Molte volte, abbiamo sentito l’iconica frase: “La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso”. È realmente così o si tratta dell’ennesima bufala scientifica?
IN BREVE
LE ORIGINI DELLA LEGGENDA
Tra le leggende più in voga, quella sul volo del calabrone è sicuramente la più gettonata. Molte volte è capitato di sentire che il calabrone, nonostante non possa volare, voli lo stesso sfidando le leggi dell’aerodinamica. Le persone si sono innamorate di questa leggenda sia per il lato metaforico, per cui nulla è impossibile e i limiti rappresentano solo delle costruzioni mentali, sia per quanto riguarda la natura stessa che, nonostante le sue dure leggi e le innumerevoli spiegazioni fornite per ogni evento, non riesca a spiegare una cosa così semplice come il volo del calabrone. Purtroppo, però, questa leggenda non è altro che una bufala.
Quella del volo del calabrone è una leggenda che nasce negli anni ’30 in Germania, all’Università di Gottingen. John McMasters riportò una discussione in cui un anonimo scienziato svizzero, che conduceva studi sulla dinamica dei gas, pose il famoso dilemma destinato a diventare leggenda. Lo scienziato si chiese quali proprietà aerodinamiche avessero le ali del bombo per permettergli di volare e, dopo alcuni calcoli, arrivò alla conclusione che secondo le leggi dell’aerodinamica, il bombo non potesse farlo. Successivamente, i calcoli dello scienziato svizzero vennero rafforzati dalla pubblicazione del libro “Les vol des Insectes” del 1934. Nel libro, l’autore Antoine Magnan dimostrò che, applicando le equazioni della resistenza dell’aria sul volo degli insetti, il volo del bombo risultava essere impossibile, affermando che “Spinto da quanto viene fatto nel campo dell’aviazione, ho applicato agli insetti le leggi di resistenza dell’aria ed ho concluso, con il sig. Sainte-Laguë, che il loro volo è impossibile”.
CALABRONE O BOMBO?
Partiamo dall’iconica frase: “It’s scientifically impossible for the bumblebee to fly; but the bumblebee, being unaware of these scientific facts, flies anyway”.
L’insetto che viene citato nel famoso aforisma non è affatto un calabrone (Vespa crabro), bensì un bombo.
Il bombo, il cui nome scientifico è Bombus terrestris, è un imenottero appartenente alla famiglia degli Apidi che, molto spesso, si tende a confondere con l’ape legnaiola (Xylocopa violacea) o con il famigerato calabrone gigante di cui vi abbiamo parlato in precedenza. I bombi sono caratterizzati da bande di colore gialle e nere (colorazione aposematica in grado di avvertire i predatori della loro pericolosità), anche se alcuni possono presentare bande di colore nero o arancione, e una peluria caratteristica. Generalmente si trovano in habitat con climi temperati ma alcune specie, come il Bombus alpinus e il Bombus polaris, si trovano in ambienti molto freddi. Sono insetti sociali e poco aggressivi, provvisti di pungiglione non seghettato, a differenza di quello presente nelle api. Vivono in piccole colonie, composte da pochi individui, che non durano più di una stagione. In inverno, infatti, molti esemplari non sopravvivono ad eccezione delle femmine che vengono fecondate. Quest’ultime, chiamate “regine”, si mobilitano per la costruzione di un nido nel quale rimarranno per tutto l’inverno e deporranno un piccolo lotto di uova al fine di dare inizio alla comunità di bombi successiva. Una volta schiuse le uova, i bombi regina si prenderanno cura delle larve nutrendole con nettare e polline. Le larve si svilupperanno, poi, in pupe e dopo circa due settimane diventeranno bombi operai che foraggeranno la successiva colonia. Dalla metà dell’estate, invece, compariranno femmine non sterili che deporranno uova non fecondate dalle quali usciranno maschi. La triste fine del bombo regina arriverà verso la fine dell’estate successiva, quando perderà il feromone che la contraddistingueva dalle altre e verrà divorata dai bombi operaio.
Altra caratteristica peculiare del Bombus terrestris è il ronzio. In precedenza, si pensava che il caratteristico ronzio rumoroso del bombo provenisse dal loro incessante battito d’ali. In verità, il rumore che ascoltiamo al passaggio di un bombo è provocato dalla vibrazione generata dai muscoli del volo. Questi ultimi fanno vibrare l’intero addome del bombo e vengono sfruttati anche quando la temperatura dell’ambiente circostante scende, in modo da riscaldarsi e poter iniziare così la fase di volo. Tra l’altro, Il volo del calabrone, spartito famosissimo di musica classica, del compositore russo Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov, tenta di emulare proprio il ronzio dell’insetto.
LE ALI DEGLI INSETTI: COME FANNO A VOLARE?
Le ali degli insetti sono dei veri e propri organi di locomozione che permettono loro di spiccare il volo. L’ala degli insetti è analoga all’ala di uccello e di pipistrello ed è un importante discriminante che divide gli insetti tra Pterigoti (presentano ali, almeno in uno stadio evolutivo) e Apterigoti (senza). Sono delle lamine appiattite che si espandono dal meso- e dal metatorace. Le nervature presenti sulle lamine alari contribuiscono a conferire maggiore robustezza alla struttura, delineando anche diverse aree chiamate cellule. Sulla parte costale della lamina è presente una nervatura particolare la cui funzione è principalmente meccanica in quanto coinvolta nella distribuzione delle forze durante il volo dell’insetto.
Generalmente, la superficie alare si divide in:
- regione remigante: la parte più estesa che presenta nervature robuste;
- regione anale: presenta nervature sottili:
- regione jugale: presente tra la regione anale e l’estremità ascellare.
Ma come fanno gli insetti a volare? I movimenti alari degli insetti si complicano a seconda degli ordini che stiamo studiando. Generalmente, abbiamo azioni di:
- Elevazione;
- Depressione;
- Estensione;
- Flessione;
- Torsione.
I muscoli alari, poi, si dividono in indiretti e indiretti accessori che controllano i meccanismi di elevazione e depressione, e in quelli diretti che controllano l’estensione, la torsione e la flessione. Negli insetti primitivi, le ali si collegavano al torace senza alcuna articolazione mentre, con l’evoluzione, si è sviluppata un’articolazione composta da tre scleriti (porzione dell’esoscheletro che si presenta indurita): pterale, basalare e subalare.
IL VOLO DEL CALABRONE: VERO O FALSO?
Per la disperazione di qualcuno, il bombo non viola alcuna legge fisica e i calcoli matematici che vennero fatti in passato furono completamente sbagliati. Nel 2005, attraverso una serie di riprese ad alta velocità, è stato dimostrato che la sua meccanica alare non entra in contrasto con alcuna legge fisica, sfatando così il mito legato all’impossibilità del suo volo. Il volo del bombo ha una frequenza pari a 230 battiti al secondo, molto più veloce di altri insetti più piccoli e 5 volte superiore a quello di un colibrì. Grazie a questa velocità elevata e a un particolare movimento alare che contribuisce a generare portanza, il bombo è così in grado di ottenere una spinta sufficiente per mantenerlo sospeso in aria.
L’errore commesso in passato riguarda calcoli matematici che, erroneamente, proverebbero l’impossibilità del volo del bombo in quanto non tengono conto dello stallo aerodinamico. Una separazione del flusso d’aria causa la formazione di un ampio vortice, per breve tempo, sulla parte superiore dell’ala generando, così, una portanza pari a quella del profilo alare durante il volo regolare di un insetto. Ogni volta che un bombo inizia la fase di volo, le sue ali incontrano uno stallo aerodinamico ad ogni ciclo di oscillazione. Il movimento alare del bombo infatti non è un semplice battito d’ali come quello degli uccelli, ma un movimento più complesso che comporta la torsione e l’oscillazione delle ali per creare una spinta maggiore. L’errore presente nei calcoli, quindi, fu quello di applicare le leggi della fisica per un volo “standard” che non corrispondeva al volo del bombo.
Inizialmente, anche John Maynard Smith, biologo e ingegnere nautico, grande conoscitore dell’aerodinamica, disse che i bombi non avrebbero avuto la giusta struttura alare per riuscire a volare. Ma, successivamente, fu proprio lo stesso Smith a smentirsi: dopo diversi esperimenti di aerodinamica, il biologo riconobbe che la viscosità dell’aria, in rapporto alle dimensioni ridotte degli insetti, permetteva loro di muovere grandi quantità di aria, riducendo così la quantità di energia impiegata nel volo.
La rivista Nature, nell’agosto del 2013, pubblicò uno studio riguardante il volo del bombo. Catturando i dettagli molecolari dei battiti delle ali nei bombi, è stato verificato che i muscoli impiegati nel volo, degli insetti, non funzionano attraverso un meccanismo specializzato bensì sfruttano le proprietà condivise con i muscoli dei vertebrati. I ricercatori hanno posizionato gli insetti nel percorso di un fascio di raggi X, creando così uno schema di punti luminosi che si vengono a formare quando i raggi X vengono diffusi dai muscoli. Ciò ha permesso di raccogliere informazioni sulla riorganizzazione delle molecole proteiche. I due ricercatori, Iwamoto e Yagi, hanno raccolto i dati dei raggi X ad alta velocità, sincronizzati con le riprese video degli insetti a 5000 fotogrammi al secondo. I ricercatori, quindi, hanno concluso che nel muscolo impiegato nel volo degli insetti, le teste di miosina ruotano quando i muscoli si allungano, consentendo loro di legarsi in maniera più forte. L’attivazione dello stiramento è una conseguenza fondamentale dell’interazione tra actina e miosina in questo tipo di muscolo, così come lo è in alcuni muscoli di vertebrati. La rotazione delle teste di miosina si manifesta nei dati radiografici come un aumento della forza confermando così il processo di generazione della forza nei muscoli che permettono agli insetti di volare.
Fonte
- Flight of the bumblebee decoded
Nature - Dynamic flight stability of a hovering bumblebee
Journal of Experimental Biology