La cherofobia, comunemente conosciuta come la “paura della felicità”, consiste nell’avversione all’essere felici. Questa fobia porta i soggetti affetti ad evitare e a fuggire da situazioni, eventi, animali, persone… tutto ciò che può recare sensazioni di benessere e gioia.
IN BREVE
Cos’è la cherofobia?
La cherofobia è un termine che designa un’irrazionale avversione all’essere felici. Il termine deriva dall’unione dalle parole greche “chero” con significato di “rallegrarsi” e “fobia”, ovvero “paura”. La fobia, in ambito psicologico, indica un’irrazionale, immotivata e persistente paura verso oggetti, persone, animali e/o situazioni che inducono nel soggetto un senso di angoscia, ansia e di repulsione nei confronti dell’agente fobico. Il soggetto cherofobico, dunque, tende a fuggire da tutte quelle situazioni, persone, eventi definite dalla società di appartenenza “divertenti” o che comportano un senso di felicità e benessere. Sebbene la cherofobia sia oramai una fobia riconosciuta e vissuta da molti, essa non è definita in modo preciso in ambito medico. L’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V) non classifica la cherofobia come disturbo mentale. Nonostante ciò, questa fobia è trattata e discussa da molti esperti di salute mentale.

Sintomatologia
Esperti nel settore, classificano la cherofobia come una forma di disturbo d’ansia: entrambe, infatti, sono scaturite da un irrazionale e persistente senso di paura insorto in seguito alla percezione di una possibile minaccia all’incolumità del soggetto. Nel caso della cherofobia, il sorgere dell’ansia è collegato alla partecipazione a situazioni che dovrebbero apportare felicità alla persona. Innanzitutto, è importante effettuare una specificazione: la cherofobia non è la “paura di essere felici”, ma la paura di non esserlo; si teme non il divertimento in se, ma le sofferenze e le conseguenze negative che derivano dalla “sperimentazione” della felicità. Alcuni pensieri che le persone cherofobiche possono avere includono: “Essere felice significa che qualcosa di brutto mi accadrà successivamente”, “La felicità ti rende una persona peggiore” , “È troppo bello per essere vero, ho paura di cosa accadrà dopo” oppure pensieri del tipo “Manifestare la felicità è negativo sia per i tuoi amici, che per la tua famiglia” , “Preferisco non essere felice, perché la felicità è spesso seguita da tristezza” e “I disastri seguono spesso la fortuna” . Si tratta di atteggiamento mentale volto a distruggere ogni potenziale esperienza di benessere a causa della convinzione che sfocerà solo in dolore, sofferenza, in una perdita di tempo e di energie. Ma quali sono i sintomi che scatenano il sopraggiungere di tali pensieri?
- L’ansia che si scatena al pensiero di partecipare a eventi sociali potenzialmente divertenti come feste, serata tra amici, concerti e situazioni simili;
- Il rifiuto di opportunità che possano portare a cambiamenti positivi della vita del soggetto in quanto spaventato dall’idea che qualcosa di negativo e terribile sicuramente succederà;
- Rifiuto quasi categorico di partecipare a eventi sociali.
È importante non confondere la cherofobia con la depressione o l’anedonia, l’incapacità di provare piacere; i soggetti cherofobici non sono tristi, semplicemente evitano situazioni di potenziale divertimento. Si tratta, sostanzialmente, di una forma di controllo che cerca di limitare e manipolare la propria vita emotiva evitando estremismi positivi, vissuti come momenti di estrema vulnerabilità.

Le cause della cherofobia
Il rifiuto di esporsi a potenziali possibilità di essere felici è molto spesso il risultato di eventi spiacevoli o traumatici nel passato. Se nel passato, subito dopo un’esperienza piacevole è avvenuto spesso un qualcosa di doloroso, il collegamento “gioia-dolore” è ben presto fatto: emozioni quali dolore, frustrazione, rabbia, umiliazione, insofferenza hanno ucciso e soffocato la gioia, la felicità e la voglia di riprovare emozioni positive. È assimilabile a un meccanismo di difesa: lo scattare dell’ansia funziona come campanellino d’allarme e il soggetto, per evitare sofferenza, evita il benessere. Per gli studiosi, la cherofobia può essere anche la conseguenza delle punizioni subiti da piccoli: al godimento provato, segue la punizione. Inoltre, sembrerebbe che i soggetti introversi siano più propensi alla cherofobia: gli introversi preferiscono fare attività in solitudine o con un paio di persone alla volta. Tendono a percepire timidezza e disagio in luoghi pubblici molto affollati e rumorosi. Stephanie Yeboah, blogger e scrittrice londinese, ha convissuto con la fobia sin dall’età di 11 anni. Solo di recente è riuscita a collocare la sua esperienza sotto il nome di “cherofobia”. Stephanie dichiara “Fondamentalmente, è una sensazione di completa disperazione, una situazione senza speranza che porta a sentirsi ansiosi o diffidenti all’idea di partecipare o fare cose per arrivare alla felicità, perché tanto sai già che non sarà destinata a durare. […]Nel mio caso, la mia cherofobia è stata innescata da eventi traumatici. Tutto ciò che so è che, per qualche ragione, mi sento meglio quando sono infelice in quanto l’infelicità è il sentimento che ho provato per tutta la mia vita ed ora mi ci sono abituata. […] Affligge pesantemente ogni giorno della mia vita tanto che non posso mai festeggiare per i miei successi o prendermi dei momenti per me stessa. Inizio ad avere pensieri ossessivi con la conseguenza che faccio fatica a pensare a qualcosa che non sia la paura. Mi isolo spesso, il che riconosco essere anti-produttivo”.

Esiste una cura?
Non essendo la cherofobia un disturbo riconosciuto e largamente studiato, non esistono farmaci risolutivi o percorsi terapeutici prestabiliti per la cura della fobia. Nonostante ciò, esistono terapie consigliate per il miglioramento della condizione:
- Innanzitutto, il soggetto deve essere consapevole della sua condizione e deve essere volenteroso nell’affrontare un cambiamento. Molti soggetti cherofobici non percepiscono la necessità di cambiare e di affrontare la fobia;
- Terapie cognitive-comportamentali: vanno ad agire sugli atteggiamenti mentali del soggetto. Modificando i pensieri relativi alla felicità e alla sofferenza, comportamenti differenti seguiranno e il cherofobico potrà iniziare ad intraprendere una vita diversa;
- Tecniche di rilassamento come la respirazione profonda, fare attività fisica o tenere un diario di sfogo;
- Ipnositerapia: il soggetto è indotto ad uno stato di trance dove la sua reattività alla suggestione è amplificata. In questo stato di rilassamento, può parlare e discutere dei propri sentimenti ed emozioni senza aumentare i livelli di stress e ansia;
- Esposizione a eventi che provocano la felicità come mezzo per dimostrare che non necessariamente dopo uno stato di benessere, la sofferenza giunge;
- La psicoterapia, volta ad agire sugli eventi passati traumatici e a spezzare il collegamento tra piacere e dolore.

La ricerca della felicità nel mondo
In un articolo del Journal Of Cross-Cultural Psychology gli autori crearono la Fear of Happiness Scale, volta a comparare la paura della felicità in 14 culture in tutto il mondo. Risulta scioccante sapere che, in molte culture, la ricerca della felicità non sia vista come un obiettivo di vita e come, in altrettante culture, la felicità stessa venga vista come negativa. Per esempio, paesi orientali come Cina, Giappone e Taiwan non lottano per la conquista della felicità: in queste culture, essa deve essere limitata se non si vuole andare incontro a disgrazia e sfortuna. Queste culture sono sotto l’influenza del Taoismo, una religione e filosofia di vita che vede l’equilibrio del mondo nel costante cambiamento e dove tutto quanto, alla fine, ricade nel suo opposto: la felicità, alla fine, ricade in infelicità. Nella prospettiva islamica, per esempio, la felicità mondana tende ad essere percepita come un segno di distacco da Dio. La considerazione che i paesi occidentali hanno della felicità è ancora diversa: la libertà e i successi personali individuali sono considerati grandi fattori nella costruzione di una propria felicità; nella cultura americana “l’incapacità di raggiungere la felicità… può essere vista come una dei più grandi fallimenti che una persona può sperimentare” (Morris, 2012, p.436). Il concetto di felicità esiste in tutte le culture del mondo, ma i suoi significati e i suoi modi di esprimersi variano enormemente: cosa rende felice la popolazione di un paese può essere del tutto diversa rispetto ad un altro; inoltre, studi globali confermano che la visione della felicità si basa su 4 blocchi comuni, indipendentemente dalla cultura di appartenenza: supporto sociale, una vita sana, libertà ed essere circondato da un ambiente ricco di fiducia e generosità. Ciò fa riflettere molto sul concetto di cherofobia , come la fobia stessa dipenda fortemente dalla cultura di appartenenza di un individuo e dalla visione che il soggetto ha della propria felicità.

Fonte
- Cross-Cultural Validation of Fear of Happiness Scale Across 14 National Groups
Journal of Cross-Cultural Psychology - Aversion to Happiness Across Cultures: A Review of Where and Why People are Averse to Happiness
SpringerLink