La teoria della gestione del terrore tenta di spiegare una tra le forze motivazionali che come tante altre spinge l’uomo ad agire secondo precisi meccanismi psicologici. Molti comportamenti apparentemente spontanei celano in verità una «costrizione» alla base che porta il soggetto a compierli inconsapevolmente. Un caso esemplare è quello dei comportamenti altruistici che spesso, pur sembrando tali, sono causati da una motivazione tutt’altro che altruistica, al contrario, assolutamente egoistica.
IN BREVE
Indice
LA CHIUSURA COGNITIVA CHE SPINGE ALL’AZIONE
Prima di poter parlare di teoria della gestione del terrore è bene spendere due parole sul concetto di «chiusura cognitiva». L’argomento richiederebbe una trattazione ben più lunga, ma ai fini del nostro articolo sarà sufficiente descrivere il grafico nell’immagine sottostante. Ipotizziamo che il soggetto si trovi in un certo punto del segmento che unisce l’estremità sinistra con l’estremità destra della figura. Se l’estremo sinistro coincide con uno stato mentale di chiusura cognitiva (orienting), quello destro al contrario coincide con uno stato di cosiddetta multiple perspective.

La condizione di orienting spinge il soggetto a comportarsi in modo particolarmente rigido, schematico e senza alternative, mentre la condizione di «apertura mentale» dell’estremo desto lo porta a leggere la vita con meno intransigenza e ad accettare e tollerare punti di vista diversi dal proprio. In altre parole, volendo fare un esempio, un soggetto in orienting tende a rimanere fisso sulla propria idea e non accoglie alcun tipo di motivazione alternativa, mentre quello in uno stato di multiple perspective tende ad accettare apertamente ogni punto di vista diverso dal proprio.
Minacciare l’autostima spinge ad uniformarsi
Dobbiamo vedere il segmento come un continuum; il sistema tende ad un polo piuttosto che all’altro sulla base di forze contrastanti. Il soggetto nella posizione in figura si trova proprio lì e non altrove perché è quello il punto risultante dall’incontro delle due forze opposte. La forza che occorre spiegare per comprendere la teoria della gestione del terrore è quella che spinge il soggetto verso la condizione di chiusura cognitiva. In situazioni di minaccia fisica-biologica (physical-biological threat), si è portati a tendere verso orienting, che esclude ogni tipo di valutazione cognitiva e cerca LA risposta rapida e corretta dal proprio punto di vista, ragion per cui in questo stato sono particolarmente attive le euristiche e gli schemi cognitivi automatici. Tra questi tipi di minaccia rientra anche quella all’autostima, infatti l’autostima «in riserva» segnala un malfunzionamento che a lungo termine conduce all’esaurimento delle risorse emotive. Avere una bassa autostima è un fattore potenzialmente dannoso e a volte mortale per chiunque. Immaginate di dover rispondere alle domande di tante persone sconosciute; siete sotto pressione per via della condizione di giudizio e di aspettativa da parte di chi pone la domanda. La situazione potrebbe essere così tesa da mettervi a disagio e per questo motivo potrebbe indurvi ad entrare in un modo di ragionare «orienting». Se così fosse tendereste a dare risposte rapide, sbrigative e preimpostate (come proverbi e modi di dire), e tendereste a rispondere ciò che gli altri si aspettano che voi rispondiate.
LA TEORIA DELLA GESTIONE DEL TERRORE
Siamo quasi pronti per entrare nel vivo della questione, ma prima, per comprendere il ragionamento alla base della teoria, è necessario fare un altro paio di premesse. Nella teoria della gestione del terrore (Greenberg, 1986), altrimenti detta Terror Management Theory (TMT) il termine «terrore» va inteso come «terrore esistenziale» o più semplicemente come «ansia esistenziale». Ciascuno di noi ha sempre ed inconsapevolmente coscienza della morte che presto o tardi lo prenderà e lo porterà via dal mondo. Per questa ragione si sente costantemente minacciato da essa, come se potesse raggiungerlo da un momento all’altro. La TMT si basa proprio su questa premessa, ovvero sul fatto che l’unico dato certo della vita sia la morte. La teoria viene infatti testata secondo un particolare paradigma che richiede al soggetto di immaginare il proprio cadavere sotto ogni punto di vista (età, colore, aspetto, ferite, prospettiva), cosa che genera subito nell’individuo una discreta ansia, la quale tende a manifestarsi con risate, scherzosità o difese fisiologiche di altro tipo. Si presuppone inoltre che alla morte biologica sopravviva qualcosa dell’individuo, un’eredità, un oggetto materiale, un insegnamento o altro (basti pensare ai nuovi «cimiteri virtuali» dove vengono conservati video e memorie dei defunti). Il secondo presupposto coincide quindi con il concetto di «trascendenza», ovvero l’altra colonna portante della TMT insieme alla certezza della morte. Tuttavia, a differenza di quest’ultima, la trascendenza non è un fatto privato, bensì un fatto sociale. Il defunto vivrà infatti nelle memorie e nel lascito culturale, ma non ci sono memorie, né cultura senza società pensante. È necessario un gruppo per potervi sopravvivere simbolicamente all’interno.
Il potere della società ci spinge ad agire
Nell’esperimento a dimostrazione della TMT, vennero coinvolti diversi giudici di tribunale; alla prima metà di essi venne chiesto di pensare alla propria morte secondo la modalità descritta nel paragrafo precedente, l’altra metà venne invece assegnata al gruppo di controllo. Ci si aspettava che i membri del gruppo sperimentale, a differenza del controllo, sperimentassero una condizione di ansia e «minaccia» (death threat) che li avrebbe portati a compiere azioni socialmente riconosciute ed accettate per quanto detto nel paragrafo sulla chiusura cognitiva. Così fu. Prima di annunciare i risultati della ricerca è tuttavia necessario fare un’ulteriore precisazione.

Dopo aver valutato a priori l’autostima di ciascuno, in tribunale venne dato loro il compito di giudicare alcune prostitute. Si notò che il grado di autostima faceva da buffer, inteso come «airbag» che protegge dai pensieri di morte. In altri termini, i giudici con alta autostima risentivano meno degli effetti del death threat rispetto ai giudici con bassa autostima basale. Anch’essa, come la trascendenza, è un fatto sociale: dipende da come si viene trattati dagli altri e migliora quando si riceve riconoscimento dal gruppo, quando quindi si fanno azioni in suo favore. Tuttavia ogni gruppo ha delle proprie regole, perciò ogni gruppo avrà i suoi «comportamenti socialmente riconosciuti». Solo chi li segue merita le lodi dei membri, chi non le segue, al contrario, viene spesso emarginato con conseguenze negative sulla propria autostima. Per questa ragione, chi desidera trascendenza e quindi riconoscimento, tende ad uniformarsi alle regole del gruppo per essere socialmente accettato, soprattutto quando la sua autostima è particolarmente bassa, essendo l’autostima nient’altro che un segnale di riconoscimento sociale. Bassa autostima = Basso riconoscimento sociale = Bassa trascendenza = Alta chiusura cognitiva ed alto conformismo con poco senso critico.
Le leggi del gruppo
Riassumendo, se per aumentare l’autostima è necessario conformarsi alle leggi del gruppo, e chi devia tende a perdere la propria autostima, ci si aspetta che il death threat porti ad una maggiore necessità di autostima e trascendenza, e quindi ad una maggiore tendenza a ragionare in termini di conformismo. Se il conformismo in questo caso coincide con «punire chi lo merita», allora il giudice con alta autostima, in una condizione di orienting, tenderà a punire la prostituta in modo meccanico, non per correttezza morale personale, ma per semplice egoismo per così dire. Il suo dopotutto non è altro che un desiderio di ristabilire la propria posizione all’interno del gruppo sociale. Difatti la prostituzione è illegale all’interno della nostra società, per questa ragione nel gruppo sperimentale infatti vennero date punizioni più severe alle prostituite, in funzione del conformismo inteso come «mezzo di riaffermazione dei valori gruppali». Si comportano così perché gli altri vorrebbero che si comportassero così e se non si comportassero in questo modo il rischio sarebbe quello di essere emarginati durante la vita e dimenticati dopo la morte.
Conformismo come comportamento obbligato
Si potrebbe pensare che la punizione esemplare data dai giudici dipenda dalla frustrazione frutto del pensiero di morte e non da altri fattori come la trascendenza o l’autostima: «sono arrabbiato e frustrato perché dovrò morire, quindi sfogo la mia frustrazione sugli altri». Tuttavia la prova del nove della teoria è stata data da un secondo esperimento, in cui veniva chiesto ai giudici di premiare un eroe nazionale anziché punire un colpevole. Ancora una volta in condizione di death threat veniva messo in atto un comportamento pro-sociale rispetto al gruppo di controllo, in questo caso la premiazione dell’eroe. Premiazione di un eroe nazionale = Conformismo con le leggi = Riaffermazione dei valori gruppali. Il death threat, o più in generale la necessità di autostima e di trascendenza, possono dunque portare ad atti incredibilmente altruistici, ma non per questo spontanei e genuini. A questo proposito, il teologo-psicologo Daniel Batson, è tra i sostenitori dell’idea secondo la quale vi è una forma di altruismo puro, che va al di là di ogni tornaconto egoistico; ma questa è un’altra storia. Ci basti sapere che non tutto l’altruismo sembra essere dovuto meccanismi egoistici di questo tipo.

Diventare più buoni per piacere agli altri
Ricapitolando, osannare l’eroe e punire la prostituta fino a prova contraria sono comportamenti altruistici (nei confronti del gruppo), ma è bene sottolineare che il loro fondamento è puramente egoistico: la trascendenza ed il mantenimento dell’autostima. Il death threat che minaccia autostima e trascendenza porta il soggetto ad agire in modo «pro-sociale», il che significa «mettere in atto comportamenti in favore della società», quindi socialmente riconosciuti, ma non è detto che tali comportamenti siano uguali per tutti gruppi. Nel loro saggio La realtà come costruzione sociale, Berger e Luckmann intendono la realtà come un costrutto soggettivo costituito da un universo simbolico frutto dell’apprendimento. Tale insieme di simboli sarebbe quindi la chiave di lettura della realtà stessa, e sarebbe insegnato dal gruppo sociale di riferimento. In quest’ottica l’esistenza è spiegabile in modi diversi a seconda della prospettiva dalla quale la si guarda e per questa ragione nella mente di ciascuno c’è un sistema di norme prosociali differente. Un esperimento come quello della TMT sarebbe replicabile solo in una società le cui regole impongono una punizione per la prostituzione. In società diverse, si potrebbero ottenere risultati diversi se le norme alla base fossero diverse. Ipotizziamo di ripetere l’esperimento in un gruppo dove le prostitute vengono osannate al pari degli eroi nazionali. In una società di questo tipo, i giudici con bassa autostima tenderebbero a premiare le imputate anziché giudicarle severamente e in quest’ottica i comportamenti pro-sociali sarebbero tutt’altro che spontanei e genuini, al contrario andrebbero intesi come «obbligati» da una necessità di base, come fosse la fame o la sete.

L’effetto per cui ci si trasforma e si diventa più buoni prende il nome di Scrooge Effect, dalla storia di Ebenezer raccontata da Dickens. Secondo tale effetto in condizioni minaccia fisica o psicologica le persone con bassa autostima tendono ad assumere comportamenti altruistici intesi come «prosociali». Dunque il discrimine del comportamento in questo caso è la norma sociale e l’altruismo appare quindi come conseguenza di una semplice adesione ad essa. Se le norme del gruppo non fossero prosociali ma antisociali, con le stesse condizioni si otterrebbero comportamenti tutt’altro che altruistici. «Prosociale» ed «altruistico» non sempre coincidono, prosociale = ciò che segue le norme della società, ma non è detto che queste ultime siano sempre positive ed altruistiche. Una società di cannibali è tutt’altro che altruista dal nostro punto di vista, eppure un cannibale con bassa autostima probabilmente in condizioni di death threat mangerebbe la sua vittima senza esitazione.
TEORIA DELLA GESTIONE DEL TERRORE, SENSO DI COLPA E RICERCA DI CONFERME
Altri studi hanno confermato quando detto nei paragrafi precedenti. Ad esempio, come varia il senso di colpa in funzione del comportamento creativo, in seguito alla stimolazione «death threat»? (Arndt et al., 1999). Come ci insegna la parabola del figliol prodigo, le scuse sono un ottimo modo per lenire il senso di colpa. Al livello sociale, le scuse sono date proprio dal comportamento conforme; difatti non sono necessarie se non c’è violazione di una norma condivisa e socialmente riconosciuta. L’atto creativo coincide invece proprio con un allontanamento dal comportamento conforme. È per definizione un agito che mette in discussione la norma stabile. «Creare» vuol dire «fare qualcosa di nuovo», quindi non incasellato a priori in alcuna norma sociale. Per questo motivo se la stimolazione «death threat» viene presentata in seguito ad un atto creativo, il meccanismo che riporta il soggetto nel gruppo ( = il secondo di colpa) è visibilmente più intenso. Sia ben chiaro che nessuno dei due elementi (atto creativo o death threat) preso singolarmente porta al senso di colpa. Gli outcome comportamentali sono sempre dati dall’interazione tra variabili e dalla combinazione di fattori: così come schiacciare l’interruttore non fa accendere la lampadina in assenza di elettricità, allo stesso modo bassa autostima senza minaccia o minaccia senza bassa autostima non causa il comportamento prosociale, e agito creativo senza death threat o viceversa non creano senso di colpa.
Teoria della gestione del terrore nella vita quotidiana
Per vedere la TMT in azione in una situazione quotidiana possiamo portare l’esempio del cosiddetto «bias di falso consenso». Si tratta di un’illusione cognitiva molto diffusa che spinge il soggetto a pensare che opinioni, sentimenti e comportamenti propri siano condivisi anche da altri in maggior misura di quanto lo siano realmente. Ancora una volta, a dimostrazione della teoria della gestione del terrore, è stato visto che ad un maggior orienting corrisponde un bias di falso consenso più elevato. Quanto più è alto il bisogno di certezza, tanto più è elevata la necessità di consenso. Lo stato di orienting in questione verrebbe innescato da un qualsiasi tipo di minaccia alle sicurezze del soggetto. Se interagisse con una bassa autostima basale, genererebbe lo stato motivazionale di bisogno. Il bias di falso consenso andrebbe così a creare illusioni protettive che difenderebbero il soggetto dalla propria bassa autostima.
Fonte
- Altruismo e comportamento prosociale. Temi e prospettive a confronto. FrancoAngeli
Boca, S. & Scaffidi Abbate, C. (2011). - Greenberg, J., Pyszczynski, T., & Solomon, S. (1986). The causes and consequences of a need for self-esteem: A terror management theory.
Springer - Jonas, E., Schimel, J., Greenberg, J., & Pyszczynski, T. (2002). The Scrooge effect: Evidence that mortality salience increases prosocial attitudes and behavior.
Personality and Social Psychology Bulletin - Arndt, J., Greenberg, J., Solomon, S., Pyszczynski, T., & Schimel, J. (1999). Creativity and terror management: Evidence that creative activity increases guilt and social projection following mortality salience.
Journal of personality and social psychology