Il SARS-Cov-2, meglio noto con il termine più generico di coronavirus, è un virus appartenente alla famiglia Coronaviridae responsabile dell’esplosione dell’epidemia cinese a Wuhan verso la fine del 2019. Si tratta di un virus influenzale simile al SARS-Cov e di cui ancora non si conoscono molti aspetti patogenici e molecolari ma che al momento è oggetto di studio da parte dei maggiori laboratori biomolecolari del pianeta.
IN BREVE
Indice
CORONAVIRUS: GENERALITÀ
Il SARS-CoV-2, dall’inglese severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (coronavirus 2 della SARS), chiamato anche nuovo coronavirus nCoV-2019 o coronavirus di Wuhan, è un virus della famiglia Coronaviridae scoperto verso la fine del 2019 e al momento oggetto di studio presso i laboratori biologici di tutto il pianeta. Si tratta del virus responsabile dell’epidemia scoppiata nel mainland cinese, nella città di Wuhan: nei casi peggiori, che spesso riconducono a individui anziani e con patologie preesistenti più o meno gravi, il contagio si traduce in polmonite virale acuta, eventuale insufficienza renale e morte del paziente.

SARS-CoV-2: che tipo di virus è?
La famiglia Coronaviridae comprende virus dell’ordine Nidovirales: si tratta di virus con genoma a RNA a singolo filamento positivo che quindi secondo la classificazione di Baltimore rientrano nei virus del gruppo IV. Le particelle virali esternamente presentano un involucro proteico con proiezioni superficiali, “peplomers” o “punte”, che se osservate al microscopio elettronico, ricordano la figura della corona solare, da cui il nome “Coronavirus”. La sottofamiglia Coronavirinae comprende un genere provvisorio ancora mal descritto tassonomicamente e filogeneticamente ma che cerca di definire le caratteristiche di base del SARS-Cov-2 che ha colpito la Cina a fine 2019. Questo genere comprenderebbe quattro sottogruppi: alpha, beta, gamma e delta coronavirus. Secondo le classificazioni studiate, SARS-Cov-2 apparterrebbe al gruppo betacoronavirus. I coronavirus infettano sia gli animali che l’uomo e fra quelli capaci di infettare attivamente l’uomo se ne sono osservati del gruppo beta e del gruppo alpha: sia i beta-coronavirus che gli alfa-coronavirus sembrano discendere da un pool genetico di pipistrelli. Non a caso questi animali sono i maggiori accusati circa l’esplosione dell’epidemia che per prima ha colpito la Cina ma che al momento sembra essere arrivata anche i Europa, specialmente in Italia.

STORIA DEL VIRUS: DALL’ORIGINE ALLA DIFFUSIONE SU SCALA GLOBALE
Il SARS-Cov-2 è l’ottavo coronavirus riconosciuto in grado di infettare esseri umani. Le modalità di trasmissione e infezione vera e propria ancora non sono del tutto chiare per quanto il patogeno sia oggetto di studio continuo. Il nome ufficiale dato dall’OMS, Organizzazione mondiale della sanità, alla sindrome causata dal virus è COVID-19, dall’inglese COronaVIrus Disease-2019.
L’origine del patogeno
Le ipotesi su quale sia stata la causa primaria circa la diffusione del virus sono molto controverse, anche se quasi tutte fanno riferimento e una eziopatogenesi a carattere zoonotico come successe per la SARS e la MERS. Alcuni scienziati ritengono che il coronavirus che si sta diffondendo sul pianeta abbia avuto origine da una specie di serpente velenoso che compare nel mercato della carne di Wuhan, il Bungarus multicinctus. L’origine vera e propria, però, sarebbe da ricercare nei pipistrelli: il virus sarebbe mutato da questi e dai serpenti si sarebbe poi diffuso tramite un vettore ancora dubbio ma che avrebbe permesso l’esplosione dell’epidemia in territorio cinese. Ciò che sembra interessante è come il virus si sia evoluto tanto rapidamente per adattarsi da animali a sangue freddo ad animali a sangue caldo se riconosciamo i rettili come unica origine di diffusione del patogeno. Una ricombinazione omologa potrebbe essere stata l’origine dell’effettiva mutazione ed evoluzione del virus: in questo modo si spiegherebbe anche la grande vicinanza genetica del SARS-Cov-2 con la forma virale ritrovata nei chirotteri e il SARS-Cov nonostante i virus siano differenti per patogenicità e tasso di mortalità o anche incubazione. L’origine effettiva del virus, per quanto dibattuta, sembra che possa essere effettivamente attribuita ai pipistrelli, e si suppone una sua evoluzione a partire dal SARS-Cov. Resta in dubbio il passaggio attraverso l’ospite intermedio, il rettile Bungarus multicinctus.

Studi sulla diffusione del Coronavirus: analogie fra COVID-19 e SARS
Rispetto a precedenti virus della stessa famiglia che erano stati isolati e identificati in qualità di responsabili di alcune condizioni patologiche gravi come la SARS, sindrome acuta respiratoria grave, il SARS-Cov-2 si distingue per il periodo di incubazione in cui sono assenti tutti i sintomi: questo oscilla fra i 4 e i 14 giorni e durante questo lasso di tempo il patogeno sembra avere una contagiosità piuttosto limitata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha affermato che il tasso netto di riproduzione della trasmissione del virus da uomo a uomo sia compreso tra 1,4 e 3,8: in media, quindi, un paziente infetto può contagiare 2,6 persone. Inoltre, il contagio può avvenire anche in via meno diretta tramite un semplice contatto. Il sequenziamento del genoma ha mostrato la grande somiglianza del SARS-Cov-2 con il SARS-Cov e il virus di cui erano vettori i pipistrelli cinesi: sembra che l’89% del genoma a RNA del virus sia identico a quello della SARS-like-CoVZXC21 (pipistrelli) e l’82% a quello responsabile della SARS umana. Le ipotesi riguardo la prima diffusione del virus in Cina sono contrastanti: apparentemente i primi casi si sono registrati tra fine dicembre 2019 e inizio gennaio 2020 ma si sospetta che già verso fine ottobre il virus avesse cominciato a diffondersi nel territorio cinese. I primi sintomi riscontrati riguardavano febbre, tosse, dolori muscolari e stanchezza. Inoltre, i pazienti affetti potevano mostrare eventuale emottisi, cefalea e diarrea. Studi diagnostici dimostrarono in breve tempo che i primi 59 casi sospetti, di cui poi 41 si sarebbero mostrati effettivamente positivi al coronavirus, consistevano in pazienti affetti da polmonite. Il 20 gennaio 2020 è stato confermato il contagio da uomo a uomo è stata confermata da parte del capo della commissione sanitaria cinese Zhong Nanshan: egli affermava, infatti, che la trasmissione sarebbe avvenuta tramite le mucose di occhi, naso e bocca o in altri casi per semplice contatto. Alla fine di gennaio 2020 il virus aveva raggiunto la Thailandia, il Giappone, la Corea del Sud, il Taiwan, la Malesia come anche però molti altri stati Europei e americani quali la Francia, la Germania o gli USA. Al momento l’Italia è il secondo paese per numero di contagi. Un monitoraggio in tempo reale dei contagi su scala mondiale è possibile grazie alla creazione di una mappa da parte della Johns Hopkins University che viene tenuta costantemente aggiornata. Altro link utile è quello che riporta alla pagina Coronavirus Update. L’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato la pandemia.

La conferma della non-ingegnerizzazione del nuovo Coronavirus
K. G. Andersen et al, nell’articolo pubblicato su Nature medicine, chiariscono le peculiarità molecolari caratteristiche del virus e affermano che una sua origine laboratoriale non è possibile: il nuovo coronavirus SARS-Cov-2 non può derivare da alcun tipo di manipolazione umana. Analisi comparate fra i genomi di diversi alpha- e betacoronavirus hanno riconosciuto due caratteristiche proprie del SARS-Cov-2 che lo differenziano da tutti gli altri coronavirus noti capaci di infettare l’uomo. Sulla base dell’analisi della struttura molecolare del genoma virale e a seguito di diversi esperimenti biochimici, è stato osservato che il nuovo coronavirus, nel suo processo di infezione, lega la cellula bersaglio dell’organismo ospite attraverso una proteina spike capace di legarsi a uno specifico recettore di membrana delle cellule umane, ACE2, nel suo dominio RBD. Il virus sembra derivare da una mutazione che ne avrebbe ottimizzato il sito di legame RBD aumentandone l’affinità per il recettore cellulare umano ACE2, probabilmente attraverso un’inserzione genica di 12 nucleotidi. Le proteine spike del virus, infatti, sembrano possedere una struttura differente rispetto alle proteine che legano i recettori umani in tutti gli altri coronavirus finora conosciuti: questa possiede un sito di clivaggio, dovuto all’inserzione dei 12 nucleotidi nel gene che la codifica, che avrebbe permesso l’acquisizione di 3 glicani O-linked attorno al sito stesso favorendo così il legame con il recettore umano ACE2. Stando a quanto affermato dai ricercatori, ciò dimostrerebbe che i dati genetici mostrano chiaramente come il virus non può aver avuto origine a partire da alcun tipo di ingegnerizzazione. Vengono proposte due ipotesi: o il virus ha avuto origine a partire da una mutazione e da conseguente selezione naturale prima del suo trasferimento zoonotico dall’ospite animale intermedio all’uomo, oppure avrebbe subito selezione naturale a seguito di questa mutazione solo successivamente, una volta raggiunto il primo ospite umano.

DUBBI E SPERANZE SULL’EVOLVERSI DELLA PANDEMIA
In questi giorni, innumerevoli dubbi e speranze si stanno facendo largo fra gli italiani. Ci si può reinfettare? Chi è guarito può ammalarsi di nuovo? Con l’arrivo del caldo e della bella stagione il virus scomparirà? Il virologo Roberto Burioni sembra piuttosto scettico a riguardo.
Ci si può ammalare di nuovo?
Al momento non si hanno certezze sulla resistenza degli anticorpi sviluppati dai pazienti guariti. Burioni afferma:”Al momento non sappiamo se una persona può infettarsi di nuovo dopo essere guarita. Questo perché nella fase in cui siamo è molto difficile capire chi si è reinfettato. Non possiamo prendere una persona malata e guarita ed esporla di nuovo. Per dare una risposta alla domanda se ci si può reinfettare ci vorrà del tempo e uno studio lungo”. Questa la dichiarazione del ricercatore sul suo sito di informazione e divulgazione scientifica MedicalFacts. Inoltre, spiega: “Dopo essere stato infetto, il nostro sistema immunitario produce degli anticorpi, questi in molti casi sono in grado di bloccare una successiva infezione. Un esempio sono il morbillo, la parotite e la varicella. Non sempre però le cose funzionano così: ci sono infatti dei virus che non suscitano una risposta immunitaria in grado di proteggerci. Uno di questi casi è il virus respiratorio sinciziale, che colpisce i bambini e non lascia immunità permanente. Ovvero si può essere infettati di nuovo. Altro caso è quello dell’virus dell’epatite C: su 100 infettati, il 20% guarisce spontaneamente perché ha gli anticorpi ma non riesce a rimanere protetto, ovvero, se rincontra l’Hcv può di nuovo infettarsi”.

Il caldo sconfiggerà il virus?
La bella stagione sconfiggerà questo virus come si trattasse di un qualsiasi altro virus influenzale? Non è così semplice. Il virologo spiega: “Non sappiamo quanto durerà questa epidemia. Per esempio, un motivo di speranza può essere che con il caldo si trasmetta meno efficientemente, ma non ci sono prove che sarà così: potrebbe essere così, ma non lo sappiamo. C’è la speranza che questo virus, come è successo per tanti virus, diventi più buono nel tempo e capisca che in fondo è meglio non mandare la gente in rianimazione perché, se non lo facesse, noi saremmo tutti in giro a trasmettere il virus”. Cosa intende Burioni affermando questo? In qualità di patogeno, il virus SARS-Cov-2 si riproduce molto più velocemente rispetto a un qualsiasi organismo superiore, come accade anche per le popolazioni batteriche. Inoltre, il tasso di mutazione di un patogeno può arrivare a essere anche migliaia di volte maggiore rispetto a quello di un organismo eucariote più complesso. In genere, per quanto non si sappia ancora di preciso quale potrebbe essere il tasso di mutazione associato al virus responsabile della pandemia di Covid-19, i virus a RNA possiedono in media un tasso che oscilla fra 10^-3 e 10^-5 per coppia di basi per generazione. Anche per questo motivo bisogna cercare di contenere al massimo il contagio e limitare una diffusione ulteriore del virus: per evitare di ritrovarsi a fronteggiare una sua forma mutata inaspettata. Affermando che possiamo avere la speranza che il virus capisca che mutare “in meglio” per noi significherebbe mutare “in meglio” anche per sé stesso, Burioni allude al concetto di mutazione nella sua affermazione in ambito biologico: per spiegarlo nel modo più semplice, al virus converrebbe evitare di aggravare la condizione di salute delle persone tanto da condurle alla rianimazione e alla terapia intensiva, sia perché potrebbe diffondersi con minor facilità, poiché queste persone non potrebbero più fungere da “buoni” vettori, sia perché con la morte del paziente i virus annidati all’interno delle sue cellule morirebbero con esso. Il concetto che sta alla base di tutto questo non è altro che quello della selezione naturale: sopravvive e permane il più adattato, non il più forte. La selezione della mutazione agisce nello stesso modo: la mutazione che si afferma e resiste, che permane nella popolazione dello specifico taxa, è quella che riesce a migliorare la fitness degli individui di quella popolazione. In questo caso, sicuramente, parlare di fitness è eccessivo trattandosi di un virus, ma il concetto resta il medesimo: dobbiamo sperare che il virus muti a suo e nostro favore, limitando, quindi, la gravità dei sintomi dell’infezione.

LA CONDIZIONE CLINICA DEI PAZIENTI INFETTI
La patologia che si sviluppa in un malato affetto da SARS-CoV-2 può evolversi in diversi modi e avere espressione differente in base al soggetto colpito dall’infezione. I sintomi tipici comprendono febbre, tosse secca, stanchezza, respiro corto e in genere difficoltà respiratorie. Sembra che la contagiosità del paziente che presenta ancora il virus in incubazione sia molto bassa e che questa aumenti con l’espressività della stessa infezione. Il periodo di incubazione sembra oscillare fra i 4 e i 14 giorni. Nel caso l’infezione si aggravi, per mancanza di cure adeguate o semplicemente per una condizione di compromissione di salute fisica del paziente infettato, SARS-Cov-2 può provocare polmonite e insufficienza renale acuta fino al sopraggiungere della morte del paziente. Tendenzialmente si è osservato che gli individui in maggiore pericolo sono coloro affetti da ipertensione, diabete o malattie cardiovascolari che vanno a limitare l’efficienza del sistema immunitario del soggetto. Spesso i pazienti presentano leucopenia e linfocitopenia, quindi rispettivamente carenza di globuli bianchi e linfociti. I dati aggiornati al 5 maggio 2020 h. 17.57 mostrano che sul totale dei contagiati certi, che sono quindi stati sottoposti al tampone, il 6,9% sono deceduti mentre il 32,96% sono guariti: al momento, infatti, il numero di contagi certi mondiali ammonta a 3677374 persone, per un totale di 253793 morti e 1212242 guariti. Queste percentuali sembrano variare da paese a paese: in Italia l’apparente tasso di mortalità, almeno per ora, sembra essere maggiore di quanto ha riportato la Cina. Ad oggi in Italia sono state contagiate 211938 persone, di cui 29079 sono morte e 82879 sono guarite. Gli attualmente positivi ammontano a 99980 persone. Sul totale dei casi chiusi, la percentuale di morti è quindi del 25,97%, apparentemente in discesa. Il numero di attualmente positivi è diminuito di circa 8000 unità nelle ultime due settimane.

ALLA RICERCA DI UN VACCINO
Al momento numerosi centri di ricerca in giro per il mondo si stanno dedicando alla ricerca di un vaccino. Già a gennaio 2020 diverse organizzazioni hanno iniziato a lavorarci sulla base dei primi sequenziamenti del genoma virale ottenuti prima in Cina e successivamente in Italia all’istituto Spallanzani di Roma. Il 30 gennaio 2020 il programma quadro Orizzonte 2020 dell’UE ha pubblicato un invito a manifestare interesse nella ricerca del vaccino. Inoltre, tre altri progetti sono supportati dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), tra cui quelli delle società biotecnologiche Moderna e Inovio Pharmaceuticals (USA) e dall’Università del Queensland (Australia). In particolare, la Inovio Pharmaceuticals sembra avere un vaccino pronto per i test preclinici. A questo proposito sta collaborando con un’azienda cinese per cercare di accelerarne l’accettazione da parte delle autorità di regolamentazione in Cina.

Il ruolo di Canada e Israele
Oltre alla ricerca portata avanti dalle università e dai centri di ricerca europei, fra cui figura anche l’Italia, e ai progetti statunitensi e australiani, anche il Canada sta partecipando altrettanto attivamente per la produzione di un vaccino efficace. Si tratta di un progetto indipendente portato avanti dalla Public Health Agency che ha permesso e spronato il Centro internazionale per i vaccini (VIDO-InterVac) dell’Università del Saskatchewan a portare avanti una nuova ricerca. Anche Israele sta dedicando parte dei suoi fondi a questo tipo di studi ma le notizie a tal proposito sembrano essere ingannevoli: stando alle news dilagate durante i primi giorni di marzo 2020 sembrerebbe che il Migal Research Institute di Israele sia a un passo dal vaccino per il Covid-19. In realtà, a febbraio il Migal ha rilasciato un comunicato stampa affermando che i suoi ricercatori erano al lavoro nella ricerca di un vaccino utile al blocco dell’epidemia, ma si è ancora lontani dall’averlo trovato e testato. A quanto pare il centro si sarebbe dedicato allo sviluppo di un vaccino contro il virus della bronchite infettiva, un ceppo di coronavirus che colpisce il pollame, per poter partire da questo nella ricerca sul SARS-CoV-2. I ricercatori pensano, infatti, che questo vaccino potrebbe essere riadattato nella produzione di un vaccino utile alla lotta contro un’ulteriore diffusione del Covid-19.
Il punto di vista di Robert Charles Gallo
Lunedì 10 marzo 2020 Robert Charles Gallo, biologo statunitense che insieme a Luc Montagnier e Françoise Barré-Sinoussi scoprì il virus Hiv, ha dichiarato “Il MIO punto di vista è che bisogna parlare di un vaccino e fare previsioni su quando potrà essere utilizzato su larga scala solo una volta che se ne è dimostrata l’efficacia almeno sulle scimmie. Le ipotesi si potranno fare quando si avrà un candidato che si dimostra promettente. Il resto sono solo parole, perché abbiamo molti esempi di vaccini che passando ai test sull’uomo hanno fallito”. Inoltre, il ricercatore sostiene che non necessariamente i contagi raggiungeranno il Sud d’Italia così come si sono diffusi nel Nord.

Fonte
- Nuovo coronavirus
Ministero della salute - Mappa in tempo reale
Johns Hopkins University