Secondo la definizione fornita dal DSM V, un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale. A tale condizione è associata una significativa sofferenza e inabilità in ambito socio-lavorativo e in tutti gli altri settori della vita dell’individuo.
IN BREVE
Indice
DEFINIZIONE DEL DISTURBO MENTALE
Un disturbo mentale ( conosciuto anche come “malattia mentale”), secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V), è una sindrome- non rapportabile alla cultura di appartenenza dell’individuo- caratterizzata da un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale; a tale condizione è associata una significativa sofferenza e inabilità in ambito socio-lavorativo e in tutti gli altri settori della vita dell’individuo. I disturbi mentali sono sempre più diffusi nella società odierna e rappresentano una minaccia sempre più dirompente per il sistema nazionale di sanità pubblica. Sebbene la loro presenza sia sempre più pervasiva, ancora oggi non ricevono l’attenzione che meritano sia dall’opinione pubblica, sia dagli ambienti familiari e lavorativi: spesso capita che si accusi il malato di “pigrizia” o di “ irresponsabilità”. Il problema è che il disturbo mentale, in quanto non manifestabile esternamente come una malattia fisica, viene preso meno sul serio, viene percepito meno reale e quindi preso sottogamba e non considerato a dovere.
Disturbi mentali e l’antipsichiatria
Il costrutto “ disturbo mentale” racchiude una vasta gamma di definizioni, patologie e disfunzioni confinate e limitate dall’evoluzione della riflessione clinica, dalle pressioni ambientali e dalla tolleranza mostrata dalla società nei confronti di tutto ciò che è considerato “deviante”: definire il patologico permette di definire, allo stesso tempo, tutto ciò che è “normale” e quindi “accettabile”. Contro l’etichettamento sociale del costrutto “ disturbo mentale” , si è mosso il Movimento dell’antipsichiatria. Tale movimento si afferma in Europa intorno al 1970 e trova le sue origini nel pensiero esistenzialista promosso dagli studi di M. Foucault. I pilastri del movimento fondano le radici nella lotta contro le istituzioni manicomiali, considerate come luoghi di segregazione sociale di sfondo politico che hanno permesso la delineazione culturale di ciò che è considerato “ normalità” e ciò che invece è “patologia”. Criticato a fondo è anche il concetto di “disturbo mentale” , considerato come una scelta dell’individuo in risposta a norme e contraddizioni sociali e non come il risultato di disfuzioni e disturbi. Secondo il movimento, il paziente deve essere seguito e sostenuto da un terapeuta in un ambiente istituzionale che deve presentarsi come semplice struttura sociopolitica aperta. In Italia questo movimento, specialmente l’aspetto legato alla terapia, ebbe eco all’interno del movimento Psichiatria Democratica.
CRITERI D’IDENTIFICAZIONE DEL DISTURBO MENTALE
Definire le cause che determinano l’insorgere di un disturbo mentale è difficile per molti fattori. Innanzitutto, è importante definire le tre dimensioni intorno alle quali si snoda il concetto di “disturbo mentale”, ovvero oggettività, descrizione e non-valutazione. Si ritiene che la categoria delle disfunzioni dei processi mentali sia indipendente dal nostro giudizio di valori, che esista indipendentemente da noi. E’ compito della natura determinare cosa è o cosa non è un disturbo mentale in quanto disfunzione: la società giudica quali tra le disfunzioni siano dannose, quindi importanti per la ricerca. Classificare il disturbo mentale con almeno una componente oggettiva, secondo Wakefield, permette un allineamento tra psichiatria, psicopatologia e altre specialità mediche. Identificare un criterio oggettivo della disfunzione permette di distinguere le “condizioni mentali patologiche” da quelle che esprimono “ problemi del vivere” (espressione di Thomas Szasz,1960). Distinguere, per esempio, una normale tristezza dalla depressione può risultare difficile per quelle persone che hanno subito un lutto: tristezza pervasiva e umore depresso sono caratteristiche presenti in entrambe le situazioni. Per poter riconoscere un disturbo mentale, ci si basa principalmente su tre criteri:
- La gravità dei sintomi
- La durata dei sintomi
- Quanto i sintomi pervadono e incidono sulla capacità di svolgere azioni quotidiane.
I determinanti dei disturbi mentali non includono solo caratteristiche individuali come capacità di gestire le proprie emozioni, i propri problemi, i comportamenti e le relazioni con gli altri ma anche fattori culturali, sociali, economici, politici e ambientali, tra cui le politiche adottate a livello nazionale, lo standard di vita e il supporto sociale offerto dalla comunità. Infatti, l’esposizione sin da infanti a problematiche di varia natura rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo futuro di disturbi mentali.
Cause sottostanti al disturbo
Oggigiorno, si ritiene che il disturbo mentale sia frutto di un’interazione complessa di vari fattori:
- Ereditari;
- Biologici ( fattori prettamente fisici);
- Psicologici;
- Ambientali ( inclusi fattori sociali, culturali e familiari).
La ricerca ha dimostrato che molti disturbi mentali mostrano una componente ereditaria. Ciò sta a significare che l’insorgere di un determinato disturbo in un soggetto dipende dalla sua predisposizione genetica a tale disturbo. Tale vulnerabilità, unita a fattori ambientali e psicologici, può condurre all’insorgere di una patologia psichiatrica.
Ereditarietà e basi genetiche
È possibile affermare che alcune patologie psichiatriche sono più facilmente trasmissibili di altre. In particolare, schizofrenia, disturbo bipolare e depressione maggiore sono le condizioni patologiche più trasmesse per via genetica.
- Schizofrenia: ha una prevalenza nel corso della vita del 0.3-0,7% , colpendo maggiormente i maschi rispetto alle femmine. Studi rivelano che il contributo genetico allo sviluppo della patologia è intorno al 60%. Il rischio più alto di sviluppare la schizofrenia si ha nel momento in cui un paziente di primo grado è affetto dalla patologia: se almeno uno dei due genitori presenta la malattia, la possibilità dei figli di svilupparla è del 10%. Nel caso entrambi i genitori siano affetti, la possibilità che i figli la sviluppino sale oltre il 40%. Nel caso di fratelli omozigoti, se uno dei due presenta la patologia, l’altro ha il 50% di possibilità di svilupparla.
- Disturbo bipolare: bisogna effettuare una distinzione tra Disturbo Bipolare di I grado e Disturbo Bipolare di II grado. Per quanto riguarda il disturbo di I grado, si ha una prevalenza nel corso della vita del 0.4-1.6%. La distribuzione è uguale in ambo i sessi. I familiari di primo grado di un paziente affetto hanno un rischio di ammalarsi superiore fino a 10 volte quello della popolazione generale. Parlando del disturbo di II grado, si ha una prevalenza nel corso della vita del 0.5%, con frequenza leggermente maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Presenta una familiarità molto spiccata. La concordanza tra gemelli omozigoti è particolarmente elevata, oscilla tra il 40% e il 70% a seconda degli studi. È la condizione psichiatrica a maggior incidenza genetica.
- Depressione maggiore: incidenza di ammalarsi varia dal 10% al 25% per la popolazione femminile, per quanto riguarda la popolazione maschile varia tra il 5% e il 12%. Sebbene i dati riguardo l’ereditarietà siano meno consistenti e precisi rispetto ai due disturbi mentali sopracitati, la possibilità di un figlio di ereditare la patologia da un genitore si aggira intorno a valori che possono raggiungere anche il 70%. L’ereditarietà sembra meno plausibile per formi più lievi, mentre ha maggior incidenza per forme più gravi con esordi precoci.
Disfunzioni genetiche in comune in certi tipi di disturbi mentali
Una notevole ed importante scoperta riscuote la comunità neuroscientifica. Lo studio del Brigham and Women’s Hospital a Boston guidato da Priya Srikanth , pubblicato sulla rivista Translational Psychiatry, ha fatto luce su molti dubbi riguardanti le basi genetiche dei disturbi. Questo studio ha rivelato come schizofrenia, depressione maggiore, autismo, disturbo bipolare di personalità e ADHD ( disturbo da deficit di attenzione/iperattività) siano in parte causati dalla mutazione del gene DISC1, che provoca anomalie all’interno dello sviluppo del cervello. In particolare, il gene è coinvolto in processi che regolano la proliferazione, la differenziazione e la migrazione delle cellule nervose nello sviluppo embrionale. La sua importanza è stata riscontrata anche nella crescita degli assoni e dendriti dei neuroni e nella comunicazione neuronale.
VALUTAZIONE PSICHIATRIA DEL PAZIENTE AFFETTO DA DISTURBO MENTALE
La valutazione psichiatrica comprende una visita medica generale, un esame dello stato mentale e l’anamnesi psichiatrica. La valutazione medica ha lo scopo di identificare:
- Patologie fisiche che riproducono i disturbi mentali;
- Patologie fisiche che si presentano con i disturbi mentali;
- Patologie fisiche causate da disturbi mentali.
L’esame dello stato mentale si serve di domande e di osservazione diretta del paziente al fine di valutare diverse aree del funzionamento mentale, quali:
- Discorso: valutato attraverso il linguaggio. L’andamento del discorso del paziente può essere un precoce indicatore di ciò che affligge il paziente; un discorso lento e a bassa voce può indicare depressione, mentre un eloquio veloce ad alta voce può indicare mania.
- Espressività emotiva: vengono considerati il tono di voce, la gestualità, la postura e le espressioni facciali; vengono valutati umore del paziente e stato affettivo durante il colloquio.
- Pensiero e percezione: viene valutato sia cosa dice il paziente, sia la modalità con cui viene espresso. Un’anormalità è riflessa in deliri, false credenze e ossessioni.
- Funzioni cognitive: viene valutato il livello di attenzione, la memoria a breve termine e lungo termine, ragionamento astratto, capacità di giudizio e intuizione.
L’anamnesi del paziente serve per valutare la storia clinica e personale del paziente. Nel caso in cui il paziente non sia in grado di fornire tutte le informazioni richieste, si cerca di ottenere informazioni dalla famiglia, da chi si occupa del soggetto o da altre fonti ( es. polizia). Se il soggetto è in grado di reperire lui stesso tutte le informazioni richieste, tramite l’anamnesi e il colloquio, si effettua una diagnosi.
Diagnosi psichiatrica: a cosa serve e da dove deriva?
La diagnosi psichiatrica, a differenza di quella medica, è più complessa da effettuare e non si basa solamente su informazioni raccolte dall’esame fisico del soggetto. Spesso, non c’è alcun sintomo fisico o test biologico che verifichino una malattia mentale. L’operatore sanitario che effettua la diagnosi deve basarsi sull’auto-descrizione di emozioni e pensieri del paziente, insieme ad un’osservazione attenta dei suoi comportamenti. Lo scopo della diagnosi è quello di permettere agli operatori sanitari di comunicare tra loro e concordare sulla terapia migliore da somministrare. Molto spesso le terapie portano alla prescrizione di farmaci psichiatrici; la loro assunzione può portare benefici a tempo determinato, ma il rischio che si incorre è che producano effetti spiacevoli e debilitanti o portino alla dipendenza. È importante ricordare che il paziente ha il diritto di essere, e deve essere, adeguatamente coinvolto in ogni fase della valutazione psichiatrica e della potenziale terapia. Esistono due fonti principali per le diagnosi psichiatriche: la Classificazione Internazionale delle Malattie(ICD), prodotta dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), frutto dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA), entrambe sottoposte a continua revisione. Ma cosa differenzia le due? Sostanzialmente, il DSM è principalmente usato da medici americani e ricercatori; l’ICD è principalmente usato in Europa e preferito per la sua maggior praticità. Tuttavia, entrambi sono usati a livello mondiale ed oggigiorno rimangono gli unici punti fermi in relazione ai disturbi mentali.
INCIDENZA DEI DISTURBI MENTALI IN ITALIA
Nel 2017, il SIMS (Sistema Informativo per la Salute Mentale) erogò un rapporto relativo alla salute mentale degli italiani. Dal quadro complessivo italiano emerge che, nel 2017, 851.189 persone-con prevalenza del sesso femminile, il 53.5% dei casi – hanno avuto bisogno di un medico specialista ( mancano i dati della P.A di Bolzano), sebbene vi siano numerose disparità in base alla regione presa in esame: in Sardegna, 79.9 soggetti su 10.000 si rivolgono a servizi psichiatrici mentre in Puglia si registrano 230,1 individui su 10.000. Non si sa di per certo quali fattori intervengano a provocare una così netta distanza. Dal rapporto emerge che i disturbi mentali colpiscono maggiormente la fascia di età 45-54 anni, la così detta “mezza età”, con sostanziale parità tra uomini e donne. Andando più a fondo nell’argomento, si evince una disparità di genere per quanto riguarda i tipi di disturbo mentale: i tassi relativi ai disturbi schizofrenici, ai disturbi di personalità, ai disturbi di abuso di sostanze e al ritardo mentale sono maggiori nel sesso maschile rispetto al sesso femminile; quest’ultimo primeggia invece in disturbi depressivi, affettivi e nevrotici. In particolare per la depressione, il tasso dei soggetti femminili è quasi il doppio dei soggetti maschili (29.2 per 10.000 abitanti di sesso maschile e 48.3 per 10.000 abitanti di sesso femminile). Per quanto riguarda gli investimenti economici del sistema sanitario nazionale nella salute mentale, Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria dichiara:” In Italia si investe solo il 3.5% del budget della sanità per il settore della salute mentale, a fronte di medie del 10-15% di altri grandi paesi europei. Questo significa lasciare sguarniti di personale i servizi, che attualmente hanno un deficit di operatori che va dal 25 al 75 % in meno dello standard”.
Panoramica della distribuzione dei disturbi
Il rapporto sulla salute mentale (riferito agli anni 2015-2017) erogato dall’ISTAT nel 2018 riferisce che:
- La depressione è il disturbo mentale più diffuso, spesso associata con ansia cronica grave. Si stima che il 7% della popolazione oltre i 14 anni abbia sofferto nell’anno di disturbi ansioso-depressivi. All’aumentare dell’età, aumentano i disturbi ansioso-depressivi ( dal 5.8% tra i 35-64 anni al 14.9% dopo i 65), con un netto svantaggio per il genere femminile. A questo tipo di disturbo si associano condizioni di svantaggio economico e sociale: rispetto agli istruiti della stessa generazione, raddoppia negli adulti con basso livello di istruzione e triplica tra gli anziani (16.6% rispetto a 6.3%).
- In Italia, nell’anno scolastico 2016-2017, i due terzi degli alunni con disabilità, presenta una disabilità di tipo intellettivo ( oltre 170 mila alunni).
- La condizione lavorativa è importante per la salute mentale: è stato registrato che inattivi e disoccupati tra i 35-64 anni presentano più spesso depressione o ansia cronica grave ( 10.8% e 8.9%) rispetto ai coetanei che lavorano (3.5%).
- Con l’avanzamento dell’età, 4.7% della popolazione anziana è affetta da Alzheimer e demenze, con particolare incidenza nelle donne ultraottantenni (14.2%). Queste due patologie sono la causa di oltre 52 mila decessi all’anno tra anziani.
Disturbo mentale e suicidio
Riferendosi sempre ai dati ISTAT sopracitati (anni 2015-2017), il tasso di mortalità per suicidio è pari a 6 per 100 mila residenti ( più basso della media europea). Tale quota aumenta con l’avanzare dell’età, passando da 0.7 nei giovani fino a 19 anni a 10.5 negli anziani, con valori 4 volte maggiori nei maschi rispetto alle femmine. Nella classe di età tra i 20 e 34 anni, il suicidio rappresenta una rilevante causa di morte (12% dei decessi).Il suicidio rappresenta una delle emergenze più comuni nei soggetti psichiatrici, sebbene la predizione e la prevenzione del comportamento suicidario sia, al contempo, uno degli aspetti di più difficile soluzione in psichiatria. Le condizioni e gli eventi correlati a comportamenti suicidari sono descritti come fattori di rischio primari, secondari e terziari, strettamente correlati e intrecciati tra loro. I fattori primari sono rappresentati, per l’appunto, da disturbi psichiatrici: disturbi dell’umore, schizofrenia, abuso di sostanze, disturbi da personalità borderline e disturbi antisociali; ne fanno parte anche precedenti tentativi di suicidio e vulnerabilità al suicidio ( indicata da una storia familiare positiva al suicidio). I fattori secondari riguardano situazioni di lutto o divorzi, mentre i fattori terziari sono legati a fallimenti finanziari e lavorativi. È importante sottolineare come la potenza predittiva del suicidio di questi fattori sia elevata solamente se presenti anche i fattori di rischio primari.
Fonte
- Perché non dovremmo cercare una definizione di “disturbo mentale”.
Researchgate - Shared effects on DISC1 disruption and elevated WNT signaling in human cerebral organoids.
Researchgate - La salute mentale nelle varie fasi della vita.
ISTAT