Quello della dissonanza cognitiva è un meccanismo psicologico che ci porta a trovare delle giustificazioni per le nostre mancanze. Ad esempio, vi è mai capitato di sentirvi in colpa per non essere andati in palestra pur sapendo che vi avrebbe fatto bene? A quel punto avete cercato delle scusanti come «non vado perché sta piovendo» oppure «tanto posso andare domani»? Vedremo nei prossimi paragrafi perché si attua questo processo e come si risolve.
IN BREVE
DISSONANZA COGNITIVA: DEFINIZIONE
Per certi aspetti, volendo semplificare la definizione, «dissonanza cognitiva» significa «senso di colpa». Difatti, quando due cognizioni entrano in conflitto, si produce nel soggetto uno stato di attivazione (arousal), generalmente negativo, che siamo soliti identificare proprio con il senso di colpa. Ovviamente non è del tutto corretto far coincidere i due concetti, dal momento che si tratta di due costrutti ben diversi; tuttavia, il paragone sembra essere funzionale ai fini di una definizione teorica. Secondo il modello idraulico freudiano, una volta che abbiamo accumulato una discreta quantità di energia (in termini di ansia e stress ad esempio), dobbiamo in qualche modo scaricarla per ridurre lo stato di tensione nel quale ci troviamo. Allo stesso modo, l’energia accumulata sotto forma di arousal a causa della condizione di dissonanza, deve essere in qualche modo scaricata; in altre parole deve essere ridotta la dissonanza cognitiva. Infatti più due cognizioni sono in contrasto tra loro, maggiore è la dissonanza che si crea tra le due, maggiore è l’arousal, più intensa è la fastidiosa tensione che ne deriva (il «senso di colpa» per intenderci).
Cognizione e motivazione: Il contributo di Leon Festinger
Con il comportamentismo, all’inizio del secolo scorso, si pensava che ad ogni stimolo (input) corrispondesse una risposta (output) diretta e ben precisa. Non essendo indagabili sperimentalmente, venivano accantonati tutti gli aspetti processuali di mediazione che intercorrevano tra l’input e l’output, racchiusi nella cosiddetta «black box». Il cognitivismo successivamente tentò di aprire la blackbox per analizzarne scientificamente il contenuto e fu Leon Festinger il primo a spiegarlo in termini di motivazione e cognizione, aprendo la strada alla motivated cognition e alla motivated social cognition. Siamo quindi nell’ambito del cognitivismo e della psicologia della motivazione. Per il primo il mondo è fatto di rappresentazioni, credenze ed aspettative, ed il modo di interfacciarsi con la realtà dipende da essi. Ad esempio, chi crede che il fumo faccia male, tenderà a non fare uso di sigarette; allo stesso modo, lo sportivo si aspetta che l’attività fisica lo faccia stare meglio, quindi tenderà ad andare in palestra. Per la seconda invece il modo di rapportarsi con la realtà dipende più che altro da stimoli istintuali detti appunto «motivazionali», tutti volti alla riduzione di uno stato di tensione interna. Tra questi possiamo far rientrare ad esempio tanto la fame e la sete, quanto il desiderio di ridurre lo stato di dissonanza.
Il fastidio di un accordo stonato
Il modello motivazionale di riferimento è quindi quello volto alla tension reduction, che vede un accumulo crescente della tensione, a cui segue un crollo dopo che questa viene rilasciata. Tale tensione motivazionale, nel caso della dissonanza cognitiva, è data dal «diverso», e tende sempre ad essere riportata alla norma. Un paragone musicale sembra essere particolarmente efficace: un accordo stonato con il pianoforte non è piacevole da ascoltare, si desidera solo che finisca. Fatte queste premesse, si può affermare in conclusione che la dissonanza cognitiva altro non è che un processo sia motivazionale, sia cognitivo. Il soggetto vuole andare in palestra perché pensa che possa fargli bene (cognizione 1), eppure in quel momento non se la sente (cognizione 2). Si crea così uno stato di dissonanza tra le due consapevolezze («fa bene» – «non ho voglia») che lo porta a cercare delle cognizioni alternative («tanto posso sempre andarci domani») che possano giustificare il suo desiderio di non andare in palestra, in conflitto con la sua credenza di base secondo cui «lo sport fa bene». Nei paragrafi successivi vedremo con un altro esempio il potere che hanno la dissonanza cognitiva e le giustificazioni sul cambio radicale di prospettiva.
DISSONANZA COGNITIVA E MANIPOLAZIONE
Nel caso della palestra, il soggetto non compie un’azione che vorrebbe compiere, e per questo motivo entra in uno stato di dissonanza cognitiva. Cosa succede se il soggetto invece compie un’azione che non vorrebbe compiere? Anche in questo caso ovviamente entra in uno stato di dissonanza cognitiva, ma questa volta le giustificazioni non saranno in difesa del proprio valore di base, bensì andranno a difendere il sistema valoriale relativo alla nuova cognizione. La dissonanza cognitiva serve infatti per andare a ridurre l’incoerenza che si crea tra lo scontro del proprio sistema valoriale con un nuovo sistema agli antipodi. Nel momento in cui il soggetto fa uso di quest’ultimo anziché utilizzare il proprio, per restare coerente con sé stesso dovrà valorizzare il sistema «estraneo» e svalorizzare il proprio e non viceversa. Il non fumatore che detesta i fumatori, se provasse a fumare, comincerebbe a credere che «dopotutto le sigarette non sono così male»; ma come è possibile spingere una persona a fare qualcosa agli antipodi rispetto alle proprie credenze? È davvero possibile? Troveremo una risposta nel prossimo paragrafo.
Come cambia l’atteggiamento
Forced compliance (FC), o induced compliance, può essere letto come «accondiscendenza forzata» e si traduce nell’induzione ad attuare comportamenti contro attitudinali. Ne conseguono una riduzione della dissonanza con argomentazioni a favore di tali comportamenti ed un cambio di atteggiamento attraverso un processo di auto-persuasione. Ciascuno ha un proprio set di cognizioni iniziali rispetto ad un particolare argomento, ad esempio «il fumo fa male». Dopo un tiro di sigaretta si interrompe la serie logica «il fumo fa male, quindi non fumo». Si crea un’evidente dissonanza identificabile anche al livello fisiologico dovuta al conflitto tra l’atteggiamento di base («il fumo fa male») ed il comportamento («sto fumando»).
La chiave quindi per manipolare gli atteggiamenti delle persone e per spingerli ad assumere comportamenti contro attitudinali rispetto al loro sistema valoriale sta proprio nella dissonanza. Una volta che la si genera nel soggetto, il gioco è fatto. Sarà lui stesso in automatico ad assumere il nuovo atteggiamento al fine di ristabilire la sua coerenza interna. Tuttavia, affinché si crei dissonanza all’interno dell’individuo, è necessario che la forza esterna (offrire una sigaretta) sia appena sufficiente ad innescare il comportamento. Chi esercita la forza non deve farsi notare affinché la responsabilità (responsibility) della scelta venga data dal soggetto a sé stesso e non a chi propone il cambio di atteggiamento. Una forza esagerata, come potrebbe essere quella frutto di una tortura o di una costrizione, non produrrebbe alcun conflitto interiore nel soggetto, che quindi all’atto pratico non cambierebbe la propria convinzione. L’individuo deve essere libero di prendere liberamente la propria scelta (freedom). Lo si può «tentare» o persuadere, ma non costringere; affinché ci sia un effetto la scelta deve essere presa da lui.
Dissonanza cognitiva in amore
Ricapitolando, secondo la teoria della dissonanza cognitiva, tutti gli individui sperimentano arousal nel tentativo di mantenere un certo grado di coerenza interna tra i propri valori. Difatti quando questi entrano in conflitto con delle cognizioni da loro distanti, e quindi incoerenti con il punto di vista del soggetto, si genera tensione al fine di riportare il sistema in uno stato di coerenza. Tale tensione viene ridimensionata grazie all’utilizzo di giustificazioni ed auto-convinzioni. Questo meccanismo è particolarmente evidente nelle relazioni amorose disfunzionali in cui uno dei due partner continua a sopportare l’altro anziché supportarlo. Ipotizziamo di avere un partner violento e per questo motivo sgradito dall’altro membro della coppia. Nonostante tutto la relazione continua ad andare avanti, ed anzi il partner abusato sembra quasi diventare succube del compagno. Tutto ciò accade proprio a causa di una condizione di dissonanza cognitiva. Il membro generalmente più debole della coppia, bisognoso di affetto ed amore, entra in uno stato di dissonanza nel momento in cui si rende conto che il suo partner è tutt’altro che affettuoso. Da un lato vorrebbe amore (cognizione 1), dall’altro vorrebbe disfarsi del compagno crudele (cognizione 2); per ridurre questa condizione di conflitto si auto-inganna spingendosi a credere che dopotutto la relazione non sia così malvagia.
Ansia e depressione nelle condizioni più gravi
La presenza di arousal (in termini di psychological discomfort) in queste situazioni dovrebbe essere vista come un campanello di allarme: se si crea dissonanza vuol dire che qualcosa è entrato in conflitto con un’aspettativa personale, in altre parole vuol dire che qualcosa non ci va bene. Nelle condizioni più estreme, il malessere dovuto alla dissonanza può manifestarsi in forme patologiche come stati di ansia acuta o addirittura depressione. L’autoinganno ovviamente non è volontario, è automatico e spesso neanche viene riconosciuto. Prenderne atto è il primo passo per risolvere la questione ed eventualmente chiudere la relazione. Non è possibile risolvere un problema che non si pensa ci sia.
COME RISOLVERLA
Maggiore è il numero di cognizioni dissonanti (\(D^{ti}\)) con la cognizione di partenza («il fumo fa male»), maggiore è la dissonanza (\(D^{za}\)). Maggiore è il numero di cognizioni consonanti (\(C^{ti}\)) con la cognizione di partenza, minore è la dissonanza. Per ridurre o risolvere la dissonanza rispetto alla nuova cognizione («il fumo non è poi così male») basta aumentare \(C^{ti}\) con la nuova cognizione («il fumo rilassa»; «condividere le sigarette aiuta a farsi degli amici») o diminuire \(D^{ti}\) con la nuova cognizione («il fumo è causa di cancro»).
$$ D^{za}=\frac{D^{ti}}{C^{ti}} $$
Tuttavia non è detto che il cambio di atteggiamento avvenga, infatti può effettivamente avvenire verso la nuova cognizione («il fumo non è poi così male») se le cognizioni consonanti con essa sono maggiori e più intense di quelle relative alla vecchia cognizione; in caso contrario si torna alla vecchia cognizione («il fumo fa male») più convinti di prima.
Pesi e potenza
Ogni cognizione dissonante o consonante ha un proprio peso (\(V\)). La dissonanza effettiva è dunque somma di tutte le cognizioni moltiplicate per la loro rispettiva potenza.
$$ D^{za}=\frac{\sum{D^{ti}V}}{\sum{C^{ti}V}} $$
Trattandosi di un modello in parte moltiplicativo, è sufficiente che il valore di una cognizione sia 0 perché la sommatoria perda un addendo per intero. In questo modo la cognizione stessa perderebbe potenza, essendo costituita da meno componenti di valore. Se «il fumo non è poi così male» = «il fumo rilassa» + «condividere le sigarette aiuta a farsi degli amici», ma entrambi gli addendi hanno valore 0 (ergo non hanno importanza per il soggetto), allora «il fumo non è poi così male» = «il fumo rilassa» x 0 + «condividere le sigarette aiuta a farsi degli amici» x 0, quindi «il fumo non è poi così male» = 0. La cognizione ha valore 0. È sufficiente far perdere valore alle \(C^{ti}\) costituenti per far perdere valore all’intera cognizione.
Fonte
- A theory of cognitive dissonance (Vol. 2). Stanford university press.
Festinger, L. (1957). - Nicholson, S. B., & Lutz, D. J. (2017). The importance of cognitive dissonance in understanding and treating victims of intimate partner violence.
Tandfonline - Festinger, L., & Carlsmith, J. M. (1959). Cognitive consequences of forced compliance.
APA PsycNet - Elliot, A. J., & Devine, P. G. (1994). On the motivational nature of cognitive dissonance: Dissonance as psychological discomfort.
APA PsycNet