Le isole di plastica sono accumuli di tonnellate di rifiuti marini che, per mezzo della forza delle correnti, si concentrano in specifici punti. Non sono delle vere e proprie terre emerse circondate da acque ma prendono il nome di isole per la loro considerevole grandezza.
IN BREVE
Indice
COSA SONO LE ISOLE DI PLASTICA
Nel 1997 il marinaio americano Charles Moore a bordo del suo catamarano scoprì un’ enorme massa galleggiante di rifiuti in pieno Oceano Pacifico. Questa discarica galleggiante, oggi chiamata Great Pacific Garbage Pat, fu definita sesto continente per le sue dimensioni paragonabili a quelle del Canada. Le tonnellate di rifiuti marini, con la forza delle correnti, si accumulano in zone specifiche: le isole di plastica. Non si tratta di nuove terre emerse ma di vere e proprie concentrazioni di rifiuti e detriti che rimangono intrappolati in vortici acquatici. Queste isole sono formate da rifiuti di varie dimensioni, soprattutto da miliardi di frammenti microscopici di plastica che si disperdono dalla superficie sino al fondo degli oceani. Questi piccolissimi e leggerissimi frammenti si confondono con il plancton, la base di tutta la catena alimentare negli ecosistemi marini. Migliaia di animali vengono uccisi da oggetti di plastica di cui si nutrono per sbaglio o in cui rimangono intrappolati. Inoltre, i rifiuti non si limitano alla superficie ma si estendono in profondità dove il loro deterioramento è ancora più difficile. Nel mondo, le isole di plastica che hanno raggiunto dimensioni allarmanti sono ben sei. La più tristemente famosa per le sue dimensioni è l’isola di plastica presente nell’oceano Pacifico. Le altre isole minori per dimensioni ma non per densità di rifiuti si trovano nel mar dei Sargassi, nel circolo polare artico, nell’oceano Indiano, nell’oceano Atlantico meridionale e settentrionale.
IL MARINE LITTER
Con il termine marine litter si definisce qualsiasi materiale solido scartato, fabbricato o trasformato, smaltito o abbandonato in ambiente marino o costiero. Si tratta di rifiuti risultanti da attività umane che si svolgono sia in terra che in mare. I rifiuti marini sono costituiti per lo più da plastica, gomma, carta, legno, metallo, vetro, stoffa e possono galleggiare sulla superficie del mare, essere trasportati dal vento e dalle correnti oppure giacere sui fondali. I rifiuti possono essere visibili (macrolitter: macro-rifiuti), difficilmente visibili o addirittura invisibili (microlitter: micro-rifiuti di dimensioni inferiori a 5 mm).
La materia plastica: definizione e proprietà
Tra i rifiuti solidi che compongono il marine litter la plastica è il più dannoso perché questa, per la sua caratteristica leggerezza e galleggiabilità, può accumularsi anche a enormi distanze dal punto in cui è stata prodotta. Il termine plastica deriva dal termine greco plastikos che significa “adatto ad essere modellato”, e si riferisce alla plasticità di questi materiali durante la loro fabbricazione. L’aspetto più nocivo della plastica è che non si biodegrada ma si degrada. Un oggetto degradabile è un qualsiasi oggetto che viene ridotto in piccole dimensioni e trasformato da agenti naturali. In natura, i materiali vengono solitamente disgregati dai microorganismi (come batteri e funghi) producendo composti che vengono riutilizzati nell’ambiente, processo noto come biodegradazione. I materiali naturali sono solitamente più biodegradabili di quelli sintetici. Plastica, vetro, gomma sintetica, tessuti artificiali e metalli sono generalmente resistenti alla biodegradazione. Tessuto e gomma naturali possono biodecomporsi, ma occorre un periodo di tempo abbastanza lungo. Le materie plastiche possono subire la cosiddetta fotodecomposizione, ovvero la degradazione ad opera dell’energia luminosa del sole. I materiali si decompongono anche a seguito di interazione chimica (ad esempio, la formazione di ruggine sul materiale ferroso) ed altri deterioramenti dovuti ad agenti fisici, quali l’erosione e degradazione meteorica, che determinano la frammentazione del materiale in particelle sempre più piccole. Per far fronte al problema rifiuti, oltre a diminuirne la produzione, sono in atto progetti di materiale ecosostenibile che potrebbe sostituire materiali di produzione non biodegradabili.
I rifiuti che non si decompongono facilmente restano nell’ambiente marino per lungo tempo e sono quindi detti persistenti. Plastica e gomma sintetica sono i materiali più persistenti che compongono i detriti marini. È stato dimostrato che 6,4 milioni di tonnellate di rifiuti entrano negli oceani ogni anno. Le diverse attività umane producono notevoli quantità di detriti marini antropogenici. La tipologia, la composizione, le quantità globali e le densità sono in continuo aumento, anche se la produzione di rifiuti varia da paese a paese. Convenzionalmente, i rifiuti plastici sono stati suddivisi in quattro classi dimensionali: le macroplastiche (>200 mm), le mesoplastiche (4,76-200 mm), le microplastiche (1,01-4,75 mm). A queste classi di categorie è necessario aggiungere le nanoplastiche, le cui ridottissime dimensioni rendono tuttavia impossibile il loro campionamento tramite metodi tradizionali: secondo alcuni autori viene definito nanoplastica un frammento plastico di dimensioni inferiori a 20 μm.
Distribuzione e produzione mondiale
La distribuzione e l’accumulo di rifiuti è influenzata, in particolare, da fattori geomorfologici e idrografici , dai venti prevalenti e dalle attività antropiche . Gli hot spot di accumulo sono in tutti gli habitat marini e si distribuiscono sulle coste vicino alle aree popolate , in particolare nelle spiagge, nelle acque superficiali pelagiche, ma anche canyon sottomarini, dove i rifiuti provenienti dalla terra si accumulano in grandi quantità e il processo di degradazione è molto più lento.
Le microplastiche e il loro impatto nelle catene trofiche
Anche se a destare più clamore sono i macro-rifiuti galleggianti di plastica, ultimamente si sta acquisendo la consapevolezza che questi ultimi sono inevitabilmente destinati a degradarsi nell’ambiente marino frammentandosi in microplastiche: frammenti plastici più piccoli e apparentemente insignificanti ma ancor più nocivi e pericolosi. Le microplastiche sono suddivise in base alla composizione, alla morfologia e all’origine. I composti che più comunemente vanno a costituire le plastiche sono il polietilene, il polipropilene, il polistirene, il polietilene tereftalato (PET) ed il polivinilcloride (PVC), le cui fonti originarie sono principalmente bottiglie di plastica, contenitori per il cibo, reti da pesca, posate, pellicole, bicchieri di plastica. La categorizzazione delle microplastiche può avvenire anche su base morfologica, determinata dalla fonte che li origina: possono essere campionati pellets e microbeads, frammenti derivanti dalla disgregazione di rifiuti di maggiori dimensioni e fibre. Tendenzialmente i microbeads sono considerate microplastiche primarie, in quanto si tratta di frammenti di materie plastiche che sono volutamente realizzati per essere di dimensioni microscopiche. Viceversa le microplastiche secondarie, derivanti da disgregazione di rifiuti di maggiori dimensioni, sono sia i frammenti erosi sia le fibre. Poiché la plastica non si biodegrada ma si degrada le microplastiche secondarie sono molto più numerose rispetto alle primarie perché vengono da qualsiasi tipo di plastica.
L’inquinamento da microplastiche è dannoso per gli ecosistemi acquatici perché in molti animali tali particelle creano danni fisici o metabolici, come il soffocamento, oppure sono fonte di tossicità incrementata da adsorbimento e bioaccumulo di sostanze inquinanti. Le microplastiche entrano nella catena trofica e, per comprendere come avviene ciò, bisogna considerare il bioaccumulo o biomagnificazione, ovvero quel processo per cui l’accumulo di sostanze tossiche negli esseri viventi aumenta di concentrazione man mano che si sale al livello trofico successivo. Sono tantissime le specie affette da questa forma di inquinamento, dai filtratori, come i molluschi bivalvi e i crostacei, agli invertebrati detritivori, come oloturie, isopodi, anfipodi e policheti. E’ quindi frequente che gli animali a vita bentonica (organismi che vivono in stretto contatto con il fondo o fissati a un substrato) accumulino direttamente microplastiche, mentre le particelle più piccole possono essere ingerite anche da organismi planctonici, come i copepodi e gli eufasiacei. Ovviamente l’accumulo diretto è riscontrabile anche ai livelli più alti della catena trofica, come nella balenottera comune o nello squalo elefante. E’ implicito che il processo di biomagnificazione riguardi anche il trasferimento trofico in predatori attivi quali uccelli, rettili, mammiferi marini, pesci e cefalopodi e di conseguenza anche noi esseri umani.
È POSSIBILE RIPULIRE GLI OCEANI DALLA PLASTICA?
Attualmente sono in corso progetti e studi di macchinari o imbarcazioni che possano raccogliere soprattutto i rifiuti galleggianti per mezzo di reti; non si riuscirebbe invece ad eliminare definitivamente le microplastiche che esercitano enormi danni sull’ecosistema marino e, di conseguenza, sulla salute degli esseri umani. L’idea più rivoluzionaria è stata sviluppata da Boyan Slat, fondatore di Ocean Cleanup. Ocean Array Cleanup è una macchina che sfrutta le correnti del mare, le stesse che hanno portato alla creazione dell’isola di plastica, per far sì che i rifiuti di plastica si accumulino nelle piattaforme e il mare si pulisca autonomamente. Il sistema è composto da barriere galleggianti della lunghezza di due chilometri e poste in favore di corrente, senza reti, che convogliano la plastica verso piattaforme che fungono da imbuto. Successivamente, una volta al mese circa, una barca andrà a raccogliere i rifiuti convogliati verso la parte centrale della macchina. Non si sa se ci saranno progetti che riusciranno a risolvere la questione rifiuti nei nostri oceani, l’unica certezza è che se noi esseri umani non cambieremo le nostre cattive abitudini la situazione peggiorerà di giorno in giorno. Non è facile risolvere danni di cui l’uomo ne è da così tanti anni la causa. Continuando di questo passo si stima che nel 2050 negli oceani avremo, in peso, più plastica che pesci.
Fonte
- Marine pollution. Plastic waste inputs from land into the ocean
ResearchGate - Alcuni approfondimenti sulla plastica in ambiente marino
ResearchGate