Gli anticorpi monoclonali sono particolari tipi di anticorpi che stanno prendendo piede come soluzione terapeutica per svariate patologie a cui ancora non è stato trovato rimedio. Ma viene da chiedersi: sono sempre sicuri ed efficaci?
IN BREVE
Indice
ANTICORPI MONOCLONALI: COSA SONO?
Gli anticorpi monoclonali (dall’inglese monoclonal atibodies, MAb) sono particolari tipi di anticorpi diretti contro un solo antigene (molecola in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario come estranea o potenzialmente pericolosa), che possono essere prodotti in quantità illimitata grazie a tecniche di immunologia cellulare ed ingegneria genetica (DNA ricombinante) a partire da un unico tipo di cellula immunitaria. Il razionale che ha portato alla loro nascita parte dalla ormai radicata consapevolezza che il sistema immunitario rappresenta la nostra difesa contro vari agenti infettivi causa di diverse forme patologiche. I suoi due componenti principali sono la risposta immunitaria umorale (anticorpo-mediata) e cellulare (cellulo-mediata). Il sistema immunitario umorale, che comprende i linfociti B, riconosce il tipo di antigeni estranei “invasori” e produce anticorpi specifici contro di essi. Le caratteristiche principali di un anticorpo? La sua elevata specificità per l’antigene e la sua garanzia di fornire una resistenza continua a quel particolare tipo di antigene. Le loro caratteristiche uniche li hanno resi, da anni ormai, baluardi sfruttati dalla ricerca per la protezione degli esseri umani contro le malattie. A questo punto è facilmente intuibile il meccanismo d’azione degli anticorpi monoclonali: possiedono un’affinità altamente specifica per un determinato tipo di antigene e si legano ad esso, innescando così una marcata risposta immunitaria nei confronti di quella tossina, proteina, mediatore chimico, cellula maligna o agente patogeno che costituisce il target della terapia.
Nomenclatura e classificazione degli anticorpi monoclonali
I nomi internazionali non proprietari (International Nonproprietary Names, INN, che identificano un nome generico ufficiale dato ad un composto farmaceutico) decisi per gli anticorpi monoclonali prevedono un prefisso, una sotto-radice A ed una sotto-radice B (o sub-stems, erroneamente anche chiamate infissi) ed un suffisso. La desinenza utilizzata per indicare tutti gli anticorpi monoclonali è -mab. La sotto-radice A indica l’animale da cui è stato ottenuto l’anticorpo ed è preceduta dalla sotto-radice B che fornisce informazioni sul target (molecola, organo o cellula che sia). In linea di massima, per la sotto-radice A, è prevista una singola lettera (ad esempio la -u- è rappresentativa per l’uomo, la -o- per il topo, -xi- chimerico, -zu- umanizzato) mentre per la sotto-radice B vi sono un insieme di lettere e, per raffinare la pronuncia, dove vi sia un’iniziale con -x/z è contemplata una vocale aggiuntiva. Come vengono classificati? Una classificazione degli anticorpi monoclonali è stata necessaria in seguito alla modernizzazione delle svariate tecniche di ingegneria che hanno portato alla loro creazione. I tipi di anticorpi monoclonali così prodotti possono avere principi simili ma diversi obiettivi e applicazioni. Inoltre, la scelta di un metodo piuttosto che un altro per la loro produzione può essere guidata da diversi fattori, tra cui lo scopo dell’applicazione stessa, la disponibilità e l’efficacia.
- Anticorpi monoclonali murini: derivano interamente da cellule di topo. L’utilizzo degli anticorpi murini prodotti dalla tecnologia dell’ibridoma nella terapia clinica è limitato, a causa delle differenze esistenti tra il sistema immunitario umano e quello murino. Ciò si traduce in un consequenziale fallimento terapeutico, fatta eccezione per qualche particolare circostanza. Inoltre, la loro continua somministrazione è spesso alla base di reazioni allergiche e, nei casi peggiori, di shock anafilattico. L’OKT3 (conosciuto con il nome commerciale di Muromab) è stato il primo anticorpo monoclonale murino ad essere approvato nel 1986 per l’uso clinico con la finalità di ridurre la risposta immunitaria acuta nei soggetti sottoposti a trapianto d’organo agendo sull’antigene CD3. Tuttavia esso fallì proprio a causa di una grave risposta anticorpale.
- Anticorpi monoclonali chimerici: sono prodotti dalla combinazione di “ingredienti genetici” appartenenti ad esseri umani e non umani (topi). La loro creazione avviene attraverso la manipolazione genica delle sequenze appartenenti alle regioni costanti umane ed a quelle variabili murine. Per ridurre notevolmente i rischi, posseggono circa il 65% di componenti genetici umani.
- Anticorpi monoclonali umanizzati: derivano principalmente da cellule umane (per il 95% ca.) ad eccezione della parte dell’anticorpo che si lega all’antigene bersaglio. Sono stati anche considerati farmaci naturali grazie al loro margine di sicurezza relativo alla loro attività in vivo.
- Anticorpi monoclonali umani: provengono interamente da cellule umane. Sono piuttosto difficili e costosi da ottenere, infatti spesso vengono creati solo per reingegnerizzare un anticorpo monoclonale murino.
Come vengono prodotti gli anticorpi monoclonali?
La loro produzione ha inizio, come già detto, nel 1986. L’invenzione dell’ibridoma per produrre gli anticorpi monoclonali fu fatta da Georges Kohler e Cesar Milstein nel 1975 i quali vinsero per questo il Premio Nobel nel 1984. Gli ibridomi, in particolare, sono cloni di linee cellulari ottenute fondendo cellule spleniche di topo, in grado di produrre un anticorpo, con cellule di linfoma rese immortali. La produzione di un anticorpo monoclonale attraverso la tecnica dell’ibridoma prevede i seguenti steps:
- Un topo viene immunizzato mediante iniezione di un antigene X per stimolare la produzione di un anticorpo diretto contro l’antigene X stesso.
- Le cellule responsabili della produzione degli anticorpi vengono isolate dalla milza della cavia.
- Gli anticorpi monoclonali vengono successivamente prodotti fondendo una singola cellula che produce anticorpi con cellule tumorali cresciute in coltura.
- La cellula che ne deriva costituisce l’ibridoma. Ogni ibridoma produce quantità relativamente elevate della medesima molecola anticorpale.
- Facendo moltiplicare l’ibridoma in coltura è possibile ottenere una popolazione di cellule che producono tutte lo stesso anticorpo.
Per le ragioni spiegate pocanzi l’impiego della tecnica dell’ibridoma, che porta alla realizzazione di anticorpi monoclonali 100% di origine murina, dovette essere superata. La realizzazione di anticorpi completamente umani fu resa possibile solo dallo sviluppo di tecniche che utilizzavano fagi (virus che infettano esclusivamente i batteri e sfruttano il loro apparato biosintetico per effettuare la replicazione virale) o più recentemente topi transgenici. In particolare, la produzione di anticorpi monoclonali umani con l’impiego di topi transgenici, è così scandita:
- In cellule staminali embrionali di topo vengono inattivati i geni preposti alla sintesi delle catene pesanti e leggere degli anticorpi murini.
- con queste cellule si generano topi omozigoti che avevano perso la capacità di formare anticorpi murini.
- In altre cellule staminali embrionali di topo si introducono i geni per la sintesi degli anticorpi umani.
- Con queste ultime cellule si creano topi transgenici in grado di produrre sia anticorpi umani sia anticorpi di topo.
- A questo punto, i topi che perdono la loro capacità di produrre gli anticorpi di topo s’incrociano con i topi transgenici (con anticorpi sia umani sia di topo).
- Da questo incrocio si ottiene un ceppo di topi in grado di produrre anticorpi completamente umani e incapace di produrre quelli murini.
- I topi vengono immunizzati e dalla loro milza si isolano le cellule-B in grado di produrre anticorpi.
- Le cellule-B vengono fuse con linee cellulari rese immortali ottenendo degli ibridomi.
- La tecnologia degli ibridomi è stata, infine, utilizzata per produrre anticorpi monoclonali completamente umani.
Questa tecnologia è particolarmente vantaggiosa dal punto di vista produttivo, perché ogni ibridoma può produrre grandi quantità di anticorpi identici completamente umani, può essere coltivato indefinitamente e selezionato per identificare anticorpi con la specificità, l’affinità e l’attività mirata desiderate.
QUALI SONO GLI USI TERAPEUTICI DEGLI ANTICORPI MONOCLONALI?
I recenti progressi dell’ingegneria genetica hanno reso possibile la terapia con anticorpi monoclonali, identificando nuovi target e migliorando l’efficacia per l’utilizzo nella pratica clinica. Gli anticorpi monoclonali utilizzati in terapia possono essere suddivisi in base alla loro attività. Principalmente essi erano stati pensati per le terapia anticancro e la lotta alle patologie autoimmuni. Ben presto, però, ci si è resi conto che essi possono trovare svariati campi di applicazione. A tal proposito, oltre che al “classico” utilizzo a scopo clinico, che verrà approfondito nei prossimi paragrafi, essi trovano impiego anche nel campo diagnostico per rilevare a presenza di un determinato antigene e, se necessario, perfino per misurarne la quantità. possono essere impiegati per individuare agenti batterici o virali, particolari tipi di proteine o cellule e markers tumorali. Ma più nel dettaglio, quali sono le loro potenzialità? E perchè nel 2021 sono così ambiti?
Azione antibatterica/antivirale degli anticorpi monoclonali
Il primo trattamento efficace contro le malattie infettive fu la somministrazione di sieri iperimmuni provenienti da animali immunizzati o da donatori umani. Anche se questo approccio è stato ampiamente sostituito con il trattamento antibiotico, rimane ancora utile per il trattamento delle malattie infettive, comprese quelle causate dal citomegalovirus e dal virus dell’epatite A e B. Quali sono i vantaggi dell’utilizzo degli anticorpi monoclonali per il trattamento delle infezioni rispetto all’utilizzo dei sieri iperimmuni? La bassa variabilità da lotto a lotto, il basso rischio di trasmissione di agenti patogeni e nessuna complicazione immunologica associata all’uso di sieri eterologhi. Il primo anticorpo monoclonale approvato per una malattia infettiva è stato il palivizumab (Synagis), usato per la prevenzione di gravi malattie respiratorie dovute al virus respiratorio sinciziale nelle popolazioni ad alto rischio. Questo anticorpo monoclonale inibisce la replicazione del virus e riduce la frequenza della malattia grave nei neonati prematuri. Un altro esempio è ibalizumab (Trogarzo), approvato nel 2018 per il trattamento dell’infezione da HIV-1 multi resistente ai farmaci. Esso è stato il primo nuovo farmaco per il trattamento dell’HIV approvato in oltre un decennio e agisce come un inibitore post-attaccamento legando i recettori CD4 e bloccando l’ingresso virale nelle cellule T CD4+ dell’ospite. Non solo, i ricercatori hanno dimostrato che questo tipo di agenti terapeutici potrebbero potenzialmente prevenire l’effettiva colonizzazione dello Streptococcus mutans nei casi di carie dentale. Con l’identificazione di nuove sub-unità peptidiche (epitopi) dello Streptococcus mutans, i farmaci a base di anticorpi monoclonali potrebbero essere usati per trattare efficacemente queste condizioni. Inoltre, è in corso lo sviluppo di anticorpi monoclonali per il trattamento della malattia causata dal virus dell’Ebola, epatite B e C ed il virus herpes simplex. Diversi sono inoltre gli studi in corso che cercano di validare il trattamento con gli anticorpi monoclonali per la Covid-19. Il loro bersaglio è la glicoproteina di superficie spike che media l’ingresso del virus nelle cellule ospiti. Essenzialmente tutti gli anticorpi monoclonali di interesse hanno come bersaglio questa proteina. L’infezione virale è mediata dall’interazione tra lo spike virale ed il recettore dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE 2) che si trova su numerosi tipi di cellule, ma gli anticorpi monoclonali neutralizzanti bloccherebbero questo evento. Sebbene le conoscenze attuali stiano aumentando sugli epitopi presenti sulla proteina spike della SARS-CoV-2, la conoscenza precedente di altri coronavirus umani ha facilitato rapidi progressi nella comprensione della struttura a livello atomico della proteina spike. La maggior parte degli anticorpi monoclonali isolati fino ad oggi hanno come obiettivo specifico il dominio di legame al recettore sulla proteina spike che permette alla SARS-CoV-2 di entrare in contatto con il recettore ACE. Tuttavia, sulla base delle conoscenze attuali del SARS-CoV e del coronavirus della sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS-CoV), è probabile che gli anticorpi neutralizzanti possano colpire anche altre regioni della proteina spike. Inoltre potrebbero funzionale sia per il trattamento che per la prevenzione della malattia. Attualmente, in Italia, le prime somministrazioni terapeutiche per il trattamento del coronavirus con anticorpi monoclonali sono state avviate presso l’istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani.
Attività antinfiammatoria ed immunosoppressiva degli anticorpi monoclonali
Gli anticorpi monoclonali hanno rivoluzionato il trattamento delle malattie autoimmuni e diversi di essi sono stati lanciati negli ultimi tre decenni per il trattamento di queste condizioni. Le patologie autoimmuni sono caratterizzate dall’attivazione di linfociti autoreattivi CD4+ nei linfonodi periferici, dove le cellule T interagiscono con le cellule presentanti l’antigene (APC) e le cellule B. Le cellule T attivate proliferano e migrano nel parenchima dell’organo bersaglio, dove il riconoscimento dei ligandi endogeni porta alla produzione di citochine e molecole pro-infiammatorie, con conseguente danno cellulare e progressione della malattia. Questo tipo di agenti possono mirare a diverse componenti del sistema immunitario per sopprimere le risposte eccessive che caratterizzano le malattie autoimmuni. Alcuni dei loro meccanismi per il trattamento di tali patologie includono il blocco e la deplezione delle cellule T e/o delle cellule B, l’inibizione dell’interazione tra cellule T e cellule presentanti l’antigene, il blocco del reclutamento delle cellule T e B, il blocco della differenziazione o attivazione delle cellule T ed il blocco delle citochine pro-infiammatorie. Quest’ultimo rappresenta l’approccio più utilizzato, in particolare l’uso degli anticorpi monoclonali contro il TNF-α (citochina con un ruolo essenziale nell’autoimmunità che induce vasodilatazione e infiammazione). Questi anticorpi sono stati utilizzati per la terapia dell’artrite reumatoide da più di un decennio e mostrano efficacia anche nell’artrite psoriasica, la malattia di Crohn, la colite ulcerosa, la psoriasi e la spondilite anchilosante. Farmaci a base di anticorpi monoclonali appartenenti a questo gruppo sono: l’infliximab (Remicade®, Remsima®, Inflectra®) e l’adalimumab (Humira®). Inoltre, a questo gruppo appartiene anche l’omalizumab (Xolair®), il cui target è costituito dalle IgE umane e trova impiego nel trattamento dell’asma allergica.
Attività antitumorale degli anticorpi monoclonali
Un certo numero di anticorpi monoclonali sono stati sviluppati per il trattamento di varie neoplasie, compresi i tumori ematologici e i tumori solidi. Il primo approccio è l’uso degli anticorpi monoclonali per colpire gli antigeni tumorali ed uccidere, di conseguenza, le cellule tumorali. I principali bersagli degli anticorpi monoclonali terapeutici anticancro sono i recettori dei fattori di crescita, sovraespressi nelle cellule neoplastiche, così come i membri della famiglia del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), compresi EGFR e HER2. Gli anticorpi monoclonali bloccano questi recettori riescono ad impedire sia il legame che l’attivazione della trasmissione del segnale, riducendo il tasso di crescita delle cellule tumorali, inducendo l’apoptosi e sensibilizzando i tumori alla chemioterapia. Un esempio di questo approccio terapeutico è rappresentato dal blocco del recettore HER2 da parte del trastuzumab (Herceptin) ed altri anticorpi monoclonali utilizzati per il trattamento del cancro al seno HER2-positivo. Il recettore HER2 è, infatti, sovra-espresso nel 30% dei tumori invasivi del seno. Il trastuzumab inibisce la dimerizzazione e l’internalizzazione del recettore, portando alla distruzione endocitica del recettore ed all’attivazione della risposta immunitaria. Altri targets, oltre ai fattori di crescita, includono antigeni di differenziazione ematopoietica (CD20, CD30, CD33, CD52), ovvero glicoproteine presenti sulla superficie delle cellule normali e tumorali. Per esempio, il rituximab (Rituxan), un anticorpo monoclonale usato per i disordini linfoproliferativi, mira al CD20, un marcatore delle cellule B che porta alle interazioni tra una porzione del recettore FcγR espresso sulle cellule immunitarie e la regione Fc dell’anticorpo monoclonale. L’attivazione FcγR-dipendente delle cellule immunitarie causa il rilascio di mediatori infiammatori, uccidendo direttamente e/o avviando la fagocitosi delle cellule bersaglio opsonizzate. Gli anticorpi monoclonali possono anche essere usati per il delivery selettivo di radioisotopi alle cellule tumorali. Un esempio è Ibritumab tiuxetan (Zevalin), un anticorpo monoclonale marcato con ittrio 90 o indio 111, usato per il trattamento del linfoma non-Hodgkin. Altri anticorpi monoclonali prendono di mira il microambiente tumorale, con effetti quali l’inibizione dell’angiogenesi. Per esempio, il bevacizumab (Avastin) blocca il legame dei fattori di crescita dell’endotelio vascolare, che sono sovra-espressi in vari tipi di cancro, al recettore nell’endotelio vascolare inibendo l’angiogenesi. Un altro approccio per le terapie anticancro basate su mAbs è il targeting delle cellule immunitarie. Essi vengono chiamati anche inibitori del checkpoints immunitari ed il loro compito è, appunto, quello di migliorare le risposte immunitarie antitumorali. I principali inibitori bersagliano l’antigene associato ai linfociti T citotossici 4 (CTLA-4) e alla proteina di morte cellulare programmata 1 (PD-1)/PD1 ligando (PD-L1).Il CTLA-4 può essere espresso dalle cellule T regolatorie che infiltrano le lesioni tumorali, e media l’immunosoppressione inibendo le funzioni delle cellule T. Il blocco di CTLA-4 ripristina la funzione delle cellule T in grado di eliminare le cellule maligne. Il farmaco a base di un anticorpo monoclonale Ipilumab (Yervoy), anti-CTLA4, è stato approvato per il melanoma avanzato nel 2011. La coppia recettore-ligando PD-1/PD-L1 regola negativamente le risposte immunitarie mediate dalle cellule Te può essere usata dai tumori come un meccanismo di evasione delle risposte immunologiche mediate da queste cellule. Nivolumab (Opdivo), un inibitore di PD-1, e atezolizumab (Tencentriq), un inibitore di PD-L1, sono esempi di mAbs sono degli esempi approvati per il trattamento di vari tipi di cancro. Un altro checkpoint immunitario attualmente in fase di studio per il trattamento del cancro è CD40. Ma a differenza di quelli precedentemente citati è uno stimolatore dei checkpoint immunitari. Questo recettore è un membro della famiglia dei recettori del TNF espresso dalle cellule B e dalle APC. L’attivazione di questo recettore sulle APC porta all’attivazione di cellule T citotossiche specifiche per il tumore. In questo caso, gli anticorpi monoclonali in fase di sviluppo per colpire questo recettore (ad esempio, dacetuzumab, Seattle Genetics) sono agonisti, anche se la loro efficacia clinica è stata finora limitata.
Trattamento dell’emicrania con gli anticorpi monoclonali
L’emicrania è una condizione cronica comune caratterizzata da attacchi ricorrenti di forte mal di testa con sintomi associati come la sensibilità alla luce ed al suono, nausea, vomito e disturbi neurologici focali. I nuovi trattamenti anticorpali per l’emicrania (eptinezumab, fremanezumab, galcanezumab ed erenumab) sono promettenti e basati su meccanismi che sembrano essere efficaci in più studi e popolazioni, anche se raggiungere il risultato della riduzione di almeno 50% degli episodi di emicrania rimane difficile. Il peptide legato al gene della calcitonina (CGRP) sembra svolgere un ruolo importante nella fisiopatologia dell’emicrania attraverso meccanismi nocicettivi nel sistema trigemino-vascolare. I quattro anticorpi poc’anzi citati hanno come bersaglio proprio il CGRP. I primi tre sono anticorpi monoclonali umanizzati che si legano potentemente e selettivamente al CGRP, mentre l’ultimo è l’unico anticorpo monoclonale che mira al recettore CGRP invece del suo ligando. Tutti loro sono stati studiati nei clinical trials per il trattamento preventivo dell’emicrania episodica. Ancora però tanto è il lavoro da fare in quest’ottica anche se primi incoraggianti risultati si stanno avendo anche in Italia dove alcune tipologie di pazienti stanno ricevendo il trattamento con anticorpi monoclonali presso il Centro Cefalee della Fondazione Mondino IRCCS di Pavia.
QUALI PROBLEMI NASCONDONO E CHE FUTURO ATTENDE GLI ANTICORPI MONOCLONALI?
Il concetto che tutti gli agenti terapeutici possiedono effetti indesiderati è applicabile anche agli anticorpi monoclonali. Questi variano da lievi a gravi a seconda della classe a cui appartengono ed alla modalità di somministrazione. Una lieve reazione allergica (rash) può comparire con la prima somministrazione di anticorpi monoclonali. Altri effetti collaterali frequentemente riscontrati sono debolezza, mal di testa, febbre, diarrea, vomito e nausea e, talvolta, diminuzione della pressione sanguigna. Il Bevacizumab, utilizzato per contrastare l’angiogenesi tumorale, può presentare numerosi effetti collaterali, alcuni dei quali includono insufficienza renale, sanguinamento con scarsa guarigione delle ferite e pressione alta. Lniezione con Raxibazumab, approvato dall’FDA per il trattamento dell’antrace inalatorio infettivo è anche associata a rash, grave prurito, dolore estremo e sonnolenza. Davvero pochi degli anticorpi monoclonali regolati dall’FDA sono attualmente disponibili sul mercato mentre un grande numero è in fase di sviluppo. Il costo degli anticorpi monoclonali è sempre stato molto elevato facendoli diventare inaccessibili ai più. Tuttavia, data l’elevata domanda, sono stati compiuti passi per trasformare il modo in cui gli anticorpi monoclonali vengono prodotti e commercializzati. Alcuni farmaci (ad esempio Bevacizumab) dopo un uso ripetuto sono risultati ampiamente disponibili e più economici di altri agenti (ad esempio Ranibizumab), pur dimostrando un’efficacia simile. La ragione risiede nella competizione esistente tra un anticorpo monoclonale migliorato ed un prodotto precedentemente stabilito, che richiede una valutazione clinica comparativa. Le prospettive future degli anticorpi monoclonali prevedono miglioramenti e modifiche che possano ridurre i loro effetti collaterali. Gli anticorpi monoclonali possono anche essere ulteriormente modificati per avere effetti migliori, coniugandoli con molecole effettrici. Tra questi sforzi rientrano l’utilizzo di topi transgenici (quali gli XenoMouse) col fine di ridurre i rischi legati alle differenze genetiche. Inoltre, con la finalità di aumentare l’efficacia degli anticorpi monoclonali, gli anticorpi sono stati trattati con glicole propilenico mentre con la tecnica del phage display si è riusciti ad aumentare lo sviluppo e l’affinità degli anticorpi per un determinato target. Alla luce di quanto detto, tuttavia, ancora sono davvero tanti gli sforzi da portare avanti affinché gli anticorpi monoclonali diventino un reale trattamento, accessibile a tutti, per le patologie che ancora oggi non riescono ad essere facilmente trattate. L’unica certezza è che la ricerca non fermerà la sua battaglia per rendere ciò possibile.
Fonte
- Monoclonal antibodies: A review of therapeutic applications and future prospects
Tropical Journal of Pharmaceutical Research - Monoclonal Antibodies: A Review
Current Clinical Pharmacology - Monoclonal Antibodies for Migraine Prevention Progress, but Not a Panacea
American Medical Association