Il gatto del Cheshire è uno dei diversi e stravaganti personaggi del mondo di Alice nel paese delle meraviglie. Da dove nasce questo personaggio e da dove il suo nome? Analizziamo il personaggio tra caratteristiche e curiosità.
IN BREVE
Il significato del gatto del Cheshire
Il gatto del Cheshire, in italiano noto anche come stregatto, è uno dei personaggi principali del noto film d’animazione Disney del 1951 Alice nel paese delle meraviglie. Il film ha preso ispirazione dall’omonimo romanzo dello scrittore e matematico Charles Lutwidge Dodgson, meglio conosciuto con lo pseudonimo Lewis Carroll. Il gatto del Cheshire è un misterioso gatto a strisce rosa e viola con un sorriso permanente e una personalità stravagante e birichina.
All’interno della narrazione il suo comportamento risulta alquanto stravagante e complessivamente sembra essere un personaggio neutro, ovvero “super-partes“. In numerosi casi, il gatto del Cheshire è l’unico individuo del Paese delle Meraviglie che sembra mostrare simpatia e gentilezza nei confronti di Alice. Molto spesso lo stregatto si comporta da “guida” fornisce utili consigli su quale strada prendere nel suo viaggio. La stessa Alice infatti si mostra entusiasta nel vederlo ricomparire dal nulla dopo essere sparito diverse volte. D’altra parte, il gatto del Cheshire manifesta uno spinoso senso dell’umorismo, come visto durante l’incontro di Alice con la Regina di Cuori. In quest’occasione, cerca ripetutamente ed intenzionalmente di innervosire ed agitare il temperamento della regina contro Alice, come se si divertisse. In realtà, nelle fasi finali della storia, questo comportamento risulterà positivo per la stessa Alice che, sfruttando l’eruzione violenta del carattere della regina, riuscirà a scappare.
Il gatto del Cheshire: l’origine
L’origine del nome assegnato allo stregatto ha trovato inizialmente diverse ipotesi. Di certo è il fatto che derivi da un antico detto popolare “ghignare come un gatto del Cheshire” che appunto, ha diverse origini.
Lo scrittore inglese Samuel Maunder, nel 1853, associa questo detto ad un artefatto pittoresco. Quest’immagine deriverebbe da rappresentazioni mal riuscite di alcuni artisti nel rappresentare leoni o tigri negli stemmi di diverse famiglie nobili. Da qui, appunto, l’ironico accostamento tra bestia famelica (mal disegnata) ad un gatto sorridente.
Secondo l’opera Brewer’s Dictionary invece (in cui sono riportate spiegazioni e commenti su numerose opere mitologiche e fiabe), il nome deriva da un tipo di formaggio che veniva venduto in questa zona dell’Inghilterra. Questo formaggio veniva modellato in modo da farlo sembrare un gatto sorridente. Inoltre era fatto in modo che la testa sogghignante fosse l’ultima parte ad essere mangiata, da qui le scene in cui lo stregatto appare mostrando quest’unica parte del copro. Inoltre, il Cheshire era una regione che offriva un’ampia produzione di latte a tal punto da trasformarla, nell’immaginario comune, come un posto in cui ogni gatto possa nutrirsi felicemente.
Infine, un ulteriore spunto per Carroll, potrebbe essere stata una scultura di arenaria del sedicesimo secolo, rappresentante un gatto che sogghigna. Quest’opera si trovava proprio nel Cheshire, sulla parete della torre della chiesa di St. Wilfrid a Grappenhall, poco lontano dalla sua città natale.
Il gatto del Cheshire e la scienza
Non sono pochi i casi in cui gli scienziati utilizzano nomi appartenenti a favole, racconti o addirittura videogiochi per indicare alcuni fenomeni studiati. Nel nostro caso, il nome “gatto del Cheshire” è stato utilizzato diverse volte in più contesti.
Per esempio, in ottica Sally Duensing e Bob Miller hanno denominato con il termine “effetto del gatto del Cheshire” un particolare fenomeno legato alla rivalità binoculare. La rivalità binoculare fa si che il nostro cervello focalizzi l’attenzione visiva su un oggetto più che su un’altro, rendendo il primo “invisibile”. Ciò può accadere quando le due immagini sono così differenti e contrastanti da non poter essere fuse insieme ed elaborate dalle aree visive della corteccia celebrale. La percezione visiva così cambia autonomamente, senza volontarietà.
Precisamente, l’effetto del gatto del Cheshire, come descritto da Sally Duensing e Bob Miller, è un tipo di rivalità binoculare legato al movimento. In questo caso il nostro cervello fa scomparire dalla vista gli oggetti fermi visti in un occhio quando nel nostro campo visivo entra un oggetto in moto. Ciò accade perché i nostri occhi hanno due visioni diverse del mondo, inviando i segnali nell’area visiva primaria. Qui le informazioni sono unificate e combinate per fornirci la visione tridimensionale. Poiché un occhio sta vedendo un oggetto in movimento, il cervello si concentrerà su di esso, facendo “scomparire” gli altri oggetti fermi.
Passando alla biologia, anche qui alcuni ricercatori hanno preso in prestito il nome del gatto di Alice. Infatti gli RNA catalitici, strutture ribonucleotidiche capaci di catalizzare alcune reazioni di lisi usando diversi ioni, sono stati denominati come gatti del Cheshire. Questa metafora viene utilizzata per descrivere lo smantellamento del costrutto ribonucleotidico. Infatti queste molecole di RNA , una volta compiuto il lavoro, lasciano dietro di sé solo un “sorriso” dei soli componenti minerali del catalizzatore di RNA.