Gli elementi della comunicazione che vanno a definire la relazione sono vari e non si limitano allo scambio verbale, vi sono anche componenti non verbali e paraverbali che impattano sull’interazione. Ognuna di queste componenti ha un proprio peso ed una propria importanza, non c’è relazione senza comunicazione e non c’è psicoterapia senza relazione. Vedremo in questo articolo alcuni tra gli elementi base della comunicazione e cercheremo di estendere il ragionamento a tutte le relazioni.
IN BREVE
Indice
RELAZIONE E REAZIONE TERAPEUTICA
La psicoterapia è principalmente un intervento interpersonale e, in quanto tale, è stata spesso indicata come «talk therapy» nella sua storia. Tuttavia, nonostante il termine talk, la relazione interpersonale in terapia è gerarchicamente primaria rispetto alla parola. Gli elementi della comunicazione che vanno a definire la relazione sono vari e non si limitano allo scambio verbale. È vero che il paziente può mettere in atto su richiesta verbale del clinico molti comportamenti terapeutici durante la seduta di terapia o al di fuori della sessione, come un esercizio che comporta l’avvicinamento ad una situazione temuta. Ad esempio, ad una persona ansiosa nelle relazioni di coppia può essere insegnato a rapportarsi con un potenziale compagno romantico. Tuttavia, quello dell’esposizione alla situazione ansiogena non è altro che un suggerimento verbale che viene dato dal terapeuta solo quando la relazione con il paziente è sufficientemente forte. Non c’è terapia senza relazione, come un enzima è il catalizzatore della «reazione» terapeutica. La conversazione e gli insegnamenti sono solo mezzi e conseguenze.
La costruzione dell’alleanza
Dunque le psicoterapie non sono propriamente tecniche basate sulla parola, bensì sulla relazione. La parola è solo un mezzo di espressione e comunicazione, così come il disegno ed il gioco lo sono per i bambini. Ogni relazione è costituita da elementi comunicativi e questo articolo cercherà di spiegarne alcuni, in modo tale da rendere più chiara la base su quale si fonda l’efficacia terapeutica, o più in generale, relazionale. Dopotutto gli elementi fondamentali della comunicazione sono gli stessi anche per le quotidiane relazioni interpersonali. L’obiettivo del clinico è proprio quello di promuovere relazioni che aiutino le persone ad attuare cambiamenti terapeutici nelle loro vite, cambiamenti che non si potrebbero ottenere al di fuori della relazione. Se la relazione è veicolo dei cambiamenti, gli elementi della comunicazione interpersonale sono i vettori della relazione.
COMUNICAZIONE NON VERBALE E PARAVERBALE
La comprensione del modo con cui si sviluppano le relazioni è preliminare all’apprendimento delle abilità di diagnosi e di intervento, e può essere di grande aiuto per migliorare la socializzazione in senso lato. Cercheremo di essere schematici nello spiegare quali sono gli elementi della comunicazione, dal momento che ciascuno può essere incluso in una delle seguenti macro aree: ascolto attivo, risposta empatica e validazione.

L’ascolto attivo è forse la componente comunicativa che include più elementi. Implica l’essere presenti nella situazione di interazione con l’altra persona attraverso, soprattutto, il comportamento non verbale e paraverbale. Mantiene la comunicazione aperta, incoraggia l’espressione spontanea, comunica interesse e rispetto. Può manifestarsi attraverso elementi di comunicazione visiva, caratteristiche vocali, verbal tracking e linguaggio corporeo.
Quali sono gli elementi di comunicazione visiva?
Il semplice aspetto fisico degli interlocutori è un elemento comunicativo, così come lo sono l’abbigliamento, le espressioni emotive e lo sguardo. Il contatto visivo nello specifico è variabile da soggetto a soggetto ed è fortemente influenzato culturalmente. Generalmente la continuità del contatto visivo è preferibile durante la fase di ascolto, ma se nella cultura occidentale il mantenimento prolungato è considerato positivamente, in altre culture, ad esempio asiatiche, può essere fonte di imbarazzo. Comunque, per comprendere l’importanza generale del contatto visivo, si provi a vedere come ci i sente nel parlare di qualcosa di importante con le spalle di qualcuno o con una persona che guarda altrove… Tuttavia, un contatto prolungato può anche essere fastidioso o sfidante per molte persone, per questo motivo è importante cogliere i segnali che comunicano indirettamente disagio. Ad esempio il blinking caratteristico delle donne sotto osservazione prolungata da parte di un uomo è sinonimo di fastidio nell’essere scrutate, meglio smettere. Le risposte paraverbali sono innate ed automatiche e si pensa addirittura che possano essere la base dell’apprendimento nella prima infanzia. Il bambino che ricambia istintivamente il saluto dell’adulto verrà incoraggiato dalla madre a ripetere l’azione. Il pargolo dunque, cogliendo la positività nel suono della voce materna, sarà motivato a replicare l’atto.
Parlare per farsi ascoltare
Tra le caratteristiche vocali rientra ad esempio la paralinguistica. In quest’area troviamo le cosiddette interiezioni, ovvero frammenti del discorso che comunicano interesse, partecipazione e sottolineano particolari momenti dell’interazione dal punto di vista emozionale: ad esempio, «mh», «ah», «già», «si». Ai fini della comunicazione è altrettanto importante la prosodia, ovvero l’insieme di intonazione, volume, frequenza e ritmo nella lingua parlata. Ad esempio, Parlare lentamente, con un tono di voce gentile, ad un volume basso, incoraggia l’interlocutore ad esplorare i propri stati mentali, mentre parlare rapidamente, con un tono deciso e più sonoramente comunica credibilità ed autorevolezza. Il video seguente ha lo scopo di far comprendere l’importanza della prosodia nell’interazione umana. Si pensi ad un robot che parla meccanicamente rispetto all’intelligenza artificiale (IA) riportata di seguito. Chi sembra più umano?
Con verbal tracking si intende la ripetizione occasionale di parole o frasi dell’interlocutore. Indica presenza di attenzione sostenuta e partecipe, e quindi di un ascolto interessato. Le sue funzioni sono soprattutto quelle di rinforzare positivamente la libera espressione da parte dell’interlocutore e di marcare alcuni contenuti dialogici. Lo si immagini come un eco alla fine della frase che riprende la conclusione della frase stessa. Segue un semplice esempio:
- A: «Abbiamo litigato perché mi ha chiamato a tavola ma la cena non era pronta…»
- B: «La cena non era pronta?!»
La persona in questo modo si sente rinforzata sulle cose importanti per lei.
Postura e linguaggio corporeo
Nel dominio del linguaggio corporeo rientrano la cinesica (mimico gestuale), la prossemica (uso dello spazio) e l’aptica (contatto fisico, che tendenzialmente manca nelle relazioni professionali come quella psicoterapeutica, se non la stretta di mano all’inizio e alla fine).
- Un linguaggio corporeo positivo implica: protendersi lievemente verso l’interlocutore, mantenere una postura rilassata ma attenta, non utilizzare gambe, piedi, braccia e mani in modo «ostruttivo», rinforzare la comunicazione con la gestualità delle mani, non muoversi eccessivamente, esprimere le proprie emozioni con il volto, sintonizzarsi con le emozioni del paziente attraverso la mimica facciale (si parla di «mirroring», ovvero la ripetizione speculare dei movimenti altrui. A proposito di quest’ultimo punto, si pensi all’esperimento della still face utilizzato per studiare la reciprocità tra genitori e bambini. Il genitore che sorride quando il proprio figlio sorride, lo rende felice; il genitore che rimane impassibile quando il proprio figlio sorride, lo rende spaventato e frustrato. Parlare con una faccia statica e inespressiva è inquietante… non siamo fatti per socializzare con delle maschere o con delle bambole, abbiamo la necessità evolutiva di riconoscere le emozioni che si attivano nelle altre persone, al fine di comprendere le loro intenzioni. Quando ciò non accade, ci sentiamo giustamente spaesati e turbati;
- Tra gli elementi della comunicazione che generano negatività nel paziente troviamo: scarso contatto visivo, essere girati di 45 gradi o più rispetto all’interlocutore, essere coricati sulla poltrona, avere le braccia incrociate sul petto, avere le gambe incrociate davanti al paziente. Ovviamente non si prendano questi suggerimenti per legge perché ognuno ha il proprio modo di interpretare i segnali, e ciascun segnale ha più di una valenza. Ad esempio le braccia incrociate non indicano solo la classica «chiusura» a cui spesso si fa riferimento, ma anche stabilità e potenza, tant’è vero che nei dojo dove si pratica Ninpō, il Sensei è l’unico che può tenere liberamente le braccia incrociate. Agli allievi è richiesto di tenere le mani lungo le gambe oppure davanti al busto, ma non incrociate e non nascoste dietro la schiena. Mostrare le mani infatti lascia intendere rispetto e fiducia («non ho niente da nascondere»), al contrario, le mani nascoste possono potenzialmente contenere qualunque cosa. Per questa ragione se si entra in una gabbia di macachi con le mani nascoste si rischia di essere aggrediti, specialmente se nelle vicinanze ci sono dei cuccioli. Tuttavia la messa in atto e l’interpretazione degli stimoli corporei va sempre declinata nella situazione ed adattata agli interlocutori: la postura è molto esplicativa, ma le braccia incrociate, ad esempio, possono anche essere tali semplicemente perché la persona è più comoda così. «Comodità» è sinonimo di «agio», perciò può darsi che effettivamente ci si senta più comodi (quindi più a proprio agio) in chiusura, ma non per forza. La scomodità potrebbe essere anche non essere psicogena. È sempre bene interpretare gli elementi della comunicazione con attenzione e non acriticamente.
Risposta empatica e validazione
Con «risposta empatica» si indica la risposta agli stati emotivi dell’altro. È importante comunicare la ricezione dello stato mentale altrui. Se in terapia un paziente inizia a piangere senza motivo, solitamente poi è portato a scusarsi. Rimanere in silenzio dopo le sue scuse non è un atteggiamento gradito. Il paziente ha la necessità di capire che il suo stato d’animo è stato compreso e le sue scuse sono state accolte. Il silenzio finirebbe per creare imbarazzo. Si parla in generale di «validazione», ovvero l’accettazione genuina di ciò che è l’interlocutore in quanto persona unica e diversa da tutte le altre. Nell’ambito della mindfulness, l’atteggiamento validante coincide con la condizione di «essere mindful». Validare = partire dal presupposto che l’esperienza dell’interlocutore ha una validità intrinseca alla luce di come è fatta la persona e della sua vita, anche se non è condivisa dagli altri. Tutto ciò può essere tradotto con «non entrare mai in una logica giudicante».

Si pensi ad un bambino che ha paura che qualcuno possa entrare nella stanza per rapirlo: non è facile per il genitore comprendere la paura del figlio. È normale per lui considerarla un’idea assurda, ma è anche normale per il bambino avere delle paure irrazionali alla sua età. Il genitore accettante prenderà atto di questa cosa e resterà con il bambino fino a quando il piccolo non si sarà tranquillizzato, pur non condividendo la sua paura. Al contrario, un atteggiamento invalidante coinciderebbe con affermazioni tipo «che stupidaggine stai dicendo» = giudicare negativamente qualcosa che non si riesce a capire o condividere. Ciò che non si condivide o non si comprende non è per forza sbagliato.
La comunicazione non verbale con simulazioni robotiche
Dopo l’esempio di Google Duplex, ancora una volta le IA tornano utili per dimostrare l’importanza della comunicazione non verbale o paraverbale. Quando sono stati implementati i robot con delle nuove funzioni sempre più simili a quelle umane, è stato visto che i partner umani finivano per rispondere inconsciamente in maniera adeguata ad un’azione aggressiva del robot. In pratica, il robot che passava un oggetto all’umano con un atteggiamento scontroso, veniva interpretato davvero come ostile (Vannucci et al., 2018). Al contrario, era più facile fidarsi di lui se rispettava le regolarità del moto biologico pro-sociale. Grazie alla modulazione dei comportamenti umani è sufficiente che un robot compia un’azione affinché ne trasmetta il significato, senza proferire parola. Per questo motivo i robot umanoidi più aggiornati sono sempre equipaggiati con un sistema di espressione e simulazione delle espressioni facciali, perché la mimica in ambito sociale dice più di mille parole.
GLI ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE VERBALE
Tra gli elementi della comunicazione verbale rientra anche il silenzio, che di fatto è un’assenza di comunicazione verbale, una pausa nel flusso dialogico. È il meno direttivo dei comportamenti di ascolto. Indica calma, riflessione, disponibilità, attesa, invito a parlare. Tuttavia, al tempo stesso crea ansia, può essere inteso come un segnale di difficoltà nella relazione ed induce a parlare forzatamente. Per questa ragione due sconosciuti chiusi in ascensore finiscono per parlare a forza «della bella giornata che c’è fuori» o del «gran caldo che fa oggi», «ma tanto prima o poi arriverà la pioggia…». Si tratta di una componente fondamentale nel colloquio clinico: è necessario per mostrarsi disponibile all’ascolto e per consentire all’altro di parlare. La terapia non è molto diversa dalla musica: la musica, come il colloquio, è fatta da note, pause e turni, se uno strumento interviene quando non deve intervenire si crea disordine nella melodia e nell’interazione.
La parafrasi
Consiste nella riformulazione, breve e precisa, di contenuti espressi dal partner («in pratica mi stai dicendo che ieri ti sei arrabbiato perché quando ti hanno chiamato a tavola, il pranzo non era ancora pronto»). Possiamo vederla come un’estensione del verbal tracking. Non è altro che un test di sintonizzazione: «Se lui ha capito, allora posso continuare a parlare, non sto parlando a vuoto». Può essere di diversi tipi:
- La parafrasi semplice consiste soltanto nella riformulazione di ciò che l’interlocutore ha detto, cercando di andare a cogliere il nocciolo della comunicazione. A: «ieri è stato il mio giorno nero…sono stato in casa tutto il giorno passando da una poltrona a un divano. Avevo alcuni affari da sbrigare, ma non riuscivo a togliermi di torno divani e poltrone, darmi una mossa e uscire…»; B: «le giornate nere come ieri la inchiodano a casa…anche se lei non vorrebbe…»;
- La parafrasi sensory based si basa sulla identificazione dei termini usati dal paziente che hanno un riferimento sensoriale, consentendo di sintonizzarsi in maniera diretta con la percezione immediata che l’interlocutore ha della realtà. A: «sono qui per cercare di conoscermi meglio…di vedere più chiaro in me…come in uno specchio in cui uno si riflette…vedere meglio ciò che funziona e ciò che non va…»; B: «sì…vedersi meglio…avere una immagine più chiara di sé…». Sarebbe possibile dire «comprendersi meglio», ma se l’interlocutore preferisce vedersi anziché comprendersi, allora è bene sintonizzarsi sul suo linguaggio;
- Parafrasi metaforica. L’uso di metafore può aiutare a focalizzare in maniera estremamente efficace i temi più importanti della comunicazione. Da usare solo quando l’interlocutore è in grado di comprenderle (idem per i proverbi). A: «mia sorella è ossessionante! Condividiamo una stanza e lei continua a dirmi che devo mettere a posto le mie cose…che le cose si fanno come dice lei e non come dico io…che lei sa quali sono le regole per vivere decorosamente…»; B: «si sente in collegio…o in caserma…con un sergente che le sta addosso!». L’efficacia si nota subito dalla risposta. Se fosse «ci manca solo che si metta su la divisa» allora abbiamo fatto centro.
La riflessione degli stati d’animo
È in continuità con la validazione e va a completare la risposta empatica. Ha lo scopo primario di manifestare sintonizzazione emozionale. Ciò incoraggia l’espressione di ulteriori emozioni. In una situazione di accettazione si è liberi di esprimersi, al contrario, in una situazione giudicante, si tenderà alla chiusura. Si riesce a dormire solo quando si è tranquilli.
- A: «quando mi ha detto che mi lasciava mi sono sentito perso…mi mancava la terra sotto i piedi…»;
- B: «si è sentito precipitare nel vuoto…»;
- A: «sì…senza speranza…».
Comprendere la sofferenza
Gli elementi della comunicazione che riguardano la comprensione della sofferenza e la validazione delle esperienze aiutano a considerare un qualsiasi stato d’animo come un evento umanamente condivisibile, riducendo il rischio di giudizi negativi che l’interlocutore può emettere su di sé. Difatti, una persona che sta male dal punto di vista psichico, corre il rischio di essere invalidata dall’ambiente e da sé stessa; in altre parole l’ambiente potrebbe non essere in grado di entrare in sintonia con quello che lei sta provando, e lei di conseguenza potrebbe ritenersi stupida nel provare una cosa non condivisa da altri. Cercheremo di spiegare il concetto con un esempio estremo. Ciò che provano il paziente delirante e il paziente depresso, È REALE, altrimenti se non lo fosse non lo proverebbero. Far notare loro il contrario con frasi del tipo «la vita è bella», «datti una svegliata» oppure «piantala, stai delirando», contribuisce solo al peggioramento della situazione. «La tua vita è bella, non la mia» / «Mi dici che sto delirando; vuoi farmi credere che sia pazzo e che la CIA non mi sta spiando! Maledetto! Anche tu sei della CIA! Pensavo di potermi fidare di te. Ti uccido!».

Il sentimento di giudizio, conseguente all’incomprensione, coincide con l’invalidazione. A questo consegue l’auto-invalidazione, ovvero la sfiducia rispetto alla realtà e a sé stessi, come conseguenza dei propri stessi insuccessi. Se da una parte c’è il paziente che si auto-invalida sulla base dei propri fallimenti, dall’altra c’è la società che lo invalida perché non conforme con quanto ritenuto «normale». In verità ogni stato d’animo è prodotto da qualcosa (la storia del paziente, la sua struttura biologica, le sue esperienze). Esiste ed in quanto tale è valido. È valido ciò che è reale. Dunque come può essere criticabile il reale? Criticare lo stato d’animo deflesso di una persona in difficoltà sarebbe come criticare il fatto di vedere un tavolo in cucina. Sminuire la sofferenza di una persona non la aiuta a risolvere il problema, al massimo la aiuta a reprimerlo e a peggiorarlo. Il giudizio non aiuta di certo a creare legami di affetto, e senza legami di affetto non c’è relazione. Ciò che dovremmo fare è validare quello che generalmente viene invalidato. Gli elementi della comunicazione descritti precedentemente possono essere di grande aiuto per dimostrare validazione e comprensione, e quindi per rafforzare il legame tra due persone.
IL MODELLO GENERALE DI RELAZIONE
Fino ad ora sono stati dati dei suggerimenti basilari al fine di facilitare lo sviluppo delle relazioni, ma si sottolinea che, affinché funzioni, la messa in atto di questi comportamenti deve essere spontanea e non meccanica o forzata. Il bravo attore è quello che dà l’illusione di essere il personaggio; colui che fa sparire sé stesso nel ruolo. Un cattivo attore cerca di essere credibile, ma semplicemente recita, mette in atto la scena in funzione del copione. Affinché una relazione sia spontanea e non fittizia, è necessario che includa tutti gli elementi della comunicazione tipici della relazione naturale, tra questi anche il litigio e la discussione.
L’importanza del litigio
Ogni relazione naturale, con chiunque, è dinamica. È impossibile mantenerla stabile e positiva sempre. Le persone fanno di tutto per intendersi e per collaborare, ma è inevitabile che prima o poi vi siano rotture, incomprensioni e litigi. Secondo alcuni autori come Safran e Muran, oppure Kohut (2009), l’aspetto problematico della relazione affettiva è importante nell’evoluzione della relazione stessa, perché il fatto di affrontarlo e ripararlo fa crescere il rapporto. Kohut nello specifico parlò di optimal frustration, secondo lui un livello ottimale di frustrazione era quello che garantiva una crescita ulteriore della relazione. Le rotture sono utili per svelare ciò che non ha funzionato anche se sembrava che funzionasse. Servono per affrontare e per correggere. Senza affronto e confronto non può esserci correzione, senza correzione non può esserci risoluzione e assestamento su un livello più alto di funzionamento.

Tutti gli elementi della comunicazione che abbiamo descritto fino ad ora va non si riferiscono alla sola relazione terapeutica, ma vanno a costituire un modello generale delle relazioni umane. In tutte le relazioni è normale che dopo un certo periodo si arrivi ad un discreto livello di insoddisfazione. Non esiste la perfezione nella relazione, si arriva sempre ad un momento di rottura che fa venire fuori tutto ciò che fino a quel momento si è deteriorato inconsapevolmente (o consapevolmente se ce lo si è fatto andare bene). Il litigio però non è un evento triste se lo si vede come qualcosa che consente di andare a lavorare su quello che si è danneggiato per poterlo riparare. Le rotture sono elementi che facilitano l’interazione tanto quanto quelli verbali e non verbali; ogni rottura è ben accetta, ma è da prendere con consapevolezza e filosofia, non con rabbia e opposizione.
Fonte
- The restoration of the self. University of Chicago Press.
Kohut, H. (2009). - Vannucci, F., Di Cesare, G., Rea, F., Sandini, G., & Sciutti, A. (2018, November). A robot with style: can robotic attitudes influence human actions?
IEEE Xplore - Nonverbal communication. Routledge.
Mehrabian, A. (2017).