Hai aperto quest’articolo incredulo di ciò che hai visto nella copertina? Tranquillo, il drago blu fa sempre quest’effetto. Le diverse specie di Glaucus sono molluschi dalla colorazione molto particolare, provenienti dalle zone tropicali degli oceani Atlantico, Pacifico ed Indiano.
IN BREVE
Indice
DRAGO BLU: COS’È?
A prima vista, il drago blu può sembrare un animale fantascientifico ma esiste veramente. Il drago blu, il cui nome scientifico è Glaucus Atlanticus, viene chiamato anche rondine di mare, angelo blu, drago lumaca o lumaca blu di mare. Osservando le immagini, di cosa stiamo parlando esattamente? Parliamo di un mollusco pelagico e, più nello specifico, di un gasteropode. In un articolo predente, vi abbiamo già parlato dei nudibranchi, gasteropodi molto particolari che presentano una colorazione molto vivace. Il drago blu fa parte proprio dell’ordine dei nudibranchi risultando, così, privo di conchiglia, di cavità palleale (lo spazio interno delimitato dalla conchiglia e il mantello, estenzione della parete corporea in grado di secernere carbonato di calcio e conchiolina), e di ctenidii (la branchia tipica dei molluschi che può essere a forma di penna o doppio pettine).
Le macrofotografie vi inganneranno, facendovi sembrare questi animali di medie o grandi dimensioni, ma non è così. Il drago blu è un animale molto piccolo e le sue dimensioni variano tra i 20 e i 40 millimetri circa. Il colore presente sul lato dorsale un grigio argentato accompagnato da un blu molto intenso che si estende nella regione ventrale. Nella regione cefalica, invece, sono presenti numerose strisce blu. Il corpo presenta una depressione in senso dorso-ventale che rende l’aspetto dell’animale piatto e affusolato. Inoltre, sono presenti sei appendici che si diramano e contengono papille allungate, chiamate cerata, con funzioni respiratorie. Presentano una radula: organo nastriforme con una serie di dentelli seghettati rivolti verso la parte posteriore del tubo digerente, con cui l’animale raccoglie, sminuzza il cibo e gratta le superfici. Generalmente, in condizioni ambientali favorevoli, il drago blu può vivere fino ad un anno.
Nel 2014, uno studio anatomico e genetico di questo genere animale ha rivelato, sorprendendo gli esperti del settore, la presenza di un complesso di specie. Ci sono tre specie nel sistema del giro subtropicale del Pacifico settentrionale e un’altra specie nel sistema del giro subtropicale del Pacifico meridionale. Il Glaucus atlanticus si trova anche nell’Indo-Pacifico e nell’Oceano Atlantico. Nel Pacifico settentrionale si trovano Glaucus marginatus, Glaucus thompsoni e Glaucus mcfarlanei, con Glaucus marginatus presente anche nell’Oceano Indiano e nel Pacifico meridionale. Il drago blu presenta alcune differenze genetiche in diverse parti del suo areale, ma è considerato come una singola specie.
Il genere Glaucus
Cos’ha di particolare questo genere? Abbiamo già fatto una piccola introduzione riguardo il drago blu e aggiungiamo che appartiene alla famiglia Glaucidae. Il genere Glaucus è l’unico di questa famiglia e comprende ben cinque specie che sono:
- Glaucus atlanticus (Oceano Atlantico);
- Glaucus bennettae (Sud Pacifico);
- Glaucus mcfarlanei (Pacifico settentrionale);
- Glaucus marginatus (Indo-Pacifico);
- Glaucus thompsoni (Pacifico settentrionale).
Il genere Glaucus è stato descritto nel 1777 dal naturalista britannico Johann Reinhold Forster, il quale recuperò alcuni esemplari durante il secondo viaggio di James Cook a bordo della HMS Resolution. Il genere ha origine dal nome del dio del mare greco Glauco. Nel 1848, invece, il naturalista tedesco Johannes Gistel fornì il nome sostitutivo Dadone per Glaucus, ma ad oggi non è considerato valido. La famiglia Glaucidae fu istituita nel 1827 dallo zoologo britannico John Edward Gray mentre una seconda specie della famiglia fu descritta dal malacologo danese Rudolph Bergh, nel 1860. Tuttavia, le sinapomorfie (che, in cladistica, ricordiamo essere un nuovo carattere condiviso) tra Glaucus e Glaucilla, creata da Bergh, hanno reso irrilevante il mantenimento di entrambi i generi. Pertanto, Glaucus è ad oggi considerato l’unico genere all’interno della famiglia Glaucidae, contenuta nella superfamiglia Aeolidioidea.
La torsione dei visceri nei molluschi
Prima di continuare a parlarvi di questo particolarissimo animale, approfondiremo un discorso molto interessante riguardante il mondo dei gasteropodi: la torsione dei visceri. In verità, sono due i processi che interessano il sacco viscerale e oltre alla torsione vi è anche la spiralizzazione, ma procediamo per gradi. Il tutto parte dalla varietà di forme che testimonia un processo evolutivo e adattativo che è stato il più mastodontico di tutto quanto il phylum. La spiralizzazione riguarda l’avvolgimento a spirale del sacco dei visceri mentre l’altro processo è la torsione del complesso palleo-viscerale di 180°, rispetto al complesso cefalo-pedale, in senso antiorario. Questa torsione, che riguarda tutti i gasteropodi, comporta lo spostamento della cavità palleale e degli organi dalla posizione posteriore a quella anteriore. Molti zoologi hanno discusso, e stanno discutendo tutt’ora, su quest’argomento e al momento la teoria più avvalorata riguarda il fatto che questa torsione si realizza durante lo sviluppo ontogenetico, proprio dopo la comparsa della conchiglia, avvenendo in due tappe: una prima torsione di 90° e una seconda che completa i 180°.
Ma quali sono i vantaggi di questa torsione? Perché avviene? I vantaggi sembrano essere collegati al fatto che il capo dei gasteropodi, che è molto più sviluppato rispetto a quello dei monoplacofori (considerati i più antichi conchiferi), può essere protetto in modo efficace con una retrazione del capo all’interno della cavità palleale. Ma c’è un problema: l’acqua che circola nella cavità palleale proviene dalla regione cefalica e poi torna indietro insieme a feci e prodotti che derivano dall’escrezione. Questo problema è stato risolto spostando lontano dalla regione cefalica il punto di espulsione dell’acqua e delle feci. Tra l’altro, nei gasteropodi, con l’aumento della massa viscerale e della conchiglia, sono nati problemi non indifferenti riguardante l’equilibrio nella locomozione. Anche qui, a livello evolutivo, vi è stato un cambiamento che ha ovviato il problema: il sacco viscerale, con la conchiglia, è passato dalla condizione di spirale piana a conica (spirale destrorsa che si avvolge ad elica intorno ad un asse definita columella). Questo processo ha portato alla regressione e scomparsa della branchia destra poiché la conchiglia è spostata verso sinistra. Anche il sistema nervoso dei gasteropodi ha subìto modificazioni in quanto i connettivi nervosi che collegano i gangli pleurali con quelli parietali si incrociano passando uno sopra l’esofago e l’altro sotto. Questa condizione è detta chiastoneurìa, mentre se questi connettivi non si incrociano, si chiama eutineurìa. A dir poco affascinante, no?
IL DRAGO BLU COSA MANGIA?
Il drago blu si nutre della famosa caravella portoghese, della barchetta di San Pietro (Velella velella), del bottone blu (Porpita porpita) e della lumaca di mare viola. Nel caso in cui il drago blu fosse tenuto in cattività con altri esemplari della sua specie, sarebbe in grado di mangiare anche i suoi simili. Il drago blu sfrutta dei recettori olfattivi, chiamati rinofori, per riuscire a identificare le possibili prede. Questi recettori inviano le informazioni al cervello e una volta trovata la preda, ci si attaccano con i “denti” che come una cerniera si serrano sulla preda, anche quella più gelatinosa e viscida. Le cerata del drago blu, tra l’altro, sono blu proprio perché questo mollusco si nutre delle caravelle portoghesi assorbendone anche il colore. Il drago blu, inoltre, è in grado di digerire i sistemi difensivi degli cnidari, concentrando così il veleno sul corpo e producendo una puntura ancora più potente. Infatti, toccare questo mollusco può provocare una puntura molto dolorosa che può portare anche allo svenimento. La zona colpita si infiamma diventando arrossata e ricoperta di vesciche. Si può anche andare incontro ad un pericolosissimo shock anafilattico. Queste tossine vengono disattivate dal calore e il miglior rimedio risulta essere l’immersione delle parti del corpo colpite in acqua calda, ad almeno 50°. Ma cosa sono queste nematocisti?
Cosa sono le nematocisti?
Le nematocisti, chiamate anche cnidocisti, sono organi urticanti contenuti in cellule ectodermiche particolari dette nematociti, caratteristiche dei Celenterati. A cosa servono? Vengono utilizzate come strumento di difesa e di caccia in quanto paralizzano letteralmente la preda. Le nematocisti sono costituite da una particolare capsula provvista di un filamento sensorio detto cnidociglio. Quando questo filamento viene stimolato, cosa succede? All’interno di questa capsula vi è un liquido e un filamento urticanti che, quando a riposo, si trova invaginato a spirale all’interno di questa capsula. Lo cnidociglio possiede questa terminazione sensitiva che, quando stimolata in maniera automatica, non controllata, sia a livello fisico che chimico, provoca l’aumento della pressione all’interno della capsula urticante che comporta l’estroflessione del filamento come fosse una molla e la secrezione delle tossine (liquido urticante) attraverso un piccolo foro posto sull’estremità di questo filamento. Gli effetti che hanno queste biotossine sono ipnotici, neurotossici e talatossici. L’azione urticante di alcuni celenterati, tra l’altro, può provocare nell’uomo lesioni a livello epidermico o possono essere anche letali. Alcuni nudibranchi, come anche il drago blu, si cibano di cnidari e sono in grado di accumulare le nematocisti sul proprio corpo, utilizzandole come sistema difensivo. Queste cellule vengono trasportate attraverso l’intestino, senza essere digerite, e depositate sulle appendici. Tra l’altro, le nematocisti possono essere di tre tipi:
- Penetranti: le spine basali del dardo perforano la cute della preda e il resto del tubulo entra dal foro e penetra all’interno dei tessuti;
- Volventi: il tubulo ha l’estremità chiusa e quando viene estroflesso, avvolge parti della preda nelle sue spire;
- Glutinanti: viene prodotto un secreto appiccicoso che viene utilizzato per aderire al substrato e per trattenere le prede.
DRAGO BLU: COMPORTAMENTO
Il drago blu passa la sua intera vita adulta con il lato ventrale verso l’alto, nuotando, quindi, a pancia in su. Perché questo? Perché per riuscire a galleggiare, utilizzano una sacca contenuta nello stomaco che si riempie di aria. Questa sacca, però, si localizza nella regione ventrale causando, così, il galleggiamento sottosopra. Proprio per questo motivo, durante il nuoto, si osserva la parte ventrale colorata di blu, anziché quella dorsale di colore argento. vediamo la parte ventrale blu in superficie e quella dorsale argentea rivolta verso l’acqua. Ma questo ribaltamento viene sfruttato dal drago blu per un meccanismo di difesa poiché i raggi solari vengono riflessi dalla porzione ventrale colorata di blu mentre la parte dorsale argentata aumenta le probabilità di confondere i predatori che potrebbero attaccare questo mollusco dal basso. Nonostante stiamo parlando di una specie pelagica, il drago blu sfrutta le correnti dell’oceano. Riesce, comunque, a nuotare ruotando in senso orario e antiorario anche se non riesce ad effettuare un moto direzionale. Il nuoto, quindi, risulta essere molto casuale che porta l’animale o verso una possibile preda o verso un compagno. Quando la situazione diventa critica a livello di correnti e tempeste, il drago blu è in grado di svuotare questa sacca piena d’aria, favorendo lo scivolamento verso il fondo.
Fonte
- On the occurrence and ecology of Glaucus atlanticus Forster, 1777 (Mollusca: Nudibranchia) along the Southwestern Atlantic coast
SciELO - Zoologia – Diversità Animale
R. Argano