La viroterapia oncolitica, nuova branca dell’oncologia che sfrutta i virus (da sempre considerati dannosi per la salute) per bersagliare le cellule tumorali, potrebbe rappresentare una nuova modalità terapeutica. Ad affermarlo sono sempre più studi.
IN BREVE
Indice
VIROTERAPIA ONCOLITICA: COS’ È?
La viroterapia oncolitica (basata, appunto, sull’utilizzo di virus oncolitici) è stata ampiamente riconosciuta come nuova strategia terapeutica (e, in particolare come “cancro immunoterapia”) in diverse tipologie tumorali. In generale, i virus oncolitici, si distinguono in naturali e geneticamente modificati (cavallo di battaglia della terapia genica) e sono caratterizzati dalla capacità di penetrare all’interno, replicarsi e, infine, uccidere le cellule cancerose senza nuocere alle cellule non tumorali (per intenderci, quelle sane). Il cancro è una patologia genetica (causata, appunto, da anomalie/mutazioni a carico di uno o più geni), rappresentata da una vasta gamma di manifestazioni. I principi della tumorigenesi sono, tuttavia, simili in diversi tumori. Per farla breve, frequenti mutazioni si verificano naturalmente durante il processo di divisione cellulare (quando, ovvero, una cellula si replica dando vita ad altre cellule) mentre altre sono il frutto di fattori esogeni quali radiazioni, esposizione a particolari agenti chimici, al fumo e ad altri cancerogeni. Fortunatamente, la maggior parte di queste mutazioni, sono corrette da particolari proteine all’interno della cellula. Se però, queste ultime falliscono nel loro tentativo di riportare tutto alla normalità, le cellule in questione vengono del tutto eliminate tramite il processo di apoptosi (morte cellulare programmata). La stragrande maggioranza delle mutazioni, comunque, non fanno acquisire alla cellula proprietà cancerose (mutazioni passengers). Le vere responsabili sono le mutazioni drivers, le quali “dotano” le cellule tumorali di particolari abilità quali quelle di metastatizzare (invadendo gli altri tessuti) e resistere alla morte cellulare programmata. La maggioranza di queste cellule vengono, tuttavia, riconosciute e distrutte dal nostro sistema immunitario. Dunque, come fa a svilupparsi il tumore? Proprio quando il sistema immunitario non funziona come dovrebbe, le “cellule malate” scappano dal suo controllo iniziando a proliferare in maniera incontrollata. Questo fenomeno prende il nome di immunosoppressione ed è propagato dalle cellule cancerose in maniera diretta oppure attraverso il loro microambiente (l’ambiente cellulare ed extracellulare attorno al quale esiste e si sviluppa il tumore). Naturalmente, tale scoperta ha fatto accrescere l’interesse verso lo sviluppo delle immunoterapie, il cui scopo è quello di modificare ed attivare le cellule del sistema immunitario per addestrarle ad attaccare le cellule cancerose.
Cosa hanno da offrire i virus oncolitici?
Sulla scia del successo dimostrato dalla moderna immunoterapia, i virus oncolitici sono attualmente visti come una potenziale opzione terapeutica per i pazienti che non rispondono (o non riescono ad ottenere risposte che durino nel tempo) dopo il trattamento con gli inibitori dei checkpoints immunitari (molecole di nuova generazione che svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi del sistema immunitario). Quali sono i loro vantaggi?
- offrono una piattaforma terapeutica multiforme perché si riproducono preferibilmente nelle cellule tumorali;
- possono essere progettati per esprimere i transgeni (geni che vengono trasferiti naturalmente o attraverso una tecnica di ingegneria genetica da un organismo ad un altro) che aumentano la loro citotossicità e le loro attività immunostimolatorie;
- possono modulare il microambiente tumorale per ottimizzare l’eradicazione del cancro (sia a livello locale che sistemico) mediata dal sistema immunitario;
- innescano la lisi delle cellule tumorali rilasciando antigeni specifici in grado di attivare sia il sistema immunitario innato che quello adattivo;
- I virus oncolitici rappresentano degli ottimi partners per la combinazione con altri agenti terapeutici già in uso grazie ai loro favorevoli profili di sicurezza;
Qual è la storia della viroterapia oncolitica?
La prima evidenza riguardante la relazione esistente tra le infezioni microbiche risale all’ Ebers papyrus (1550 a.c.), uno dei più antichi e ed importanti documenti medici dell’antico Egitto. Addirittura, questo documento, prevedeva che il trattamento dei tumori si servisse di un cataplasma seguito da un’incisione per facilitare lo sviluppo delle infezioni che causavano la regressione del tumore. La correlazione esistente, invece, tra i virus ed il cancro hanno iniziato a comparire all’inizio del secolo scorso quando diversi pazienti affetti dalla leucemia iniziarono a guarire in seguito ad infezioni virali. Si trattava, soprattutto, di pazienti giovani con remissioni di breve durata (1 o 2 mesi). In particolare, proprio a seguito di queste evidenze, durante gli anni ’50 e ’60, si utilizzarono più tipi di virus “feroci” (ad esempio quelli dell’epatite, Epstein-Barr, Nilo occidentale, Uganda, dengue, febbre gialla) in centinaia di casi clinici. I risultati furono variabili e, a volte. scarsamente documentati. Per ovvie ragioni, apparve evidente che l’uso di virus così dannosi non aveva alcun margine di sicurezza mentre i risultati più promettenti (e più sicuri) si ottennero con il virus adenoido-faringo-congiuntivale, ormai semplicemente chiamato adenovirus. La storia di questi virus “potenzialmente amici”, però, non termina qui. Per ottenere la prima approvazione per un virus oncolitico utilizzato in clinica, infatti, dovettero trascorrere diversi anni. Solo nel 2015 l’FDA (Food and Drug Administration, ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) diede il via libera per l’utilizzo del talimogene laherparepvec (T-VEC, anche noto come OncoVEXGM-CSF) per il trattamento del melanoma. Questa parola apparentemente complicata, altro non indica che un tipo di Herpes virus ingegnerizzato in modo tale da renderlo non infettivo nei confronti delle cellule sane ma in grado di indurre la risposta immunitaria in quelle cancerose attraverso la produzione delle proteine GM-CSF (granulocite-macrophage colony stimulating factor, il quale darà l’ordine alle cellule del sistema immunitario di attaccare quelle indesiderate).
TERAPIA CON VIRUS ONCOLITICI: QUALI SONO E QUALI TUMORI TRATTANO?
Oggi i principali virus oncolitici che stanno andando incontro a sviluppo preclinico e clinico per il trattamento dei tumori sono: adenovirus, herpes virus, il virus del morbillo, coxsackie virus, poliovirus, reovirus, poxvirus. L’efficacia degli stessi, tuttavia, viene comprovata dopo il raggiungimento di determinati obiettivi quali: targeting (dovuto a virus di tipo naturale o ingegnerizzato) e identificazione del meccanismo d’azione (lisi cellulare o attivazione della risposta immunitaria) oltre, naturalmente, alla valutazione del profilo farmacodinamico riguardante l’escrezione, l’efficacia e la sicurezza del virus.
A seconda del tipo di obiettivo da raggiungere, diverso sarà anche il percorso da seguire per il virus oncolitico di tipo naturale o ingegnerizzato. Per cui si avrà:
- Targeting: nello sviluppo di questo tipo di agenti terapeutici può essere considerato l’ostacolo più difficile da superare in quanto, anche se diverse ricerche tendono a sottolineare il contrario, le cellule normali e quelle cancerose presentano diverse caratteristiche comuni che rendono difficile in loro bersagliamento selettivo. Questo obiettivo, tuttavia, può essere raggiunto scegliendo dei virus che abbiano un tropismo naturale (affinità che permette l’accumulo preferenziale in un sito dell’organismo) per specifici tessuti o tipologie cellulari. In particolare, diversi virus oncolitici naturali sfruttano la presenza di specifici recettori (proteine) presenti sulla superficie delle loro cellule target per riconoscerle ed infettarle. Un esempio è dato proprio dal già citato T-VEC che usa i cosiddetti mediatori dell’entrata dell’herpes virus (sigla inglese HVEM), nectina 1 e 2, che sono espresse in maniera abnorme in divere tipologie tumorali ed in particolare nelle cellule di melanoma. Altro esempio è dato dalla proteina CD46 usata come ingresso dal virus del morbillo nelle cellule di mieloma multiplo. Allo stesso modo, la over-espressione della molecola di adesione intracellulare 1 (ICAM-1) è una peculiarità di tumori maligni quali il cancro al seno, il mieloma multiplo ed il melanoma, a vantaggio del coxsackievirus. I progressi nel campo della biologia molecolare hanno permesso di alterare le sequenze del DNA dei virus oncolitici in modo tale che essi siano molto più selettivi nei confronti delle cellule tumorali rispetto alla loro controparte naturale. Ad esempio, per bersagliare il carcinoma ovarico, un adenovirus è stato ingegnerizzato in modo tale che il suo capside (involucro virale) riuscisse ad incorporare una particolare sequenza amminoacidica (arginina-glicina-acido aspartico) che legasse dei recettori di superficie cellulare αvβ3 e αvβ5 over-espresse sulla superficie cellulare di tale tumore.
- Meccanismo d’azione: il meccanismo d’azione primario sul quale si fonda la viroterapia oncolitica consiste nella lisi, appunto, diretta delle cellule tumorali. Alcuni virus oncolitici cercano di trarre vantaggio dalla deregolazione delle vie apoptotiche (che inducono morte cellulare programmata) per portare tali cellule verso altre forme di morte. Un esempio naturale è rappresentato dal parvovirus H-1PV, attualmente nella seconda fase di sperimentazione clinica per l’adenocarcinoma pancreatico metastatico inoperabile mentre il primo clinical trial sul parvovirus per il trattamento del glioblastoma progressivo è stato recentemente completato. L’H-1PV utilizza una via immunogenica per causare la morte portando ad un aumento dell’infiammazione e della risposta immunitaria. Alcuni adenovirus sono stati ingegnerizzati, invece, per portare con sé dei geni suicidi che possano uccidere il microorganismo e, di conseguenza, la cellula ospite. Le infezioni virali, sia naturali che prodotte tramite ingegnerizzazione, possono eliminare le cellule cancerose innescando le normali risposte immunitarie che porterebbero all’eliminazione dei virus. In questo processo il microambiente tumorale viene “infiammato” attraverso la produzione di citochine pro-infiammatorie che reclutano le cellule dell’immunità sia innata che adattiva. Inoltre, viene permesso il rilascio di potenti immunostimolatori (ligandi dei recettori toll-like) che sono fondamentali per l’attivazione delle cellule deputate alla difesa quali quelle presentanti l’antigene, le cellule natural killers e le cellule T.
Fare un elenco di tutti i virus oncolitici attualmente passati nella fase dei trials clinici sarebbe impossibile, tuttavia, preme ricordare che la viroterapia oncolitica è realtà in diversi paesi quali gli Stati Uniti (come già ricordato), la Cina (che nel 2005 approvò l’uso del virus oncolitico H101 per il carcinoma nasofaringeo), la Germania e la Lettonia. Inoltre, la sperimentazione ha raggiunto già ottimi livelli per quanto riguarda patologie altrimenti incurabili quali il glioblastoma (tumore maligno del cervello) per cui è stato ingegnerizzato un poliovirus (PVSRIPO). Comunque, nonostante diverse siano le evidenze, ancora tanta è la strada da fare in questo campo e diversi rimangono i paesi (tra i quali l’Italia) scettici a questo tipo di opzione terapeutica.
QUALI SONO I POSSIBILI RISCHI LEGATI ALL’USO DELLA VIROTERAPIA ONCOLITICA?
L’uso della viroterapia oncolitica potrebbe comportare dei rischi al pari di quelle attualmente esistenti e normalmente utilizzate anche se le perplessità derivano ancora dalla scarsa conoscenza di questa alternativa terapeutica. La principale preoccupazione riguarda l’innata capacità del virus di mutare, per cui non può essere totalmente esclusa la capacità di riacquisire la propria azione infettante nei confronti delle cellule sane (anche se ciò non è ancora stato documentato). Non sono ben chiari, inoltre, i protocolli antineoplastici e le dosi previste per la somministrazione. Diversi virus oncolitici, invece, sono stati combinati con altre terapie esistenti dimostrando, generalmente, di aumentare la resa e l’efficacia del trattamento. Solo in pochi casi sono state registrate reazioni avverse ma probabilmente non imputabili in maniera esclusiva al virus. Altra perplessità è destata dalla interazione del virus con il microambiente tumorale. La risposta al virus esogeno da parte delle cellule del microambiente potrebbe comportare, infatti, non solo un attacco nei confronti dello stesso ma anche l’impedimento della sua diffusione nei siti circostanti. Oltretutto, non è ancora ben chiaro se tali virus riescano a sopprimere o, addirittura, supportino l’angiogenesi. La maggioranza dei clinical trials, comunque, rassicurano in quanto hanno mostrato essere ben tollerati e gli unici effetti collaterali sono risultati essere febbre, fatica ed altri sintomi simil-influenzali. Anche la potenziale trasmissibilità agli altri, attraverso studi di biologia molecolare, dovrebbe essere un problema archiviato. Ciò che rimane di negativo è la scarsità di informazioni che rendono difficile la scelta di quali pazienti potrebbero maggiormente beneficiare di questo trattamento.
LE NUOVE PROSPETTIVE DELLA VIROTERAPIA ONCOLITICA
Alla luce delle nuove scoperte, viene spontaneo chiedersi: quali sono allora le nuove frontiere della viroterapia oncolitica? Sicuramente gli sforzi della ricerca in questo campo hanno come scopo la correzione di possibili problemi ed il superamento degli ostacoli finora incontrati attraverso la messa a punto di nuove strategie. Per tali ragioni si punterà su:
- Fare un design razionale: per poter pensare ad una target therapy davvero mirata ed efficace bisogna ideare una progettazione razionale del virus in modo tale da renderlo selettivo per il tumore da trattare riuscendo, di conseguenza, a raggiungere un’ampia gamma di tipologie tumorali. In particolare, negli ultimi anni, gli adenovirus sono modificati in modo tale da combinare un’elevata azione antitumorale con una minima tossicità. Ciò è stato (e sarà) possibile grazie alle moderne tecniche di biologia molecolare che permettono di selezionare i recettori usati come “ingresso” del virus altamente espressi in determinati tipi di tumori, perfezionare la sicurezza limitando la replicazione virale alle sole cellule tumorali, inserire transgeni terapeutici che possono aumentare l’efficacia;
- Ottimizzare il “delivery”: l’approccio attuale per la somministrazione dei virus oncolitici prevede la diretta iniezione intratumorale oppure quella endovenosa. Naturalmente, questo tipo di somministrazioni potrebbero risultare vantaggiose in quanto, per esempio, se si parla di tumori quali il glioblastoma, permettono di bypassare le barriere fisiologiche come quella ematoencefalica che potrebbe ostruire il passaggio. Tuttavia, la modulazione del dosaggio mediante questo tipo di somministrazioni diventa davvero complicata, soprattutto perché non si prevede più di un’iniezione per il paziente. La modalità tramite aerosol rappresenta uno dei sistemi di somministrazione recentemente studiati in quanto non ritenuto invasivo. Anche in questo caso, però, le problematiche sono inerenti all’erogazione imprevedibile della dose ed alla bassa esposizione sistemica. Per tali ragioni, sono in fase di studio diversi “vettori” dei virus oncolitici. Tra questi sistemi rientrano le nanovescicole bioingegnerizzate che sono risultate efficaci nell’inglobare il virus e veicolarlo correttamente nel sito di azione. Altra evidenza è stata ottenuta per la veicolazione tramite cellule staminali, sfruttando la loro intrinseca capacità migratoria ed il loro tropismo nei confronti delle cellule tumorali. L’azione antitumorale è risultata essere addirittura potenziata da questa combinazione rispetto al trattamento da solo e, nei modelli sperimentali di topo, è stata registrata anche una più elevata sopravvivenza dell’animale. Particolarmente difficili da raggiungere e bersagliare rimangono, naturalmente, i tumori che hanno sviluppato le metastasi poiché servirebbero dosi troppo elevate di agente terapeutico per raggiungere tutti i siti di azione. Alcuni ricercatori hanno pertanto pensato di progettare “virus chimerici”, formati quindi dall’unione di più virus, in modo da raggiungere la massima efficacia e diminuire il dosaggio.
- Studiare le possibili combinazioni con altre terapie: per quanto detto in precedenza, nonostante diverse evidenze sperimentali depongano a favore dell’utilizzo dei virus oncolitici, per massimizzarne l’efficacia diversi sono i tentativi che mirano all’uso combinato degli stessi con altri tipi di agenti. I trattamenti combinatoriali includono l’associazione con la radioterapia, la chemioterapia e gli inibitori dei checkpoints immunitari. Tra i diversi agenti chemioterapici usati che hanno avuto successo in combinazione ricordiamo: cis-platino, paclitaxel, 5-fluorouracile e doxorubicina. L’importanza di tali associazioni è dovuta alla tossicità individuale di questi agenti che potrebbe essere contrastata dall’uso combinato che porterebbe alla diminuzione delle dosi impiegate. L’immunoterapia contro il cancro rappresenta un trattamento ormai clinicamente validato. Essa comprende: vaccini, il trasferimento di cellule T o natural killer attivate, uso di cellule T del recettore chimerico dell’antigene (note anche come cellule T CAR, cellule T geneticamente modificate per produrre un recettore delle cellule T artificiale da utilizzare nell’immunoterapia) e l’uso degli inibitori dei checkpoints immunitari. Tra questi ultimi ha avuto grande successo l’associazione con PD-1 (molecola inibitrice dei checkpoints immunitari) per diverse tipologie tumorali tra cui il glioblastoma ed il cancro al seno. I risultati hanno mostrato non sono una migliore azione antitumorale ma anche una maggiore responsività al trattamento con queste molecole e la possibilità di trasformare il microambiente tumorale in modo da reclutare le cellule coinvolte nel processo infiammatorio, in grado di bersagliare il tumore stesso.
Una speranza per l’oncologia
La difficoltà insita nella traslazione degli agenti terapeutici (con potenziale preclinico in vivo) in un ambiente clinico è tanto ampia e varia quanto la differenza esistente tra il topo e il paziente. Questo risulta essere ancora più veritiero per quanto riguarda l’ancora misterioso campo della viroterapia. Per questa ragione, in questo contesto, la definizione di “medicina personalizzata” va tradotta in: il virus giusto, per il paziente giusto, al momento giusto. Partendo dalle difficoltà elencate in questo articolo, l’errore più grande che si potrebbe farebbe sarebbe quello di delegare questo ambito di studio ad un semplice “ciò che avrebbe potuto essere”. Pertanto, si dovrebbe sfruttare lo slancio della ricerca in tutto il campo dell’immunoterapia oncologica e l’incoraggiamento di dati emergenti a sostegno della sicurezza e della potenziale efficacia dei virus oncolitici affinché essi possano diventare una modalità completamente nuova per il trattamento delle neoplasie il prima possibile.
Fonte
- Optimizing oncolytic virotherapy in cancer treatment
Nature reviews - Oncolytic viruses for cancer immunotherapy
Journal of Hematology & Oncology