L’aerogel è un materiale dalle straordinarie qualità ma, purtroppo, non è stato sin da subito valorizzato doverosamente. Ha dovuto cominciare la sua “carriera” dal basso e risalire la china fino ad essere impiegato in missioni spaziali.
IN BREVE
Indice
LA NASCITA DELL’AEROGEL E LE SUE PROMETTENTI QUALITÀ
Molti testi riportano che l’aerogel sia nato da una scommessa tra Samuel Kistler e Charles Learned, due colleghi del College of the Pacific (in California), su chi fosse riuscito per primo a rimuovere da un gel (un solido disperso in un liquido) la fase liquida lasciando al suo posto semplicemente aria, dimostrando al contempo che la parte solida potesse reggersi da sola. Chi la spuntò fu Kistler che, nell’anno 1931, produsse così il primo aerogel della storia. Questo materiale fu realizzato a base di silice, SiO2, la stessa molecola che compone tanti altri oggetti come il vetro e il quarzo, sebbene sia disposta in maniera diversa.
Struttura e composizione dell’aerogel
Osservando un aerogel, la prima impressione che si ha è che i bordi sembrino “scomparire” (non si riesce a definire dove terminano i bordi e dove inizia l’aria). Qual è il motivo di questa singolare caratteristica? Definendo più accuratamente l’aerogel, secondo la definizione IUPAC è “un gel costituito da un solido microporoso in cui la fase dispersa è un gas”. In particolare, la fase gassosa rappresenta oltre il 99.8% del volume totale, mentre il restante 0.2% è costituito dalla fase solida: questo spiega perché sia possibile guardarvi attraverso.
L’aerogel è uno dei materiali meno densi che siano stati mai creati (con densità minime di 0.001 g/cm3) e ha detenuto questo record per molto tempo (fin quando nel 2015 il metallo più leggero del mondo gli ha tolto il primato, prima di riappropriarsi del titolo nel 2018 sebbene sotto altre vesti: l’aerografene, denso 0.5 mg/cm3). Un’altra caratteristica sorprendente è l’area della sua superficie esposta per unità di massa (contano anche i ripiegamenti dei pori interni): ebbene, sono state ottenute aree di ben 900 m2/g. Per dare un’idea, prendendo un aerogel che pesa solo 1 grammo, se si stendessero tutti i pori interni su un piano si potrebbero ricoprire quattro campi da tennis! Non finisce qui: nonostante sia così leggero, può sopportare fino a 4000 volte il suo stesso peso (anche se bisogna appoggiare con cautela l’oggetto pesante, altrimenti l’aerogel si frantumerà, essendo tuttavia un materiale molto fragile). Tutte queste proprietà derivano dalla struttura interna dell’aerogel, molto simile a quella di una spugna, formata da tanti pori aperti: per visualizzarla nella propria mente si immaginino dei tubi, i cui diametri sono dell’ordine di poche decine di nanometri (un miliardesimo di metro), con dei buchi lungo le superfici che li connettono ad altri tubi, rendendoli interconnessi tra loro.
Proprietà chimico-fisiche
Tale struttura conferisce al materiale un’eccellente capacità di isolamento termico (e sonoro). Il fenomeno associato, che prende il nome di effetto Knudsen, consiste nell’ostacolare il movimento delle molecole di aria calda proprio grazie alla disposizione “spugnosa” dei suoi pori, diminuendo il libero cammino medio (ovvero la distanza che possono compiere senza urti) e facendole andare a sbattere continuamente contro le pareti e perdendo la loro energia termica. In questo modo, dunque, non hanno la possibilità di passare da una parte all’altra dell’aerogel, in definitiva impedendo al calore di essere trasmesso. Questo lo rende un isolante termico migliore dell’aria. Inoltre, un aerogel di silice è completamente trasparente quando posto contro uno sfondo luminoso, ma presenta un colore bluastro se viene invece posto contro uno sfondo colorato: questo comportamento è dovuto all’interazione tra la luce e le particelle che compongono l’aerogel stesso. La luce proveniente dal Sole e che arriva sulla Terra è un insieme di onde elettromagnetiche caratterizzate ciascuna da una lunghezza d’onda diversa, spaziando dall’ultravioletto passando per il visibile fino all’infrarosso. Quando incide sull’aerogel, le lunghezze d’onda che sono di dimensioni fino a 10 volte quelle delle microstrutture del solido vengono diffuse in tutte le direzioni. Essendo le dimensioni caratteristiche dei pori dell’aerogel, come detto prima, di qualche decina di nanometri, e la lunghezza d’onda del blu di 380 nm, il rapporto è verificato e quindi il blu viene diffuso ed è il colore che si osserva. Questo fenomeno, noto come Rayleigh scattering, spiega anche perché il cielo è blu e, in certi giorni, la luna è rossa. Si penserà che, in virtù di tutte queste qualità e in particolare della sua capacità isolante, l’aerogel abbia avuto immediato successo. Purtroppo, non è andata affatto così.
UN UMILE ESORDIO
I motivi per cui l’aerogel non decollò furono principalmente due: il primo fu che, nello stesso anno in cui Kistler pubblicò il suo articolo sulla sua sensazionale scoperta, lo scienziato premio Nobel William Bragg scoprì la diffrazione dei cristalli (tecnica che rivoluzionò il campo e che viene tuttora utilizzata per studiare la struttura microscopica dei cristalli) e un altro fisico, E. Ruska, inventò il microscopio elettronico (anch’esso presente in ogni laboratorio di ricerca che si rispetti); l’altra ragione fu che il metodo di produzione dell’aerogel era molto costoso, richiedeva tempi molto lunghi e impiegava composti alquanto tossici (come per esempio l’acido cloridrico). La combinazione di queste due cause lo fece cadere nell’oblio. L’aerogel trovò sì impiego, ma non per le sue fantastiche caratteristiche isolanti che furono invece messe da parte e venne invece venduto come componente di inchiostri e vernici, nei quali veniva sfruttato per la sua capacità ottica, prima descritta, nel disperdere la luce e conferire un aspetto opaco; un altro impiego che si trovò fu quello di addensante da inserire nelle pomate per curare le pecore colpite da miasi o nella gelatina delle bombe al napalm.
L’AEROGEL MUOVE I SUOI PRIMI PASSI
Un progresso si ebbe negli anni ’70, quando il governo francese chiese al gruppo di ricerca diretto dal professor S. Teichner, dell’Università di Claude Bernard, di produrre un materiale poroso per depositarvi combustibile liquido. Teichner decise di utilizzare proprio l’aerogel e chiese al suo dottorando di produrre una serie di campioni per poter effettuare più test. Tuttavia, lo studente presto si accorse che per produrne soltanto uno gli ci vollero settimane, e che se avesse continuato con quel ritmo non sarebbe mai riuscito a terminare in tempo. La disperazione, però, lo spinse a escogitare un nuovo metodo per produrre aerogel molto più velocemente, utilizzando sostanze a base di alcol (meno pericoloso dell’acido cloridrico) e seguendo una procedura che gli permise di ridurre notevolmente i tempi di produzione, arrivando a poche ore per campione. Questo metodo di produzione, utilizzato ancora tutt’oggi, viene definito “sol-gel”. Si rimanda alla fine dell’articolo per chi fosse interessato a saperne qualcosa di più. Oltre a questo avanzamento legato al processo di produzione, ci fu un notevole aumento d’interesse in questo materiale, grazie a un gruppo di fisici del CERN che lo utilizzò per studiare alcune particelle subatomiche che, in opportune condizioni, rilasciano la cosiddetta radiazione Čerenkov (la cui spiegazione esula dall’obiettivo di questo articolo). Da qui in poi, la fama dell’aerogel è cresciuta notevolmente, fino ad essere utilizzato in esperimenti di punta.
L’AEROGEL ARRIVA NELLO SPAZIO
Dopo essere stato usato in un ambiente di ricerca prestigioso come quello del CERN, l’aerogel raggiunse la vetta del suo successo alla fine degli anni ’90, quando venne utilizzato dalla NASA. Finalmente, l’aerogel trovò impiego come isolante termico per veicoli aerospaziali, anche grazie alla sua estrema leggerezza che permette di minimizzare il peso dei veicoli stessi, molto importante per vincere l’attrazione gravitazionale durante il lancio in orbita. Tuttavia, il culmine non era ancora stato raggiunto. Erano molti anni che si voleva capire l’esatta composizione delle stelle cadenti, di cui si avevano in realtà poche informazioni ottenute dall’analisi delle meteoriti, ossia frammenti staccatisi dalla stella e atterrati sulla Terra, dopo aver attraversato l’atmosfera e sostenendo quindi temperature estremamente elevate, che inevitabilmente ne modificano la composizione chimica. Gli scienziati immaginarono, allora, di raccogliere la polvere di stelle direttamente nello spazio, preservandola in tal modo da tutte le grosse modificazioni che avrebbe subito attraversando l’atmosfera e per farlo scelsero proprio l’aerogel, che aveva dimostrato di poter resistere a condizioni estreme.
Inoltre, l’aerogel è risultato il più idoneo anche grazie alla sua già commentata struttura microporosa. Il motivo è presto detto. Si immagini di frenare tutto d’un colpo un frammento di stella, che può viaggiare a velocità pazzesche (in media 180’000 km/h!): è facile pensare che il materiale di cattura, qualunque esso sia, verrebbe fortemente danneggiato dall’impatto, e rischiando di danneggiare anche il frammento stesso. Invece, con una struttura molto sviluppata internamente, il frammento può essere rallentato gradualmente con una serie di impatti di minore portata con le superfici dell’aerogel e bloccandolo dolcemente. Alla fine degli anni ’90, dunque, l’aerogel venne montato sulla sonda Stardust che venne lanciata con l’obiettivo di catturare polvere stellare dallo spazio profondo e dalla cometa Wild 2, missione compiuta egregiamente.
COME VIENE REALIZZATO L’AEROGEL
Come accennato prima, il metodo prende il nome di “metodo sol-gel”. La prima fase consiste nel disciogliere delle particelle precursori in un solvente. Si ottiene una soluzione colloidale, detta sol, le cui particelle sono “sospese”, cioè fluttuano nel liquido. La fase successiva consiste nel formare il gel: si inserisce il sol in uno stampo con la forma desiderata e si fanno reagire e aggregare tra loro i precursori formando delle catene molecolari lunghe e ramificate. A questo punto si ottiene un materiale con la stessa consistenza della gelatina. La parte finale è quella più importante e delicata in quanto si deve estrarre il liquido dal gel, solo che facendo semplicemente evaporare il liquido si provocherebbe il restringimento dell’aerogel, portandolo a un volume ben inferiore rispetto a quello di partenza, mentre l’obiettivo è proprio preservare la sua forma iniziale. Il motivo del restringimento è presto detto: ciascun liquido possiede una propria tensione superficiale e, a causa di questa, si svilupperebbero forze capillari per cui le molecole in questa fase “tirerebbero” le successive durante l’evaporazione. Sarebbe proprio la capillarità del liquido a ridurre il volume iniziale dell’aerogel.
Essiccazione supercritica
Invece, il metodo che si adopera è l’essiccazione supercritica, durante la quale il liquido viene trasformato in fase vapore e poi estratto. Nel dettaglio, si inserisce la “gelatina” nell’apposito contenitore di superfluidi e si riempie il recipiente con un fluido dalle caratteristiche chimiche simili a quelle del liquido di cui è costituito il gel (se ad esempio il gel è fatto da una struttura reticolare di silice immersa in etanolo, il gel va immerso in etanolo nella camera per superfluidi). Una parte di liquido evapora aumentando la pressione totale nella camera, finché non si raggiunge l’equilibrio tra liquido e vapore. A questo punto si aumenta la temperatura così da far evaporare altro liquido (e aumentare la pressione), provocando due fenomeni opposti: nella fase vapore si addensano sempre più molecole e quindi la densità del gas si avvicina gradualmente a quella del liquido; nella fase liquida, invece, le molecole acquistano energia cinetica grazie all’aumento di temperatura riuscendo a vincere le forze attrattive intermolecolari e passando nella fase vapore, con conseguente diminuzione della densità fino ad arrivare a quella del vapore. Questi due situazioni proseguono finché non si arriva al cosiddetto punto critico, in cui la sostanza con la quale si ha a che fare non è più né liquido né vapore, ma mostra proprietà comuni ad entrambi: si espande fino ad assumere il volume del recipiente nel quale è contenuto e può essere compresso come un gas, ma ha anche caratteristiche tipiche dei liquidi, come la conduttività termica. Inoltre, questo fluido supercritico ha una tensione superficiale pari a zero. È il motivo per cui viene utilizzata questa tecnica, in quanto così si elimina il problema della capillarità e le molecole di quello che era il liquido possono essere rimosse senza intaccare il volume del materiale. Al termine di questo processo, dunque, la frazione liquida del gel è stata sostituita da aria, ottenendo l’aerogel.
ALTRI TIPI DI AEROGEL
Tutt’oggi sono ancora in corso ricerche relative a questo materiale. Una classe che sta attirando molto interesse è l’x-aerogel, composto da polimeri anziché silice, che rendono l’aerogel flessibile e pieghevole. Questa nuova proprietà apre innumerevoli porte per nuovi campi d’applicazione, specialmente in quelli in cui è richiesta una certa elasticità come per esempio l’abbigliamento. Infatti, da questo materiale si possono ricavare le coperte più calde, o cappotti ultra-sottili per sciare, oppure ancora stivali termici. Un altro campo d’applicazione molto importante sono le telecomunicazioni: infatti, sono stati sviluppati degli aerogel a base di poliimmide, un polimero contenente azoto (N) e doppi legami carbonio-ossigeno (C=O). Essendo fatto di polimeri è molto più resistente e flessibile, come già detto, a differenza del classico aerogel che invece ha il grosso svantaggio di essere fragile e di sgretolarsi in tanti piccoli pezzi. L’aerogel a base di poliimmide lo si potrebbe impiegare come materiale per le antenne, in quanto la loro struttura molto porosa (e quindi poco densa) porta ad avere una costante dielettrica molto bassa (pari a 1.2, molto vicina a quella del vuoto che è 1) e dunque si fa attraversare dalla radiazione elettromagnetica molto facilmente. Un altro tipo di aerogel in fase di sperimentazione è il succitato aerografene, impiegato soprattutto in un nuovo tipo di batterie al solfuro di litio.
Questo tipo di aerogel è stato prodotto anche con la stampante 3D, eseguendo successivamente l’essiccazione supercritica. Il motivo per cui viene usato l’aerografene è che è molto leggero (come già detto) e poroso (come tutti gli aerogel): in tal modo è possibile realizzare delle batterie che si impregnino sufficientemente del liquido solfuro di litio per poter operare, ma che al contempo garantiscano una durata della batteria superiore per unità di peso. Inoltre utilizzare batterie al solfuro di litio ha l’altro vantaggio di non contenere fluoruri (come nel caso delle batterie al litio), tossici per l’ambiente.
Fonte
- La sostanza delle cose
M. Miodownik - The 1970’s: The Aerogel Renaissance
Aerogel.org - C. Cavallo et al., “Journal of Power Sources”, 416(2019) 111
ScienceDirect