La memoria a breve termine è alla base di diverse abilità indispensabili quali ragionamento, calcolo e problem solving. I suoi meccanismi neurofisiologici e genetici, tuttavia, rimangono oscuri. Un recente studio ha stabilito l’importanza del ruolo del talamo e del gene Gpr12 in questo processo.
IN BREVE
Memoria a breve termine: cos’è? Come funziona?
Con memoria a breve termine (MBT), o memoria primaria, si fa riferimento a quel tipo di memoria che consente di conservare una piccola quantità di informazioni (o span) per un brevissimo arco di tempo, stimato tra i 15 ed i 30 secondi. Per intenderci, rappresenta quel tipo di memoria che entra in gioco non appena conosciamo qualcuno e ne dobbiamo ricordare il nome, quando dobbiamo prendere decisioni nell’immediato oppure quando dobbiamo fare calcoli a mente.
La memoria a breve termine, tuttavia, ha tre elementi chiave che la caratterizzano e che, forse, la “limitano”:
- Capacità limitata: gli elementi che possono essere ricordati variano da 5 a7;
- Durata limitata: l’immagazzinamento delle informazioni è davvero precario. Esse, infatti, possono andare perse con il passare del tempo o con una semplice distrazione;
- Codifica: essa avviene principalmente attraverso il canale acustico, anche trasformando le informazioni visive in suoni.
Questa semplicistica definizione è alla base dei diversi studi che hanno cercato di dare una spiegazione a quali siano gli intricati meccanismi che regolano la nostra mente e la nostra memoria ottenendo sempre una risposta univoca: essa è qualcosa di meravigliosamente complesso. Tuttavia, diverse ricerche, nel tempo, hanno provato a risolvere alcuni interrogativi posti sul ruolo giocato dai neuroni nelle nostre capacità di apprendimento (e, quindi, nella memoria a breve termine) e nei nostri comportamenti.
Questa semplicistica definizione è alla base dei diversi studi che hanno cercato di dare una spiegazione a quali siano gli intricati meccanismi che regolano la nostra mente e la nostra memoria ottenendo sempre una risposta univoca: essa è qualcosa di meravigliosamente complesso. Tuttavia, diverse ricerche, nel tempo, hanno provato a risolvere alcuni interrogativi posti sul ruolo giocato dai neuroni nelle nostre capacità di apprendimento (e, quindi, nella memoria a breve termine) e nei nostri comportamenti.
L’idea generale che la facoltà di memorizzare qualcosa non sia unitaria e monolitica, ma comprendente sistemi multipli, risale almeno al “saggio sulla comprensione umana” del filosofo britannico John Locke (1700), che per primo suggerì un’ampia distinzione tra due tipi di memoria: una riguardante la conservazione temporanea e l’altra un “magazzino di materiali sistemato in modo tale da non essere visto”. Questa distinzione tra due sistemi di memoria, a breve ed a lungo termine, è stata ripresa dallo psicologo nordamericano William James (1890), che suggerì l’esistenza di un sistema a capacità limitata che chiamò “memoria primaria“, abbracciando il presente e l’immediato passato. Le prime prove empiriche dell’esistenza di questo sistema di immagazzinamento delle informazioni con capacità limitata (poi definito memoria a breve termine), tuttavia, sono state fornite a cavallo degli anni ’50 e ’60 investigando, in diversi soggetti sani, tre particolari fenomeni comportamentali (che successivamente fornirono paradigmi affidabili per esplorare anche il comportamento delle popolazioni patologiche). All’inizio il principale canale dello studio fu quello verbale relativo, dunque, a parole o lettere e solo dopo si pensò a quelli visivo-spaziale ed uditivo.
I tre paradigmi utilizzati furono:
- Dimenticanza a breve termine (short term forgetting): tipico paradigma basato sul compito dei partecipanti di richiamare o riconoscere alcuni elementi dopo brevi intervalli di tempo (generalmente di secondi), riempiti da attività interferenti, che potessero distrarre il soggetto esaminato. L’accuratezza del richiamo di una breve lista di stimoli (ad esempio, trigrammi di consonanti o di parole) diminuisce significativamente in pochi (meno di 10) secondi se la ripetizione (reharsal, volta a consolidare l’apprendimento delle informazioni ed a trasferirle nella memoria a lungo termine) da parte dei partecipanti del materiale fornito viene interrotta da attività distraenti quali contare alla rovescia di tre.
- Richiamo seriale immediato: capacità dei partecipanti di ricordare, nel loro ordine di presentazione, una sequenza di eventi come un elenco di cifre, lettere, parole, una sequenza di posizioni di oggetti. Se viene presentata una diversa disposizione nell’ordine delle varie parole ecc, i partecipanti diventano incapaci di ricordare gli elementi precedenti in una manciata di minuti.
- Richiamo immediato ed effetto di ritenzione: in questo paradigma viene valutata la capacità dei partecipanti di ritenere una quantità maggiore di una sequenza di eventi rispetto alla loro capacità, da poter richiamare in qualsiasi ordine essi vogliano. Come potrebbe essere facile intuire, la loro capacità di richiamo è nettamente maggiore per gli stimoli più recenti, anche se termina dopo pochi minuti ed attività distrattive.
Queste evidenze, ed altri studi più approfonditi, hanno portato a suddividere l’architettura funzionale del sistema riguardante la conservazione a breve termine del materiale verbale in due processi. Il primo è del tutto passivo e riguarda gli stimoli auditori che hanno un accesso privilegiato e diretto. Il secondo è un processo più controllato che ha il compito di “rinfrescare” la traccia fonetica prevenendone il rapido decadimento. Dal punto di vista fisiologico, invece, la base di tali evidenze affonda le radici nella più piccola unità funzionale del nostro cervello: il neurone. In particolare, sono stati formulati diversi modelli sulle reti di neuroni coinvolti nella memoria a breve termine focalizzando l’attenzione su quelli della corteccia prefrontale (regione del cervello implicata nella pianificazione dei comportamenti cognitivi complessi, nell’espressione della personalità, nella presa delle decisioni e nella moderazione della condotta sociale). Quando sottoposti agli stimoli precedentemente elencati, infatti, questi neuroni sembrano “sparare” (in gergo tecnico è il passaggio dell’impulso elettrochimico attraverso una sinapsi) ad una frequenza decisamente più elevata.
Memoria di lavoro: un tipo di memoria a breve termine
La memoria di lavoro (working memory) può essere intesa come un tipo di memoria a breve termine con un “di più”. Quel di più è dato dalla capacità di manipolare e trasformare le informazioni in modo da proteggerle dalle interferenze e metterle al servizio di funzioni comportamentali superiori quali la pianificazione, il ragionamento ed il problem solving. Insomma, questa nuova definizione fu introdotta da Baddeley e Hitch nel 1974 per indirizzare l’attenzione verso un tipo di memoria che non fosse solo un mero magazzino passivo, ma un meccanismo attivo che permette l’elaborazione e la manipolazione di varie tipologie di informazioni e dati. Nel loro modello primitivo, il sistema “memoria di lavoro” veniva suddiviso in tre componenti funzionali: un processore centrale, o esecutivo centrale, in grado di gestire le risorse attenzionali (quelle che ci permettono di selezionare solo determinate informazioni, ovvero quelle necessarie per assolvere ad un compito in un determinato momento) e di coordinare il ciclo fonologico e il taccuino visuo-spaziale, adibiti rispettivamente alla elaborazione e alla memorizzazione delle informazioni verbali e visuo-spaziali. L’attuale stato dell’arte, tuttavia, prevede una suddivisione, in base agli stimoli, molto più ampia:
- Memoria di lavoro visiva: in laboratorio, la capacità di ritenere brevemente informazioni visive, può essere misurata con la discriminazione ritardata dei compiti. Gli individui, nella versione più semplice, sono chiamati a discriminare tra due stimoli (il campione ed il test vero e proprio), separati da un ritardo temporale di varia durata, ed a segnalare come il test differisca dal campione visto in precedenza. Il risultato di tale misurazione rivela che le caratteristiche fondamentali degli stimoli come orientamento, contrasto, dimensione, o velocità, può essere fedelmente conservato per molti secondi, anche se la durata di questa conservazione spesso differisce per caratteristiche diverse. Uno stretto legame tra l’elaborazione visiva e la memorizzazione è suggerito anche dalle conseguenze dei danni corticali. Danni all’area di elaborazione del movimento si traducono in un deficit nel ricordare la direzione dello stesso quando la codifica è associata alla memoria a breve termine. Un esempio, è dato danni alla corteccia inferotemporale, associata all’elaborazione di forme complesse, la cui risultante è la difficoltà a ricordare tali forme.
- Memoria di lavoro tattile: come gli stimoli visivi, anche quelli tattili possono essere fedelmente rappresentati nella memoria di lavoro, anche se il loro richiamo decade rapidamente con il passare del tempo (dopo i 5 secondi). Ritardi maggiori, tuttavia, non continuano a deteriorare le performances, suggerendo un processo duale di immagazzinamento di questo tipo di memoria.
Memoria di lavoro uditiva: nonostante gli esseri umani riescano a discriminare sia l’altezza che il volume di un suono con alta precisione e ricordare queste dimensioni per molti secondi, tale memoria declina a tassi differenti, suggerendo che le due dimensioni possano essere processate separatamente nella memoria di lavoro uditiva. Anche in questo caso, il ricordo di tali dimensioni può essere disturbato da alcuni “toni distrattori” ma solo se questi ultimi vengono emessi a determinate frequenze, sempre relative a quelle degli stimoli ricordati. L’attività neuronale, nella corteccia uditiva, è ritenuta la principale responsabile della regolazione della memoria di lavoro per quanto riguarda tono e frequenza.
Memoria a breve termine e memoria di lavoro: come migliorarle?
Potreste essere tratti in inganno nel pensare che la vostra memoria a breve termine sia solo frutto delle vostre basi genetiche e che non ci sia modo di migliorarla e che, quindi, siate destinati a dimenticare sempre, dopo pochi secondi, il nome dello sconosciuto che vi hanno presentato a quella festa (lo so, è successo anche a voi). Ma… c’è una buona notizia. Essendo memoria a breve termine e memoria di lavoro alla base di importantissime competenze ed abilità come il problem solving ecc sempre più numerosi sono gli studi volti a scoprire sistemi e regole per incrementarle. Qui si riportano una serie di strategie naturali, tratte da diversi studi, che hanno dimostrato avere un ottimo impatto sulla memoria a breve termine e la memoria di lavoro:
- Assunzione di zenzero: diversi studi hanno dimostrato che l’assunzione di questa radice può potenziare sia la memoria di lavoro spaziale sia prevenire la demenza.
- Meditazione: meditare e, in particolare, praticare la mindfulness (tecnica finalizzata a prestare attenzione alla realtà nel momento presente) giocano un ruolo fondamentale nel consolidamento della memoria a breve termine visiva e nella memoria di lavoro. Chi non ha mai praticato la meditazione, secondo lo studio, sembra trarne benefici in appena 8 settimane.
- Allenamento della memoria di lavoro: esistono dei veri e propri training che comprendono esercizi in cui, ad esempio, ai partecipanti viene chiesto di verificare se un’equazione matematica è accurata e poi ricordare sequenze di numeri a due cifre. La difficoltà ed il numero di equazioni da verificare e cifre da ricordare aumentano man mano che progredisce la capacità del soggetto di ricordare.
- Evitare lo zucchero: in particolar modo i cibi trasformati che contengono zuccheri aggiunti. Alti livelli di glucosio nel sangue, infatti, sembrano essere associati con diminuzione della memoria a breve termine, riduzione dello spettro di attenzione e peggioramento del tono dell’umore.
- Dormire per 8 ore: la mancanza di sonno è associata a ridotte funzionalità cerebrali.
Assunzione di cioccolato fondente: sembra essere dovuto al miglioramento del flusso sanguigno cerebrale che si traduce in un miglioramento sia della memoria che delle performances cognitive (questo effetto è stato registrato anche nelle donne in menopausa).
Una nuova scoperta sulla memoria a breve termine
Un recente studio si è servito di un approccio innovativo per collegare la genetica ad alcuni comportamenti in un modello sperimentale animale (topolini). Le analisi hanno rivelato che il gene Gpr12 (il cui prodotto è un recettore orfano, ovvero di cui ancora non si conosce la molecola che può legarlo) sostiene il ruolo della regione talamica (che non sembrava avere un compito in questo tipo di memoria) del cervello per il mantenimento della memoria a breve termine. Il talamo, storicamente, è stato sempre pensato come un centro di trasmissione (relay) in grado di trasferire le informazioni provenienti dagli stimoli sensoriali e motori alla corteccia per il loro processamento. Tre gruppi di ricerca hanno però scoperto che il talamo gioca anche un ruolo chiave nella memoria a breve termine e, in particolare, nel mantenimento degli schemi ricorrenti dell’attività corticale che sono alla base della memoria. Bisogna ammettere che identificare i geni coinvolti nei processi cognitivi può essere una sfida davvero ardua ma gli ideatori di questo studio si sono serviti di un metodo alternativo per superare questo ostacolo. Essi hanno utilizzato l’analisi del locus dei tratti quantitativi (sigla inglese QTL) che può collegare i tratti (come colore degli occhi, altezza o propensione a sviluppare una data malattia) a posizioni specifiche nel genoma o, anche, a geni specifici. Il team ha testato la memoria di lavoro di alcuni topi usando un semplice compito comportamentale: un test del labirinto in cui gli animali potevano esplorarne i corridoi a forma di T secondo la loro volontà. Se essi sceglievano di esplorare corridoi non visitati in precedenza, superavano il test. Quest’ultimo si riteneva fallito se ritornavano nei corridoi visitati in precedenza. Gli autori hanno trovato che le prestazioni variavano tra i vari ceppi di topo. Ciò potrebbe essere in parte spiegato dalla capacità dei singoli animali di tenere a mente le azioni precedenti come esempio di modello di memoria a breve termine. L’analisi QTL ha dimostrato che una regione genetica, da loro chiamata Smart1, si distingueva tra i vari ceppi di topo. Animali che possedevano una particolare sequenza di DNA in Smart1 (soprannominata Smart1CAST) erano particolarmente bravi nel compito esplorativo mentre quelli che possedevano la sequenza Smart1B6, non lo erano affatto. I ricercatori hanno poi esaminato l’espressione genica di questi due ceppi di topo in diverse regioni cerebrali scoprendo che la differenza più significativa era nella regione del talamo mediodorsale e riguardava l’espressione di Gpr12, appartenente a Smart1. Questa regione cerebrale è fortemente collegata alla corteccia prefrontale. Gli autori hanno scoperto che riducendo l’espressione di Gpr12 nei topi con Smart1CAST si diminuivano anche le loro prestazioni mentre over-esprimendo tale gene nei topi Smart1B6, le loro performances venivano nettamente migliorate.
Alcune domande sorgono spontanee: perché è così importante conoscere questi meccanismi? E perché, oggi, rappresentano una delle più grandi sfide scientifiche? La risposta risiede nel fatto che spiegare come l’intelligenza si manifesta nei sistemi naturali ed artificiali è uno dei punti cruciali delle ricerche del nostro tempo e la risoluzione di questi interrogativi potrebbe trovare applicazioni pratiche. Per i sistemi naturali, ad esempio si riuscirebbero a descrivere e, soprattutto, correggere disturbi comportamentali con un’accuratezza senza precedenti. Per di più, avere una conoscenza chiara dei meccanismi che regolano la nostra mente e la nostra memoria, ci permetterebbe di scavare nelle ragioni più profonde dell’insorgenza di malattie quali la demenza e l’alzheimer, in modo da trovare cure definitive per questi mali. Per i sistemi artificiali, invece, si potrebbero brevettare e distribuire agenti che miglioreranno molti aspetti della nostra vita quali, ad esempio, il controllo del pilota automatico delle macchine fino agli strumenti più avanzati per combattere la disinformazione. Ancora molta è la strada per risolvere tutti questi punti di domanda ma, studi come questo, offrono una spinta motivazionale per continuare a cercare le risposte.
Fonte
- Short Term and Working Memory
Encyclopedia of Neuroscience - Genetic variability of memory performance is explained by differences in the brain’s thalamus
Nature