Il test di Rorschach, con le sue famose macchie di inchiostro, è forse uno dei metodi di indagine più conosciuti in ambito psicologico. Data una stessa figura, ciascuno di noi la interpreta diversamente. Come mai? Quali sono le cause di questo fenomeno e da cosa dipende? Questo articolo cercherà di spiegare brevemente su cosa si basa il metodo Rorschach e perché funziona.
IN BREVE
LE TECNICHE DI TESTING
Premessa
Il seguente articolo ha come fine principale quello di spiegare la complessità che c’è dietro ai test psicologici. Non ha scopo didattico, ma illustrativo, ragion per cui non scenderà nel dettaglio con le specifiche tecniche del metodo. Non vuole insegnare ad interpretare, anzi più volte si sottolineerà l’importanza di uno specialista in ambito strettamente clinico/diagnostico. Vorrebbe limitarsi a spiegare la logica alla base di uno tra i test più conosciuti. Spesso si crede che esso sia «intuitivo», in realtà è tutt’altro. Si sottolinea inoltre che non verranno fornite le risposte ai quesiti del test, né verranno utilizzate le immagini originali. Non esistono «risposte esatte» al test di Rorschach, ma neanche verranno riportate le più frequenti o le inconsuete. Non è possibile applicare un test manualizzato senza un’adeguata preparazione, specialmente nel caso di un test delicato come quello di Rorschach che richiede un’istruzione specifica e anni di esperienza.
«Capire gli altri»
Prima di parlare del test di Rorschach è bene fare una rapida introduzione relativa alle tecniche di testing in generale. Da sempre vi è per tutti la necessità di valutare le variabili psicologiche proprie e altrui al fine di comprendere, interpretare e prevedere i comportamenti; è un atteggiamento naturale e funzionale. Se ne trova testimonianza nella «psicologia ingenua», altrimenti detta folk psychology o «psicologia del senso comune», e nell’interesse collettivo che la psicologia tendenzialmente riscuote. Spesso si sente tristemente dire che l’avvocato / il sacerdote / il parrucchiere «è un po’ psicologo», in questo modo la psicologia come scienza finisce per diventare una merendina commerciale che mangiano tutti. Ciascuno di noi fin da piccolo, attraverso le proprie capacità cognitive, riesce a «capire gli altri», chi più chi meno. Si tratta di un atteggiamento naturale e spontaneo. Per questo motivo sembra che quello dello psicologo sia un lavoro «comune», che non richiede alcun particolare studio, tuttavia la psicologia naïve è ben diversa da quella scientifica. Basti pensare alla prima cosa che si crede faccia lo psicologo: «dare consigli». Gli amici, gli insegnanti e i genitori danno consigli; lo psicologo cura, e la cura non si basa sui consigli, ma su tecniche ben strutturate.
Il metro di giudizio
La psicologia, come altre scienze, ha i propri metri di giudizio tecnico. Prima di ogni terapia si valutano quantitativamente le variabili psicologiche, proprio come il medico prima della diagnosi consiglia le analisi del sangue a completamento del quadro clinico. Gli stessi numeri che compaiono nel referto medico, compaiono anche nella relazione psicologica del terapeuta, tuttavia l’indagine della psicologia risulta essere molto meno immediata rispetto a quella di molte altre scienze: è più facile misurare due lunghezze fisiche o, ad esempio, l’introversione? Spesso si pensa basti identificare caratteristiche come «arroganza» e «pienezza di sé» per poter fare diagnosi di narcisismo patologico. La verità è che i disturbi di personalità sono molto delicati; ognuno di noi presenta tratti funzionali e disfunzionali, ed è molto difficile comprendere quando questi sfociano nella patologia e quando invece rientrano nel funzionamento normale. Per questa ragione le diagnosi cliniche si basano su criteri e valutazioni quantitative che possano aiutare il clinico a prendere una decisione sufficientemente valida e replicabile.

Ad esempio, per quanto un soggetto possa sembrare patologico, non c’è disturbo di personalità senza la soddisfazione di alcune specifiche prerogative imposte dal DSM e scientificamente validate. Vi sono caratteristiche di personalità che all’apparenza «suonano male» perché di questi tempi si da loro valenza negativa. È il caso del «disturbo narcisistico di personalità» e del «disturbo di personalità ossessivo-compulsivo», che NON è il classico «disturbo ossessivo-compulsivo» di cui si sente spesso parlare, anche se gli assomiglia in molte cose. Il narcisismo è presente in ciascuno di noi anche in forme funzionali, allo stesso modo nel mondo del lavoro sono spesso apprezzate caratteristiche tipiche delle personalità ossessivo-compulsive, come la coscienziosità e il perfezionismo. Tuttavia si pensa di base che una persona con tali caratteristiche sia in qualche modo «disturbata». In realtà, per poter fare diagnosi, sono necessari dati e criteri tecnici da verificare, perché non sempre ciò che si ritiene problematico sulla base del senso comune lo è davvero.
Storia della valutazione psicologica in breve
Abbiamo testimonianze risalenti al 1115 A.C. circa di esami complessi a cui venivano sottoposti i funzionari dell’impero cinese affinché solo i migliori venissero selezionati per occupare posizioni lavorative delicate. Tempo dopo, Ippocrate nella Grecia classica propose una teoria basata su quattro fluidi (sangue, flemma, bile gialla e bile nera) e suggerì test diagnostici basati proprio su questi fluidi. Nel Malleus Maleficarum (1487), negli anni della caccia alle streghe, si consigliava al giudice prudente di sottoporre le imputate al seguente «test» prima della condanna: «…quando cerca di indagare se l’imputata sia implicata nella stregoneria del silenzio, cerchi di accorgersi se possa piangere quando sta davanti a lui o quando è esposta ai tormenti. Infatti, proprio questo secondo antichi racconti, è segno certissimo; e infatti la si esorti, la si scongiuri, anzi la si costringa a piangere; se è davvero una strega, non può versare lacrime…». Fino all’ultima metà del 1800, la descrizione delle caratteristiche psicologiche è stata affidata alla sola conoscenza intuitiva. Autori come Charcot, Wundt, Galton e James posero definitivamente le basi della moderna psicologia basata su evolute tecniche di indagine psicologica: tra di esse rientrano i test. Si sottolinea che non tutti i test psicologici sono uguali, vi sono infatti colloqui, interviste o test scritti. Alcuni sono più strutturati, si pensi alla scala WAIS e alle matrici di Raven, e altri più interpretativi-qualitativi, come ad esempio il test di Rorschach.
IL TEST DI RORSCHACH
Justinus Kerner (1857) fu il primo ad interessarsi della relazione tra la percezione di alcune macchie di inchiostro e le caratteristiche psicologiche dei pazienti. Anni dopo Alfred Binet (1895) suggerì l’utilizzo di macchie d’inchiostro per l’analisi dell’immaginazione, e successivamente Dearborn (1898), dopo una fase sperimentale, affermò che nessuno all’epoca era in grado di spiegare univocamente perché, in una stessa immagine, un soggetto vedesse qualcosa ed un altro ne vedesse una differente. Tuttavia era certo che, in linea generale, le esperienze, e specialmente le prime esperienze del soggetto, avevano su queste interpretazioni un’influenza determinante. Nel 1917, attraverso lo studio di un campione di bambini, si arrivò alla conclusione che il materiale rilevato indicava la possibilità di far emergere differenze individuali significative.

Hermann Rorschach sviluppò i suoi interessi in questo campo intorno al 1911, soprattutto nell’ambito degli ospedali psichiatrici. Il suo approccio si fondava sulla relazione tra i vari aspetti di personalità e su come questi si manifestavano in modi differenti in funzione del meccanismo inconscio della proiezione. Nella sua unica opera, Psichodiagnostik, pose le risposte dei soggetti alle macchie al centro del suo «metodo obiettivo di diagnosi della personalità globale». Samuel Beck fu il primo ad introdurre questa tecnica negli Stati Uniti, dove inizialmente vi furono molte resistenze, soprattutto in relazione al metodo, sia tra gli psicologi che tra gli psichiatri. Con il tempo tuttavia il test di Rorschach riuscì ad affermarsi, fino a diventare oggi uno dei test psicologici più conosciuti.
Test di Rorschach: immagini e materiale
Le dieci macchie che Rorschach elaborò consistono in disegni standard quasi simmetrici ottenuti con macchie d’inchiostro, stampati al centro di cartoncini bianchi 17 x 24. Dato il medesimo stimolo, soggetti diversi vedono oggetti diversi, difatti secondo le differenze individuali, ciascuno tende a privilegiare solo determinate caratteristiche dell’immagine (il generale, il particolare, la simmetria, i colori…). Ad ogni tavola non corrisponde una sola risposta: alcune potrebbero spingere il soggetto a dare più di un’interpretazione, altre potrebbero non richiederne alcuna. Ad oggi vi sono anche molte versioni del test di Rorschach online, ma come i siti stessi sottolineano, si raccomanda di non prendere per certi i risultati rilasciati da queste piattaforme. Affinché i test psicologici siano validi, devono rispettare le regole con le quali sono stati manualizzati, che non sempre sono intuitive. Per questo motivo non è possibile ottenere dei risultati realistici da un test online rapido e semplicistico; è necessario rivolgersi ad uno specialista.
La somministrazione
Il test delle macchie di Rorschach parte dal presupposto che esista una relazione tra percezione e personalità e dall’idea che la modalità di organizzazione del percetto rifletta aspetti fondamentali della dinamica psicologica di un individuo. Le macchie del Rorschach si prestano a questo scopo in quanto sono relativamente ambigue e scarsamente strutturate. Difatti, le percezioni di un soggetto in genere si organizzano sulla base della proiezione dei suoi bisogni, delle sue esperienze e del suo modo di rispondere abituale. Poco importano gli aspetti qualitativi del percetto (vede molti gargoyle, vede molti volti…), ciò che importa è la modalità di organizzazione della percezione (guarda spesso il particolare, guarda spesso il generale, guarda spesso i colori, guarda spesso lo sfondo…).

Attenzione! Il test di Rorschach non è uno strumento di valutazione globale della personalità. Come tutte le tecniche proiettive, non si propone tanto di misurare un individuo, bensì di descriverlo. Questa descrizione avviene attraverso l’interdipendenza tra variabili non sempre così chiaramente in correlazione, ragion per cui ha suscitato, e tuttora continua a suscitare, polemiche riguardanti la validità delle sue valutazioni.
Quali sono le domande che si pone il clinico?
Con il protocollo Rorschach e possibile ottenere preziose informazioni su:
- Capacità ed efficienza intellettuale. È possibile, ad esempio, valutare se un soggetto è in grado di utilizzare le proprie risorse rispetto alle sue capacità potenziali, soprattutto in relazione alle interferenze di tipo emotivo. Tuttavia Rorschach non può sostituire altri test più specifici come la WAIS. Il test delle macchie si limita a dare informazioni come «il soggetto funziona bene sul piano cognitivo a patto di non venir sollecitato su quello emotivo» (quando ad esempio cala la prestazione intellettiva nel momento in cui vengono presentati stimoli emotivi, ma risale con le figure neutre);
- Tipo di comprensione. Come vengono affrontati i problemi dal soggetto? Utilizza modalità induttive o deduttive?;
- Potere di osservazione. È capace di osservare cose evidenti o quelle viste dalla maggior parte delle persone? Si perde in minuzie o si sforza di contenere tutti gli elementi in un unico insieme?;
- Originalità di pensiero. Ha capacità creative? Le creazioni sono basate sulla realtà o sono assurde? Ad esempio, un soggetto che non da risposte proprie e creative ma tendenzialmente popolari, probabilmente è iper-adattato, segue la massa;
- Produttività. È al di sotto o al di sopra della media? Dà risposte ricche, o scarne e sbrigative?;
- Ampiezza degli interessi. In base alle figure che vede, si può pensare che gli interessi del soggetto siano ampi o focali e polarizzati su un unico settore? È anche vero che risposte monotematiche potrebbero dipendere dalla deformazione professionale, ad esempio se un radiologo vedesse solo radiografie non sarebbe strano, per questo motivo è sempre bene conoscere in anticipo ed in modo approfondito la storia di vita del paziente, onde evitare fraintendimenti;
- Tonalità emotiva generale. L’emotività è coartata o espressa apertamente? Di tipo depressivo, ansioso, aggressivo? Vincolata alla realtà o totalmente libera? È molto importante la modalità di lettura dei colori ai fini dell’interpretazione del comportamento;
- Sentimento di sé. Qual è la risposta del soggetto alle sollecitazioni interiori? Si trova a suo agio? Presenta vissuti di inferiorità o di velleità?
- Rapporti con gli altri. Ha facilità, prova piacere nel contatto con gli altri? Al contrario prova ostilità o disagio con gli altri?
- Modo di reagire a stress emotivi. Quali risorse e quali strategie il soggetto utilizza per gestire lo stress? Come affronta le situazioni nuove?
- Controllo degli impulsi emotivi. Gli impulsi vengono controllati in maniera funzionale, rigida o senza successo? Riesce a modulare l’emotività?
- Forza dell’Io. Ha un buon adattamento alla realtà? Le sue percezioni sono inerenti la realtà oppure tendono ad essere bizzarre e particolarmente «diverse» rispetto alla media?
- Zone conflittuali. Quali aree sono meno equilibrate? L’identità sessuale? Conflitti verso l’autorità? Dipendenza? Passività? Quali sono i temi che compaiono maggiormente e quali invece tra quelli che dovrebbero palesarsi rimangono taciuti?
- Quali sono i meccanismi di difesa preferenzialmente utilizzati? Negazione? Razionalizzazione? Le difese sono rigide o articolate?
Nella pratica clinica il Rorschach fornisce elementi preziosi dal punto di vista sia diagnostico che prognostico, eppure è evidente che, data la natura di questo metodo, la validità intesa in senso strettamente statistico rimane bassa ed opinabile. Difatti, contrariamente alla maggior parte delle metodiche psicometriche, non colloca l’individuo all’interno di un continuum misurabile e relativo ad una o più dimensioni specifiche, ma si prefigge di valutarlo nella sua globalità. Ricordiamo che il test di Rorschach non misura ma descrive, dunque non è propriamente un test ma un metodo. Per quanto detto prima a proposito della manualizzazione, la preparazione della seduta d’esame deve essere il più possibile accurata. Infatti, dall’osservazione del comportamento e delle reazioni emotive del soggetto si possono evincere, anche di fronte ad un protocollo «meno tecnico», preziose informazioni. La condizione d’esame deve permettere al soggetto di esprimere liberamente le proprie modalità d’interazione ed al contempo deve consentire all’esaminatore di cogliere gli atteggiamenti nei suoi confronti, nei confronti del contesto e nei confronti delle singole tavole. Non esistono risposte giuste o sbagliate nella descrizione delle figure, ognuno ha il proprio modo di vederle ed interpretarle, ed è proprio questo il motivo per cui il metodo funziona.
L’analisi non si limita alle immagini
Il test di Rorschach non finisce con la presentazione delle tavole. Ad essa segue la cosiddetta «inchiesta» con lo scopo di rilevare, in funzione della siglatura (l’ultima fase del metodo), come il soggetto è arrivato alle sue risposte. Le spiegazioni chieste al soggetto devono avere la finalità di un chiarimento e non devono influenzarlo. In altre parole questa fase coincide con la spiegazione del processo di ricostruzione del percetto: «Come è arrivato a vedere ciò che ha visto?» [ripresentando le tavole una per una]. Oltre che per la raccolta di maggiori informazioni, l’inchiesta risulta utile per avere un’idea complessiva e più realistica del paziente, soprattutto in soggetti con un quadro di inibizione.

Il cosiddetto periodo analogico funge da ulteriore chiarificazione, può essere utile ad esempio per chiedere al soggetto di distinguere le tavole con valenza positiva da quelle con valenza negativa. Di conseguenza gli si può chiedere di estrapolare «la più negativa» e «la più gradita», che tuttavia potrebbe non essere effettivamente la più gradita, ma potrebbe essere definita tale in funzione del meccanismo di difesa responsabile del miglioramento delle situazioni catastrofiche: «meglio che sia morto perché stava soffrendo» / «bella questa tavola dove la macchia nera mi ricorda la morte». Inoltre si potrebbe sfruttare questa fase per approfondire la descrizione delle tavole «più complicate». Queste vengono generalmente riconosciute come tali a causa delle risposte scadenti annesse. Le risposte grossolane dipendono dai meccanismi di difesa che impediscono di dare risposte elaborate, dal momento che risposta elaborata = soffermarsi con il pensiero e soffermarsi con il pensiero su argomenti difficili = sofferenza. Approfondimenti di questo tipo non possono essere fatti da un sito web, e se anche lo fossero, non potrebbero essere personalizzati per ogni paziente. Forse in futuro il machine learning sarà in grado di proporre perfetti test di Rorschach digitali, ma per il momento la prospettiva non è ancora realistica.
Test di Rorschach: risposte
L’ultima fase del metodo prende il nome di «siglatura» e consente di assegnare alle risposte, una per una, alcuni simboli che permettano di classificarle in categorie. Sebbene esistano diversi sistemi di siglatura, riconducibili a più autori, si rileva un sostanziale accordo nella procedura per gradi seguendo il seguente schema prototipico:
- Localizzazione. Dove? Quale parte della tavola attira maggiormente l’attenzione del soggetto? Ciascuno può essere attratto dall’immagine globale, da una parte di essa, dai dettagli piccoli, grandi o difficili da trovare. Ognuna di queste modalità di approccio ha un proprio simbolo ed una propria interpretazione. Ad esempio, il fatto che il paziente descriva principalmente le figure delineate dagli spazi bianchi, quando invece dovrebbe descrivere quelle colorate, potrebbe essere indice di una tendenza oppositiva sistematica, ma non per forza: la valutazione va fatta sulla base di tutte le sigle nel loro insieme;
- Determinante. Quale elemento della macchia ha determinato la risposta? Forma? Colore? Chiaroscuro? Movimento? Focalizzarsi sulle forme crea percettivamente figure statiche, cosa che potrebbe far pensare ad una tendenza al controllo intellettuale. Al contrario il movimento potrebbe indicare sensibilità emozionale, ma per quanto detto prima, non per forza. Il chiaroscuro potrebbe dare molte informazioni riguardo l’ansia e i bisogni di dipendenza; i colori riguardo l’emotività, e così via… ognuno di questi domini a sua volta presenta una serie di sottodomini che possono essere utilizzati per rendere l’interpretazione ancor più precisa (ad esempio movimento animale, movimento umano, movimento meccanico o di forze astratte);
- Contenuto. Qual è il contenuto della risposta? La presenza di una vasta gamma di contenuti potrebbe essere indice di una buona intelligenza. Al contrario, una concentrazione di contenuti animali potrebbe rappresentare una forma di pensiero tipicamente infantile, nel bene e nel male. La concentrazione su contenuti specifici, se non supportata da uno specifico interesse, potrebbe indicare un atteggiamento difensivo («vedo solo cavalli per non vedere tutto il resto»). Esiste un sistema di catalogazione dei contenuti delle risposte che, con un certo grado di approssimazione, stabilisce diverse categorie. Di seguito se ne riportano alcune tra le tante: H = figure umane; (H) = figure umane ritratte, figure mitologiche e soggetti artistici («Gioconda»); Hd = parti di figure umane; (Hd) = parti di figure umane ritratte (la mano della «Gioconda»); AH = figure umane in parte animali come arpie, fauni o centauri; At = Parti del corpo in senso anatomico (potenzialmente legate sia ad alcune professioni specifiche, sia alla presenza di un disturbo ipocondriaco); Sesso = organi o attività sessuali; A = figure animali; (A) = animali di fantasia; At = anatomia animale; Cibi = contenuti relativi al cibo; Geo = concetti geografici; PI = piante o parti di piante; Obj = oggetti; Abs = concetti astratti («la felicità», «la depressione»). Si sottolinea che, per quanto concerne i concetti astratti, non per forza vi è un’associazione diretta tra stato d’animo e ciò che la persona vede nella figura. Se il soggetto legge «tristezza» nell’immagine, non per forza c’è correlazione diretta tra test di Rorschach e depressione. Ogni valutazione va sempre fatta al termine del metodo, dopo aver raccolto tutti gli elementi necessari per trarre delle conclusioni ben ponderate;
- Frequenza. Popolare o originale? L’alta frequenza di risposte originali può far pensare ad una certa originalità, che può tanto indicare tratti artistici, quanto tratti psicotici. D’altra parte un eccesso di risposte conformi e scontate può essere indice di un esagerato appiattimento o di un iper-adattamento. «Quale sarà la risposta giusta? Probabilmente quella che vedono tutti gli altri», ricordiamo però che non esistono risposte giuste o sbagliate. Ognuno ha la propria verità, ed è questo il motivo per cui il test di Rorschach continua a funzionare.
Fonte
- Beck, S. J. (1937). Introduction to the Rorschach method: A manual of personality study.
APA PsychNet - Exner Jr, J. E. (1991). The Rorschach: A comprehensive system: Interpretation, Vol. 2.
APA PsycNet - Klopfer, B., & Kelley, D. M. (1942). The Rorschach technique.
APA PsycNet