La fotosintesi clorofilliana comprende quel complesso insieme di reazioni biochimiche che nelle piante regolano la produzione di glucosio a partire da acqua, anidride carbonica ed energia solare.
IN BREVE
Indice
FOTOSINTESI CLOROFILLIANA: DI CHE PROCESSO SI TRATTA?
Il termine fotosintesi significa letteralmente sintesi mediante luce. La vita sulla Terra dipende fondamentalmente dall’energia che proviene dal Sole e la fotosintesi clorofilliana è l’unico processo biologicamente importante capace di raccogliere tale energia. Con la fotosintesi l’energia solare è utilizzata dalla pianta per ossidare l’acqua con la conseguente liberazione di ossigeno e per ridurre il biossido di carbonio in composti organici, principalmente zuccheri. La serie complessa di reazioni che culmina con la riduzione della CO2 comprende le reazioni dei tilacoidi e quelle della fissazione del carbonio: le reazioni alla luce. I prodotti finali delle reazioni luminose sono i composti ad alta energia ATP e NADPH che sono poi utilizzati nella sintesi di zuccheri nelle reazioni della fissazione del carbonio. La reazione complessiva della fotosintesi può essere scritta come:
6CO2 + 6H2O → C6H12O6 + 6O2
La reazione è indotta dall’energia della luce e dagli enzimi presenti nelle cellule vegetali.
CONCETTI FONDAMENTALI
Il tessuto fotosintetico più attivo nelle piante superiori è il mesofillo fogliare. Le cellule che lo compongono contengono un gran numero di cloroplasti che possiedono pigmenti verdi, le clorofille, specializzati nell’assorbimento della luce. Tutta la clorofilla è contenuta nel sistema di membrane del cloroplasto. Questo organulo presenta una doppia membrana di cui quella interna racchiude lo stroma, fluido nel quale sono ordinati i tilacoidi. Questi ultimi costituiscono un ulteriore sistema di membrane interno all’organulo presso cui si svolgono alcune delle reazioni fotosintetiche. Oltre alle clorofille, diversi altri pigmenti sono presenti sulle membrane tilacoidali. Inoltre, a ciascun centro di reazione che permette lo svolgersi delle prime reazioni fotosintetiche attraverso il trasferimento elettronico, fanno riferimento moltissime molecole di pigmento: decine e decine di molecole di clorofilla e carotenoidi collaborano nella ricezione dell’energia solare per la sua successiva trasformazione in energia chimica. Questi pigmenti fanno parte dei complessi antenna e sono detti pigmenti accessori del centro di reazione. I centri di reazione, i complessi antenna e la maggior parte degli enzimi trasportatori di elettroni sono tutte proteine integrali di membrana. Le clorofille e i pigmenti accessori delle membrane tilacoidali sono sempre associati, in modo non covalente ma altamente specifico, alle proteine con cui formano complessi pigmento-proteina. Sia le clorofille antenna che quelle dei centri di reazione sono associate a proteine che sono organizzate nella membrana così da ottimizzare il trasferimento di energia nei complessi antenna e durante il processo di trasferimento di elettroni nei centri di reazione riducendo eventuali processi dispersivi.
Pigmenti
Tutti i pigmenti attivi nella pianta si trovano nei cloroplasti. Le clorofille e le batterioclorofillle sono pigmenti tipici degli organismi fotosintetici. Le clorofille a e b sono abbondanti nelle piante verdi mentre le clorofille d e c sono comuni nei cianobatteri e nei protisti. Sono state identificate diverse batterioclorofille di cui il tipo a è il più diffuso. Tutte le clorofille hanno una complessa struttura ad anello chimicamente imparentata con le porfirine dei gruppi eme presenti nell’emoglobina e nei citocromi. Attaccata a questo anello vi è quasi sempre una lunga catena idrocarburica: questa permette l’ancoraggio della molecola alla porzione idrofoba dell’ambiente in cui si trova. La struttura ad anello possiede alcuni elettroni legati debolmente ed è la parte della molecola coinvolta nella transizione elettronica e nelle reazioni redox. Il colore verde è dettato dall’assorbimento di luce rossa e blu nello spettro elettromagnetico visibile. I diversi tipo di carotenoidi, invece, sono molecole lineari con doppi legami coniugati multipli. Le bande di assorbimento nella regione fra i 400 e i 500 nm impartiscono ai carotenoidi il loro caratteristico colore arancio. L’energia luminosa catturata dai carotenoidi è trasferita alle clorofille per la fotosintesi e per questo sono definiti pigmenti accessori. Questi pigmenti giocano un ruolo fondamentale nella protezione dell’organismo dai danni causati dalla luce.
Efficienza fotosintetica
Per comprendere la biochimica delle reazioni fotosintetiche è necessario comprenderne tre parametri fondamentali:
- Lo spettro di assorbimento della clorofilla
- La resa quantica del processo fotosintetico
- L’efficienza energetica di conversione dell’energia luminosa in energia chimica
Lo spettro di assorbimento fornisce informazione circa la quantità di energia luminosa catturata o assorbita da una molecola o sostanza in funzione della lunghezza d’onda della radiazione incidente. Lo spettro di assorbimento della clorofilla a dà un’idea approssimativa della quantità di emissione solare che viene utilizzata dalle piante. La clorofilla appare verde ai nostri occhi perché assorbe la luce nelle regioni rossa e blu riflettendo così ai nostri occhi solo colore verde (luce a 550 nm). La resa quantica del processo di fotosintesi è definita come:
φ = numero dei prodotti fotochimici / numero di quanti assorbiti
Per portare a termine questa reazione sono necessari 9-10 fotoni di luce per ogni ossigeno prodotto. Anche se la resa quantica fotochimica in condizioni ottimali è circa del 100%, il rendimento della conversione della luce in energia chimica è molto minore. Se la resa quantica fotochimica è circa pari a 1, la resa quantica massima generale per la produzione di ossigeno è 0,1. L’efficienza di conversione alla lunghezza d’onda ottimale dell’energia luminosa in energia chimica è il 27% circa, un valore veramente alto per un sistema di conversione di energia. La maggior parte di questa energia è accumulata per i processi cellulari così la quantità reale indirizzata per la produzione di biomassa è molto minore. Non vi è ambiguità del dire che la resa quantica è circa del 100% mentre l’efficienza di conversione dell’energia è solo del 27%. L’efficienza quantica è la misura della percentuale di fotoni assorbiti coinvolti nella fotochimica mentre l’efficienza energetica è la misura della quantità di energia dei fotoni che è accumulata sottoforma di prodotti chimici. I numeri indicano che quasi tutti i fotoni assorbiti sono impegnati nel processo fotochimico ma che solo circa ¼ dell’energia di ogni fotone è accumulata mentre la restante è convertita in calore.
I fotosistemi I e II
La fotosintesi si basa su una serie di reazioni di ossido-riduzione. Grazie a una serie di esperimenti che si susseguirono verso la fine della prima metà del XX secolo, fu dimostrato che gli organismi fotosintetici come le piante dovessero avere due fotosistemi che lavoravano in serie. Verso la fine degli anni ’50 del ‘900 il fisiologo vegetale Emerson misurò la resa quantica della fotosintesi in funzione della lunghezza d’onda e rivelò la presenza di un effetto conosciuto come caduta nel rosso. Se la resa quantica è misurata per le lunghezze d’onda alle quali la clorofilla assorbe la luce, i valori che si possono trovare nella maggior parte dello spettro risultano essere incredibilmente costanti, indicando che ogni fotone assorbito dalla clorofilla o da altri pigmenti ha un’efficacia tale e quale a qualsiasi altro fotone in grado di portare a termine la fotosintesi. Comunque, nella parte estrema della zona rossa a lunghezze d’onda maggiori di 680 nm la resa scende drasticamente e la luce risulta molto meno efficace. Altri risultati che causarono perplessità furono quelli attribuiti all’effetto di amplificazione, anche questo scoperto da Emerson. Egli misurò la velocità della fotosintesi separatamente con luce a due lunghezze d’onda diverse utilizzando poi i due raggi simultaneamente: se si fornivano contemporaneamente la luce rossa e quella rosso lontano, la velocità fotosintetica che si otteneva era superiore alla somma delle velocità ottenute individualmente. Esperimenti portati a termine negli anni ’60 dimostrarono l’esistenza di due complessi fotochimici, ora noti come fotosistema I (PSI), che assorbe preferibilmente luce a lunghezze d’onda superiori a 680 nm, e fotosistema II (PSII), che la assorbe preferibilmente a 680nm. Questi operano in serie per portare a termine le prime reazioni fotosintetiche per l’accumulo dell’energia. Il centro di reazione del PSII è localizzato prevalentemente nelle lamelle dei grana, il PSI e l’enzima ATPasi per la produzione di ATP, invece, si trovano sulle lamelle stromatiche e ai bordi delle lamelle dei grana. Il complesso del citocromo b6-f della catena di trasporto degli elettroni che unisce i due fotosistemi è, invece, equamente distribuito. La separazione dei due fotosistemi, infatti, implica che una o più carriers di elettroni che operano fra i fotosistemi diffondano dai grana alle lamelle stromatiche per cedere gli elettroni dal fotosistema II al fotosistema I. Le misure sulle quantità relative dei due fotosistemi mostrano che nei cloroplasti sarebbe maggiore la quantità di PSII in un rapporto di circa 1,5 : 1, ma ciò varia anche in base alle condizioni di luce in cui cresce la pianta. I cianobatteri, invece, hanno un eccesso di PSI.
REAZIONI ALLA LUCE
Le reazioni alla luce della fotosintesi si riassumono in quattro grandi complessi proteici:
- Fotosistema II
- Complesso citocromo b6-f
- Fotosistema I
- ATP sintasi
Questi sono orientati vettorialmente nella membrana del tilacoide per funzionare nel seguente modo:
- Nel lume del tilacoide il PSII ossida l’acqua a ossigeno riducendo il plastochinone (PQ) a plastoidrochinone (PQH2);
- Il citocromo b6-f ossida le molecole di plastoidrochinone ridotte dal PSII e rilascia elettroni al PSI. L’ossidazione del plastoidrochinone è accoppiata al trasferimento di protoni dallo stroma al lume così che si generi un gradiente di pH e quindi una forza proton-motrice;
- Nello stroma, il PSI riduce il NADP+ a NADPH tramite l’azione della ferredossina (Fd) e della flavoproteina ferredossina NADP-reduttasi (FNR);
- Come i protoni diffondono dal lume allo stroma l’ATP sintasi produce ATP.
REAZIONI DEL CARBONIO
La seconda parte della fotosintesi comprende tutte quelle reazioni biochimiche spesso indicate come reazioni del carbonio o fotoassimilazione della CO2. Sulla base delle differenze fisiologiche che esistono nello svolgersi di questa fase della fotosintesi, le diverse piante vengono divise in:
Piante C3: generalmente hanno il loro habitat nei climi temperati. Prendono questo nome poiché il primo composto organico della fotosintesi è una catena carboniosa a 3 atomi di carbonio, la gliceraldeide 3-fosfato, che proviene dal ciclo di Calvin. Sono fotosinteticamente attive di giorno, mentre di notte chiudono gli stomi e consumano ossigeno;
Piante C4: hanno il loro habitat in climi caldi ma con disponibilità idrica, come accade per il mais, il sorgo o la canna da zucchero, e usufruiscono di una via differente per la fissazione della CO2. Queste piante hanno sviluppato una via alternativa al ciclo di Calvin-Benson, organizzata sulla presenza di due tipi di cellule funzionalmente e morfologicamente diverse: le cellule del mesofillo e quelle della guaina del fascio. In questo modo riescono a ovviare al problema della scarsa disponibilità idrica e del clima molto caldo delle aree geografiche in cui vivono;
Piante CAM: sono le piante caratterizzate dal cosiddetto metabolismo acido delle Crassulacee, un ciclo metabolico di fissazione del carbonio che consente di ottimizzare l’attività fotosintetica in ambienti estremi, quali quelli desertici. È attuata prevalentemente nelle Crassulacee e nelle Cactacee e consiste in un adattamento xerofitico vero e proprio poiché consente lo svolgimento della fotosintesi anche con gli stomi Queste piante, infatti, aprono i loro stomi solamente di notte.
Il ciclo di Calvin-Benson
Si tratta della via più importante per la fissazione del biossido di carbonio negli autotrofi e permette la riduzione dello stato di ossidazione del carbonio dal valore più ossidato caratteristico della CO2 ai livelli presenti negli zuccheri. Per questo motivo è anche ricordato come ciclo riduttivo dei pentoso-fosfati. Questo processo è stato chiarito in una serie di esperimenti condotti da Calvin, Benson e Bassham e i loro colleghi negli anni ’50 del ‘900. Comprende tre fasi essenziali:
- Carbossilazione della molecola accettore di CO2;
- Riduzione del 3-fosfoglicerato;
- Rigenerazione dell’accettore della CO2.
Il carbonio esce dal ciclo sotto forma di trioso-fosfati, successivamente metabolizzati in altri compartimenti cellulari producendo prodotti come il raffinosio e il saccarosio, utili alla crescita della pianta o per formare prodotti di stoccaggio. Nella prima fase del ciclo di Calvin-Benson si ha carbossilazione della molecola accettore della CO2. La reazione che descrive questa fase è la seguente:
3H2O + 3CO2 + 3 ribulosio 1,5-bisfosfato → 6 3-fosfoglicerato
Questa reazione è catalizzata dalla rubisco, l’enzima cloroplastico ribulosio 1,5-bisfosfato carbossilasi/ossigenasi. Nella prima reazione parziale un protone è estratto dal carbonio in 3 del ribulosio. L’aggiunta di CO2 gassosa all’intermedio instabile enediolo legato alla rubisco conduce alla seconda reazione parziale per la formazione irreversibile di 2-carbossi-3-chetoarabinitol 1,5-bisfosfato. Infine, l’idratazione dell’intermedio porta alla formazione di due molecole di 3-fosfoglicerato. La fase di riduzione del ciclo riduce il carbonio del 3-fosfoglicerato. Le tappe sono le seguenti:
- Fosforilazione al carbossile del 3-fosfoglicerato da parte di una molecola di ATP: si produce un’anidride mista, l’1,3-bisfosfoglicerato grazie alla catalisi dell’enzima 3-fosfoglicerato chinasi;
- Il NADPH riduce l’anidride a gliceraldeide 3-fosfato (G3P) grazie alla catalisi della NADP- gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi.
Considerando che si erano prodotte 6 molecole di 3-fosfoglicerato si otterranno in tutto 6 molecole di G3P. L’ultima fase del ciclo prevede la rigenerazione del ribulosio 1,5 bisfosfato inziale. Una molecola di G3P costituisce l’assimilazione, al netto, delle 3CO2 e viene usata per il metabolismo; le alte 5 permettono di rigenerare il ribulosio inziale. Le fasi sono le seguenti:
- 2G3P sono trasformate dalla trioso fosfato isomerasi in due molecole di diidrossiacetone fosfato (DHAP);
- Una molecola di DHAP reagisce con un’altra molecola di G3P e grazie a un’aldolasi si trasforma in fruttosio 1,6-bisfosfato;
- Il fruttosio così ottenuto è trasformato in fruttosio-6-fosfato grazie a una fosfatasi specifica del cloroplasto;
- Il fruttosio-6P reagisce con una molecola di G3P per generare xilulosio-5P ed eritrosio-5P;
- L’eritrosio-5P reagisce con la seconda molecola di DHAP e grazie a una aldolasi genera sedoeptulosio 1,7-bisfosfato;
- Il sedoeptulosio grazie a una fosfatasi cloroplastica si trasforma in sedoeptulosio-7P;
- Il sedoeptulosio-7P reagisce con l’ultima molecola di G3P e grazie a una transchetolasi genera xilulosio-5P e ribosio-5P;
- A questo punto, due molecole di xilulosio 5P reagiscono e producono due molecole di ribulosio-5P grazie a una ribulosio-5P epimerasi mentre una molecola di ribosio-5P reagisce grazie all’enzima ribosio-5P isomerasi per generare una terza molecola di ribulosio-5P;
- Le nuove tre molecole di ribulosio-5P reagiscono con 3ATP e una fosforibulosio chinasi per produrre finalmente 3 molecole di ribulosio-1,5-bisfosfato.
In questo modo ho rigenerato i 3 accettori per le nuove 3 molecole di CO2 che entreranno nel ciclo di Calvin-Benson. Volendo riassumere le prime due fasi in una reazione:
3CO2 + 3 H2O + 3 ribulosio 1,5-bisfosfato + 6 NADPH + 6 ATP + 6H+ → 6 trioso-fosfati + 6 NADP+ + 6 ADP + 6Pi
Quindi, dei 6 trioso fosfati:
- Una molecola di G3P è usata per il metabolismo
- 5 molecole reagiscono complessivamente con 3 ATP per generare 3 nuove molecole di ribulosio-1,5-BP.
I cicli delle piante C4 e CAM hanno un fabbisogno energetico superiore rispetto a quello del ciclo di Calvin-Benson delle piante C3. La produzione netta di G3P è utile alla produzione di amido nei cloroplasti e a quella di saccarosio nel citosol. Il saccarosio in genere è il prodotto principale, utile per il metabolismo o per uno stoccaggio di amido o fruttani. In particolare, le due molecole totali di G3P prodotte al netto reagiscono per generare il fruttosio bisfosfato, dal quale poi si origina quasi sempre glucosio fosfato. Quest’ultimo, non appena sintetizzato, può seguire vari destini:
- viene unito al fruttosio fosfato per formare saccarosio che, attraverso il sistema conduttore, viene trasportato alle varie parti della pianta;
- in alternativa, più molecole di glucosio fosfato si possono unire tra loro formando amido primario all’interno dello stesso cloroplasto;
- il glucosio fosfato può servire per la sintesi di altre molecole quali, ad esempio, la cellulosa.
La doppia attività catalitica della rubisco
È interessante osservare che la rubisco ha sia capacità di ossigenazione che di carbossilazione circa il suo substrato, il ribulosio 1,5-BP (nella sua forma di enediolo dopo che è intervenuto l’enzima isomerasi del cloroplasto). In particolare:
- L’ossigenazione genera una molecola di 3-fosfoglicerato e una di 2-fosfoglcolato;
- La carbossilazione genera due molecole di 3 fosoglicerato.
Per cui la rubisco vede, per lo stesso substrato, la competizione fra due reazioni possibili: solo la carbossilazione garantisce una corretta resa fotosintetica poiché permette di produrre 2 molecole di 3-fosfoglicerato per ogni molecola di CO2 utilizzata. L’ossigenazione dà il via a una serie di reazioni che sono compartimentate fra cloroplasto, perossisoma e mitocondrio. Questo processo è noto come fotorespirazione e provoca nelle piante la perdita parziale del biossido di carbonio fissato e l’assimilazione di ossigeno.
Il metabolismo delle piante C4
Alla fine del 1950, H. P. Kortsshack e Y. Karpilov osservarono la marcatura precoce di acidi a 4 atomi di carbonio quando veniva fornita 14CO2 a piante di canna da zucchero e mais. M. D. SHatch e C. R Slack chiarirono quello che oggi conosciamo come ciclo fotosintetico C4 del carbonio. I primi intermedi stabili in questo caso sono acidi a 4C, malato e aspartato. Nel ciclo delle piante C4 l’enzima fosfoenolpiruvato carbossilasi (PEPCasi), al posto della rubisco, catalizza la carbossilazione primaria in un tessuto vicino all’ambiente esterno. Il conseguente flusso di acido a 4C attraverso la barriera di diffusione verso la regione vascolare, dove viene decarbossilato, libera CO2 che è rifissata dalla rubisco tramite il ciclo di Calvin-Benson. Anche se tutte le piante C4 condividono la prima carbossilazione ad opera della PEPCasi, i percorsi specifici con cui viene concentrato il biossido di carbonio nelle vicinanze della rubisco variano fra le specie. Questo ciclo sembra essere associato a una particolare struttura fogliare, anatomia Kranz (dal tedesco corona) che presenta un anello interno di cellule della guaina del fascio intorno al tessuto vascolare e uno strato esterno di cellule del mesofillo a stretto contato con l’epidermide. Ciò garantisce la compartimentazione in due tipi di cellule degli enzimi utili. Alcune piante acquatiche e terresti, diatomee e alghe verdi sembrano possedere cicli C4 a cellula singola. I cloroplasti nella guaina del fascio sono disposti concentricamente e mostrano grandi granuli di amido e membrane tilacoidali non granali. Le cellule del mesofillo contengono cloroplasti disposti in modo casuale con tilacoidi impilati e poco o assente amido. Il trasporto della CO2 dall’atmosfera esterna alle cellule della guaina del fascio procede attraverso 5 fasi successive:
Fissazione dell’HCO3– attraverso la carbossilazione del fosfoenolpiruvato catalizzata dalla PEPCasi nelle cellule del mesofillo: viene prodotto ossalacetato che poi viene ridotto a malato dalla malato-deidrogenasi NADP-dipendente oppure convertito in aspartato dalla transamminazione con un glutammato;
Trasporto degli acidi a 4C verso le cellule della guaina del fascio che circondano i fasci vascolari;
Decarbossilazione degli acidi a 4C e generazione della CO2 che vene quindi ridotta a carboidrati dal ciclo di Calvin. Prima di ciò, in alcune piante una aspartato-amminotransferasi catalizza la conversione di aspartato a ossalacetato;
Trasporto dello scheletro a 3C (piruvato o alanina) formato dalla decarbossilazione verso le cellule del mesofillo;
Rigenerazione dell’accettore HCO3–: il piruvato è trasformato in fosfoenolpiruvato grazie alla piruvato-fosfato dichinasi. Serve una molecola in più di ATP per la trasformazione dell’AMP in ADP catalizzata dall’adenilato chinasi. Se viene esportata alanina si forma prima piruvato grazie a una alanina amminotransferasi.
La compartimentazione degli enzimi assicura che il carbonio inorganico dell’ambiente circostante possa essere fissato nel mesofillo, rifissato nel ciclo di Calvin nelle cellule della guaina del fascio e poi esportato al floema. Il ciclo C4 caratterizza 18 famiglie di monocotiledoni e dicotiledoni ed è fondamentale nelle Poaceae (mais, miglio, sorgo, canna da zucchero), Chenopodiaceae e Cyperaceae. La concentrazione del biossido di carbonio attorno alla rubisco favorisce ampiamente la carbossilazione all’ossigenazione e quindi limita la fotorespirazione. Esiste una correlazione fra il metabolsimo C4 e la disposizione dei cloroplasti e dei fotosistemi:
- Cloroplasti con ampi ammassi di grana: flusso di elettroni lineare dal PSII al PSI (NADPH e ATP);
- Cloroplasti con pochi grana: flusso ciclico (ATP).
Le specie C4 richiedono più potere riducente se formano malato al posto di aspartato per la conversione a ossalacetato. Queste (specie enzima malico NADP-dipendente) presentano grana ben sviluppati nei cloroplasti del mesofillo mentre i cloroplasti delle cellule della guaina del fascio sono carenti in grana. Al contrario, le specie enzima malico NAD-dipendente richiedono minor flusso lineare di elettroni verso il PSI e possiedono meno grana cloroplastici. I cloroplasti delle cellule del mesofillo delle piante C3 e C4 presentano membrane con proteomi simili ma quantitativamente differenti: i traslocatori che partecipano al trasporto dei trioso-fosfati e del fosfoenolpiruvato sono più abbondanti nelle membrane delle piante C4 rispetto alle C3. Alcune piante C3 presentano caratteristiche di fotosintesi C4 nelle cellule che circondano lo xilema e il floema e usano carbonio fornito come malato dal sistema vascolare. Questi risultati sono coerenti con l’ipotesi che la fotosintesi C4 si sia evoluta dal metabolismo C3 modificando la regolazione e la specificità del tessuto di enzimi chiave. Temperature elevate diminuiscono sia la capacità carbossilante della rubisco che la solubilità della CO2 così da limitare il tasso di assimilazione fotosintetica di biossido di carbonio nelle piante C3. Nelle piante C4, invece:
L’affinità della PEPCasi per il suo substrato, l’HCO3–, è sufficientemente elevata da saturare l’enzima ai livelli ridotti di CO2 presenti nei climi caldi. Inoltre, l’attività ossigenasica è in gran parte soppressa perché l’accettore elettronico primario non è in concorrenza con l’ossigeno nella carbossilazione iniziale;
L’apertura stomatica può essere ridotta così si conserva acqua a tassi di fissazione del biossido di carbonio spesso superiori a quelli delle piante C3;
L’alta concentrazione di CO2 nelle cellule della guaina del fascio riduce al minimo il ciclo ossidativo.
Il metabolismo acido delle Crassulaceae
Riguarda molte piante che popolano ambienti aridi come l’ananas, l’agave, il cactus e le orchidee. Come il ciclo delle piante C4, il metabolismo acido delle crassulacee sembra aver avuto origine diversi milioni di anni fa per catturare la CO2 atmosferica e ridurre quella respiratoria negli ambienti aridi. Un attributo importante delle piante CAM è la loro capacità di conseguire una elevata biomassa in habitat dove le precipitazioni sono insufficienti. Possiedono caratteristiche anatomiche che limitano la perdita di acqua come le cuticole spesse, il basso rapporto superficie-volume, vacuoli grandi e stomi con piccole aperture. Inoltre, la densità delle cellule del mesofillo migliora le prestazioni delle piante CAM limitando la perdita di CO2 durante il giorno. Una CAM perde 5-10 grammi di acqua per ogni molecola di CO2 acquisita rispetto ai 250-300 delle C4 e ai 400-500 delle C3. Nelle piante CAM la cattura del biossido di carbonio e la sua reale fissazione sono eventi spazialmente vicini ma temporalmente lontani. Di notte, la PEPCasi citosolica fissa CO2 atmosferica respiratoria in ossalacetato sfruttando il fosfoenolpiruvato formato attraverso la degradazione glicolitica di carboidrati immagazzinati. Una NAD-malato deidrogenasi converte l’ossalacetato in malato, che viene accumulato nel vacuolo acido per tutta la notte. Di giorno il malato è portato al cloroplasto e decarbossilato da meccanismi simili a quelli presenti nelle piante C4, cioè da un enzima malico NADP-dipendente o da una fosfoenolpiruvato carbossichinasi. La CO2 liberata è messa a disposizione del cloroplasto che la inserisce nel ciclo di Calvin mentre gli acidi complementari a 3 carboni sono convertiti a trioso-fosfati e poi in amido o saccarosio attraverso la gluconeogenesi. Il ciclo CAM, quindi, è di 24 ore:
Fase I (notte): cattura dell’anidride carbonica e assimilazione di malato nel vacuolo;
Fase III (diurna): decarbossilazione del malato e utilizzo del biossido di carbonio nel ciclo di Calvin con fotorespirazione minima;
Fase II e IV (mattino e tardo pomeriggio): regolazione delle attività degli enzimi specifici in preparazione delle fasi successive (la luce favorisce la mobilizzazione del malato dal vacuolo e la sua decarbossilazione).
Le piante CAM possono essere costitutive o facoltative in base alle condizioni ambientali. Alcune piante acquatiche sfruttano un metabolismo CAM: forse questo meccanismo migliora anche l’acquisizione del carbonio inorganico in habitat acquatici dove l’elevata resistenza alla diffusione del gas limita la disponibilità del biossido di carbonio.
Fonte
- Photosynthesis
ENCICLOPAEDIA BRITANNICA - Rubisco
PDB - Fisiologia vegetale, Padova, Piccin, 2013.
Lincoln Taiz, Eduardo Zeiger