parte, è importante non confondere pterosauri e pterodattili (genere di pterosauro) con il ben noto Archaeopteryx: questo genere di animale preistorico che segnò il passaggio tra rettili e uccelli fu un teropode del gruppo dei saurischi e quindi un diretto discendente dei dinosauri. La capacità del volo fu sviluppata indipendentemente a partire da ordini differenti di vertebrati preistorici: solamente con l’Archaeopteryx, però, cominciarono a presentarsi i tratti caratteristici dei moderni uccelli.
Storia
Il primo fossile di pterosauro fu descritto dal naturalista italiano Cosimo Alessandro Collini nel 1784. Egli, però, male interpretò l’esemplare supponendo che l’animale in questione fosse marino, e che le lunghe ali fossero in realtà delle pinne: questo a causa delle scoperte fatte fino ad allora che ancora non avevano identificato alcun esemplare preistorico di tale grandezza predisposto al volo. David Hone, paleontologo dell’Università del Queen Mary di Londra, ha affermato che sono state identificate con certezza 130 diverse specie di pterosauro. Si trattava di animali diffusi in tutto il mondo: dalla Cina, alla Germania, fino all’America. Il nome Pterosauro, come prima accennato, significa ‘’lucertola alata’’. In realtà, non fu questo il primo nome assegnato a queste incredibili creature del passato: nel 1801 il naturalista francese George Cuvier propose il termine ‘’pterodattilo’’ dopo aver cominciato a pensare che queste creature fossero capaci di volare, poiché quegli arti così modificati dovevano essere ali e non gigantesche pinne. Pterodattilo è, infatti, una parola che deriva dal greco e significa ‘’dito alato’’. Nonostante il termine sia rimasto più in voga e sia spesso utilizzato erroneamente per indicare la totalità delle specie appartenenti a questo ordine, oggi sappiamo che gli pterodattili costituivano solo un gruppo di particolari pterosauri più evoluti. Recenti scoperte hanno portato alla luce nuovi fossili che farebbero pensare a nuove specie fino ad ora mai osservate. Durante l’ultimo anno, infatti, un nuovo fossile di pterosauro di una specie non ancora identificata e potenzialmente nuova è stato scoperto dai paleontologi della Swinburne University of Technology di Melbourne. La nuova specie è stata chiamata Ferrodraco lentoni, in omaggio a Graham Thomas Lenton, sindaco di Winton, una regione ricchissima di fossili preistorici e di impronte di dinosauri. Il nome generico, che significa ‘’drago di ferro’’, si riferisce al minerale di ferro che ha penetrato il fossile e lo ha preservato: apparentemente la carcassa sarebbe stata molto presto ricoperta di sedimenti, per lo più fluidi, ricchi di ferro di mofo che questo minerale, penetrando le ossa, ne garantisse la perfetta conservazione.
Un’altra scoperta simile, anche questa molto recente, riguarda una nuova specie di pterosauro riconosciuta in un fossile ritrovato in Nord America: si tratta di Cryodrakon boreas, il “drago di ghiaccio“, con un’apertura alare che raggiungeva i cinque metri e che viveva nell’attuale Canada occidentale.
Classificazione
La classificazione filogenetica e tassonomica dell’ordine Pterosauria è complicata e tutt’oggi discussa a causa della scarsa documentazione fossile, senza contare le numerose difficoltà che necessariamente si incontrano a voler classificare organismi estinti ormai da migliaia di anni. Storicamente, gli pterosauri si dividono in due sottordini: i rhamphorhynchoidea, i più primitivi dalla coda lunga, e gli pterodactyloidea, quelli più evoluti dalla coda corta. In realtà, questa divisione tradizionale oggi è stata in gran parte abbandonata. I ramforincoidei risultano essere un gruppo parafiletico, dal momento che gli pterodactiloidi si sono evoluti direttamente da loro e non da un antenato comune: sono stati ritrovati, infatti, numerosi esemplari di ramforincoidei estremamente somiglianti a pterodattiloidi.
Dimensioni e anatomia dello pterosauro
Gli pterosauri presentavano dimensioni molto variabili, dai piccolissimi anurognathidi alle più grandi creature volanti a noi note dotate di un’apertura alare che poteva raggiungere i 5 metri come nel caso del’Hatzegopteryx. Il più piccolo pterosauro noto è il minuscolo Nemicolopterus crypticus, con un’apertura alare di circa 250 mm, mentre il più grande sembra essere Arambourgiania philadelphiae, la cui apertura alare era di 7-13 metri. Nonostante mancassero di piumaggio, tutti gli pterosauri erano ricoperti da uno strato di peluria che ricopriva i loro corpi e parte delle loro ali: i suddetti peli prendevano il nome di picnofibre.
Come gli odierni uccelli, gli pterosauri avevano ossa cave per risultare più leggeri e sullo sterno presentavano una chiglia sviluppatasi per l’ancoraggio dei muscoli necessari al volo. Studi biopaleontologici rivelano che le ali avevano una struttura molto più complessa di quella che potremmo aspettarci: non si trattava di semplice tessuto epidermico coriaceo ma di veri e propri organi evolutisi per il volo dotati di una struttura altamente specializzata per quella che era la loro funzione di volo attivo. Le ali esterne (dalla punta al gomito) erano rafforzate da fibre chiamate actinofibrils. Queste, a loro volta, comprendevano tre strati distinti nell’ala che, sovrapponendosi gli uni agli altri in direzioni delle fibre differenti, creavano una struttura a tela incrociata che dava sostegno all’ala. Queste fibre potevano presentarsi molecolarmente molto differenti, formate da cheratina piuttosto che da fibre muscolari o strutture elastiche di vario genere. La membrana alare conteneva anche uno strato sottile di muscoli, tessuti fibrosi per dare sostegno e contemporanea elasticità all’ala, ed un unico e complesso sistema circolatorio dei vasi sanguigni. È stato evidenziato come nello stesso spessore della membrana alare fossero presenti sacche aeree a funzione respiratoria: si sfruttava la necessità della respirazione per creare spazi ricchi di gas all’interno dell’ala così da ridurne la densità e favorire il volo. Si pensa che in volo gli esemplari più grandi potevano raggiungere una velocità di oltre 108 km all’ora per alcuni minuti, per poi planare ad una velocità “di crociera” di circa 90km/h. Molti pterosauri, se non tutti, avevano anche i piedi palmati.
Altra caratteristica fisica degli pterosauri, che contribuiva alla loro indipendenza tassonomica da altri ordini di arcosauri, era la struttura del cranio. Il capo aveva, infatti, una struttura ossea particolarmente allungata che terminava in mascelle affusolate a forma di becco primitivo ma dotate, per gli esemplari più antichi, di denti aghiformi dalle dimensioni considerevoli. Un vero e proprio becco, in realtà, si sviluppò solo dopo la perdita dei denti: precedentemente era limitato all’estremità della mascella, era piccolo e non coinvolgeva direttamente i denti. Diversamente dalla maggior parte degli arcosauri, il naso e le aperture antorbitali (aperture disposte superiormente rispetto alle orbite oculari nella struttura craniale) degli pterosauri pterodactiloidi erano fuse in un’unica grande apertura, chiamata fenestra nasoantorbitale. Questa caratteristica probabilmente si evolse per alleggerire il cranio durante il volo. Alcune specie di pterosauri presentano creste molto sviluppate. Queste furono però riconosciute e studiate soltanto recentemente a causa della loro difficile identificazione nei reperti paleontologici: erano costituite principalmente, se non completamente, di cheratina, che sappiamo non si fossilizza facilmente come le ossa. Nuove scoperte hanno dimostrato che le creste craniche erano molto più diffuse tra gli pterosauri di quanto si ritenesse in precedenza. Nel caso degli pterosauri Pterorhynchus e Pterodactylus, la reale portata di queste creste è stata scoperta solo grazie alla fotografia ad ultravioletti. Inoltre, nonostante precedentemente si pensava che le creste si limitassero agli esemplari pterodattiloidi, scoperte più recenti evidenziano che queste erano presenti in molti esemplari più antichi.
Dieta, competizione e predazione
Tradizionalmente, si pensa che quasi tutti gli pterosauri fossero piscivori: in realtà la maggior parte degli pterosauri occupava differenti nicchie ecologiche che li portarono ad essere carnivori terrestri o insettivori. Probabilmente si trattava di cacciatori di piccole prede, per cui in ogni caso erano animali assolutamente carnivori. Nel caso particolare degli pterosauri acquatici, questi mangiavano una grande varietà di organismi, inclusi pesci, calamari, granchi e altri crostacei. Per quanto fossero da considerare predatori attivi, si trattava di animali per lo più innoqui per la maggior parte delle specie che non risultassero abbastanza piccole da limitare al minimo lo sforzo di caccia: in questo senso, da un punto di vista ecologico non potrebbero essere considerati esclusivamente a strategia R o a strategia K, poiché seppur predatori attivi puntavano sulla quantità in termini di animali molto piccoli e facilmente predabili piuttosto che su una caccia sporadica ma volta ad animali più grandi. Nonostante la loro supremazia nei cieli, a terra gli pterosauri non erano privi di predatori naturali, e spesso venivano predati dai teropodi, un gruppo di dinosauri saurischi fra cui l’Archaeopteryx, alcuni saprofagi altri prettamente carnivori. Nel 2012, alcuni ricercatori descrissero un esemplare di Velociraptor con l’osso di uno pterosauro nel ventre. Anche quando gli pterosauri andavano a pescare in mare aperto potevano divenire facilmente preda di mosasauri (antichi rettili marini), squali e plesiosauri (rettili acquatici particolarmente comuni durante il Giurassico). Si è osservato come la competizione interspecifica fra gli pterosauri fosse minima: questo grazie alla varietà di stili di vista che accompagnava l’ordine di animali preistorici. Considerando, infatti, che tendenzialmente questi si dividevano fra esemplari diurni e notturni, insieme alla diversità trofica che allontanava fisiologicamente le varie specie, si può ben comprendere come la sovrapposizione delle nicchie fosse pressoché nulla.
A proposito della distribuzione delle nicchie, è interessante considerare che, nonostante nell’opinione comune, pensando a uno pterosauro si pensi a un enorme rettile volante dominatore dei cieli che sovrastavano le terre emerse, in realtà molte delle specie scoperte si pensa fossero marine. La tendenza comune è forse quella di far riferimento a questi preistorici animali come fossero dinosauri, e questo perché in genere poco si sa e si dice su quelle specie che dominavano i mari del Giurassico. In realtà, così come oggi possiamo osservare i gabbiani cacciare le loro prede fra i pesci presenti nelle acque più superficiali, allo stesso modo molte delle specie di pterosauro conosciute erano marine. Ciò di cui i paleontologi si accorsero subito, però, riguarda il fatto che, al contrario di quello che succede per le altre specie, i fossili di pterosauri marini presentano per lo più individui giovani. Un’ipotesi per spiegare questo strano fenomeno è che gli pterosauri giovani spesso morivano per annegamento, piuttosto che essere mangiati. A verifica di ciò, il paleontologo Dave Hone e il suo collega Donald Henderson, ricercatori all’Università Queen Mary di Londra, hanno usato dei modelli per dedurre in che modo gli pterosauri galleggiavano sull’acqua. Gli studi hanno dimostrato che gli pterosauri mantenevano posizioni di galleggiamento non ottimali per cui la testa rimaneva a pelo dell’acqua. Probabilmente, quindi, la loro caccia sarebbe stata volta ad una cattura della preda molto veloce per poi ritornare nuovamente in volo. Gli individui più giovani, tuttavia, non avendo ancora muscoli forti né buona dimestichezza con il volo, avrebbero avuto maggiori difficoltà a risollevarsi dall’acqua dopo un’immersione, il che poteva portare ad un annegamento. Questo, più che la predazione, spiegherebbe il gran numero di fossili di individui giovani ritrovati. Gli studi circa la scomparsa degli pterosauri hanno dato, negli anni, risultati controversi. Un tempo si pensava che la concorrenza con le prime specie di uccelli, a partire dal lontano Archaeopteryx, potrebbe aver portato all’estinzione di molti pterosauri. Tuttavia, il declino degli pterosauri sembra essere estraneo all’evoluzione degli uccelli, e la sovrapposizione delle nicchie ecologiche dei due gruppi sembra fosse infinitesima. Alla fine del Cretaceo, l’estinzione dei dinosauri riguardò una serie di cambiamenti ambientali responsabili dell’annientamento di molti altri animali tra i quali gli pterosauri.
Fonte
- Introduction to the Pterosauria
University of California Museum of Paleontology