La GFP è una proteina fluorescente verde utilizzata in numerosissime sperimentazioni. Prodotta naturalmente da una medusa delle coste Nord americane, la GFP è un esempio di come la natura stessa ci offra soluzioni e strumenti per poter migliorare la ricerca e adottare nuove strategie.
IN BREVE
La GFP è una proteina fluorescente verde che viene prodotta naturalmente da una specie di medusa bioluminescente tipica della costa occidentale del Nord America, la Aequorea victoria. Oggigiorno la GFP, insieme ad alcune sue varianti cromatiche, è una delle proteine più utilizzate nella ricerca scientifica. Grazie alla sua fluorescenza, questa proteina è usata dagli studi di espressione genica, a quelli di localizzazione intracellulare e molto ancora.
L’origine della GFP
Lo studio e la scoperta della proteina fluorescente verde è attribuita a Osamu Shimomura, un chimico organico giapponese e biologo marino, nonché professore emerito presso il Marine Biological Laboratory (MBL) di Woods Hole, Massachusetts e presso la Boston University School of Medicin. Nel 1962 infatti, il noto scienziato giapponese, isolò sia la GFP che un’altra proteina fondamentale per produrre la luminescenza nella medusa, l’acquorina. L’Aequorea victoria è in grado di produrre lampi di luce blu attraverso l’interazione tra ioni calcio (Ca2+) e l’acquorina. Questa luce blu prodotta irraggerà la GFP, che eccitata in un suo particolare sito di amminoacidi, rilascerà la nota fluorescenza verde. La scoperta delle GFP e le ricerce correlate, valsero per Shimomura (ed ai sui due colleghi Martin Chalfie e Roger Y. Tsien) il premio Nobel per la chimica nel 2008.
La struttura della GFP
La GFP è una proteina di 238 amminoacidi, caratterizzata da una forma a barile (42Å di lunghezza e 24Å di diametro ) grazie a 11 foglietti-β disposti ordinatamente. Al cnetro di questo barile è presente una struttura ad α-elica che contiene il cromoforo, formato da tre amminoacidi: Ser65 – Tyr66 – Gly67 (dove i numeri indicano la posizione all’interno della catena proteica). E’ curioso notare come questa terna amminoacidica in sé non sia fluorescente: la struttura circostante è indispensabile. Shimomura infatti capì che la presenza del barile con la corretta conformazione, imponeva un orientamento tale ai membri del cromoforo da indurre delle modificazioni. Dapprima serina, tirosina e glicina ciclizzano (e si ha anche una deidrogenazione), successivamente si ha un’ossidazione. La struttura che si viene a generare e che costituisce il cromoforo è detta 4-(p-idrossibenzildiene)imidazolidin-5-one (o più semplicemente HBI).
Oltre agli amminoacidi del cromoforo di particolare importanza sono Gln94, Arg96, His148, Thr203 e Glu222 che fungono tutti da stabilizzatori. Particolarmente importante è Arg96, che a differenza degli altri che sono funzionali nella stabilizzazione delle cariche, da orientamento all’anello HBI. Nonostante l’attività del cromoforo della GFP sia dipendente dall’ambiente in cui è inserita, questa proteina è resistente: ai detergenti, alle proteasi, ai trattamenti con cloruro di guanidinio e ai drastici cambiamenti di temperatura. Dal punto di vista fluorimetrico, la GFP di Aequorea victoria ha un picco massimo di assorbimento a 395 nm (luce blu) ed un piccolo picco a 475 nm. Il picco di emissione invece è a 509 nm, ovvero nella zona del verde nello spettro del visibile, con una resa quantica pari a 0,79.
Più colori: le diverse proteine fluorescenti e i suoi derivati
Con lo sviluppo tecnologico, negli anni a seguire dalla scoperta della GFP e del suo funzionamento, ci si è chiesti se, alterando la struttura amminoacidica, si potessero creare proteine fluorescenti ma di diverso colore. La risposta fu positiva. Infatti, grazie ad una serie di diverse mutazioni, furono create man mano diverse proteine fluorescenti con spettri di emissione differenti, quindi colori diversi. Ad esempio si sono ottenute:
- BFL sostituendo Tyr-66 con His per ottenere il blu
- CFP sostituendo Tyr-66 con Trp per ottenere il ciano
- YFP sostituendo THR-203 con Tyr per ottenere il giallo
In realtà queste sono solo alcune delle mutazioni trovate per migliorare la GFP originale, formandone di colorazioni diverse. Infatti, grazie a tecniche come il DNA shuffling (essenzialmente una mutagenesi random), si selezionarono proteine con caratteristiche migliori. In questo modo furono risolti i problemi della stabilità della proteina a 37 gradi Celsius e a GFP con fluorescenza più luminosa e con tempi di vita più lunghi. Inoltre, considerando la possibilità di far esprimere la proteina in una cellula qualsiasi, fu risolto il problema del codon usage. Infatti, ogni specie vivente possiede una diversa ridondanza nell’uso di certi codoni (piuttosto che altri) per codificare un amminoacido. Le differenze sono presenti persino tra specie molto vicine filogeneticamente e a maggior ragione, tra una cellula eucariote o una cellula procariota. Per questo, alcuni ricercatori hanno progettato GFP ad hoc, ad esempio, per specifiche cellule di mammifero o per cellule di lievito.
Le applicazioni della GFP
Le proteine fluorescenti e le loro forme derivate attraverso le diverse mutazioni sono diventate uno strumento utile e onnipresente per produrre proteine chimeriche. In questo caso la GFP viene fusa alla proteina che si vuole studiare: per questo motivo la GFP viene indicata come “tag“. In maniera indipendente la GFP tollera fusioni sia in N che in C terminale. Un aspetto interessante è che questa proteina è stata espressa in numerosissimi tipi cellulari senza causare tossicità o alterazioni nella cellula stessa. La possibilità di aver creato più proteine fluorescenti di colore diverso, ha inoltre permesso di poter utilizzarne più tipi contemporaneamente nella stessa cellula marcando diverse proteine.
Oltre agli studi di espressione genica o di localizzazione cellulare/sub-cellulare, i ricercatori hanno usato le proteine fluorescenti in studi di interazione tra proteine. Ad esempio nel fret (forster resonance energy transfert) due proteine, di cui si vuole studiare l’interazione, sono modificate “taggandole” con due proteine fluorescenti differenti. Le proteine fluorescenti sono scelte in modo che l’emissione della prima ecciti la seconda, trovandosi ravvicinate tra loro. Quindi, le cellule (modificate geneticamente) che hanno espresso le due proteine di fusione, sono colpite da una lunghezza d’onda in grado di eccitare una sola delle due proteine. Se dopo aver eccitato la prima proteina riesco a visualizzare la radiazione dovuta all’eccitazione della seconda proteina fluorescente, vorrà dire che (probabilmente) le due proteine in studio hanno interagito tra di loro. Questo è giustificato dal fatto che, attraverso la probabile interazione, la prima proteina di fusione abbia legato la seconda e che quindi le due proteine fluorescenti si siano trovate vicino. In questo modo, la stimolazione della (per esempio) GFP ha prodotto delle radiazioni nel verde che hanno eccitato la seconda proteina (per esempio) CFP, che ha prodotto una radiazione color ciano. Infine, non è raro veder usato questa proteina come indicatore di pH. Il diverso livello di contrazione protonica in una ambiente infatti, modifica discretamente l’emissione della nostra proteina fluorescente.