Come si formano i cristalli di neve, e perché hanno quella forma ramificata? Come vedremo, in realtà, ne esistono tante altre diverse, ciascuna che si forma in particolari condizioni di temperatura e umidità relativa dell’ambiente esterno. Si parlerà anche del “complotto delle palle di neve in plastica”.
IN BREVE
Indice
CRISTALLI DI NEVE, CURIOSITÀ E NEGAZIONISMI
La neve è un evento che ha da sempre affascinato i più, tra cui anche gli scienziati che sin dall’antichità hanno approfondito il fenomeno. Guardandola al microscopio, vedreste che essa è formata da “cristalli di neve”, ossia molecole di acqua ghiacciata orientate in un certo modo specifico, ordinate e simmetriche. Intanto, capiamo subito una differenza fondamentale. I cristalli di neve sono diversi dai fiocchi di neve: questi ultimi, infatti, si formano quando più cristalli, nella loro “danza” mentre scendono dalle nuvole verso il suolo, si incontrano e si aggregano tra loro. Se guardaste i cristalli di neve al microscopio, notereste delle figure altamente simmetriche, ma tutte diverse: è impossibile trovare due cristalli di neve identici, e il motivo verrà spiegato più avanti. Vi siete mai chiesti perché i fiocchi di neve sono bianchi? Ebbene, quando la luce solare bianca li illumina, viene rifratta (leggi: deviata) internamente tante e tante volte dai cristalli, finché non riemerge indietro: al nostro occhio arriva dunque la stessa luce bianca. Se siete interessati a sapere meglio come funziona la struttura dell’occhio e come reagisce alla luce, potete approfondire all’articolo sulle lenti EnChroma. Un’ultima chicca prima di addentrarci nell’argomento: ogni tanto (ri)compaiono immagini di alcuni negazionisti che gridano al complotto delle palle di neve fatte in plastica, poiché non fondono quando riscaldate con l’accendino e, invece, si anneriscono. Il complotto è smontato coi seguenti punti:
- il ghiaccio di cui è fatta la palla ha un’alta capacità termica, quindi quando la si prova a riscaldare ci metterà un po’ a fondere, specialmente se grande;
- il punto a diretto contatto con la fiamma, raggiungendo temperature più elevate e ben oltre i 100°C, passerà direttamente allo stato gassoso, quindi non si vedrà fondere;
- l’annerimento è dato dal combustibile liberato dall’accendino stesso e non completamente bruciato, andandosi a depositare sulla palla stessa.
L’ORIGINE DEI CRISTALLI DI NEVE
Le prime osservazioni risalgono a millenni fa, in particolare nel 135 a.C., da parte di un certo Han Yin che notò che, mentre solitamente i fiori portano cinque punte, la maggior parte dei cristalli di neve ne hanno sei. Comunque, il primo studio sistematico fu fatto agli inizi del ‘600 da Keplero (il cui ambito di ricerca principale era l’astronomia, ma era uno scienziato poliedrico e trattò anche i cristalli solidi). Keplero intuì che i cristalli di neve erano per la maggior parte a sei punte perché così le molecole d’acqua di cui sono composti si trovano in uno stato energetico più stabile e compatto. Molto probabilmente, questa idea gli venne in mente poco dopo aver letto la lettera del suo amico Thomas Harriot, arruolato nell’esercito di Sir Walter Raleigh, poeta e corsaro inglese. Questa storia ci fa capire come molte scoperte derivino proprio dalla risoluzione di un problema reale. Infatti, Sir Raleigh ordinò a Harriot di capire come disporre le palle di cannone in modo da essere il meno ingombranti possibile sulla nave. Harriot individuò che la disposizione ottimale era proprio quella esagonale: così, le palle erano sistemate nella maniera più compatta. Questa scoperta piacque così tanto a Harriot che ne scrisse a Keplero in una lettera e, grazie a questa informazione, quest’ultimo fornì una spiegazione al magico fenomeno della neve. Ma esattamente, come si formano i cristalli di neve?
Come si formano i cristalli di neve?
Tutto ha origine, com’è intuibile, all’interno della nuvola. Questa è formata essenzialmente da vapore ad un certo valore di umidità relativa, ossia il rapporto tra la pressione effettiva e la pressione di vapore a quella temperatura, superata la quale il vapore condensa in goccioline d’acqua. Per comprendere meglio questo concetto, date uno sguardo a questo diagramma di stato dell’acqua:
La condizione di umidità e temperatura rappresenta un punto nel diagramma, localizzato nella regione dove sta scritto “Vapore”. Supponete, adesso, che la temperatura scenda, pur mantenendo la stessa umidità relativa: nel grafico vi sposterete in orizzontale verso sinistra, come in figura. Se l’escursione termica è moderata e il punto di arrivo si trova nella regione del “Liquido”, allora si ha semplicemente condensazione del vapore. Ad essere pignoli, non tutto il vapore condensa, bensì solo una parte finché la pressione non scende (spostamento verticale), fino a toccare la linea del diagramma Liquido-Vapore. Invece, se la temperatura cala bruscamente, lo spostamento orizzontale è tale da passare nella zona del solido e lì il vapore brina, cioè passa direttamente dallo stato di vapore a ghiaccio (analogamente a prima, questo vale solo per una parte). Detta in termici più tecnici, per chi fosse curioso: il vapore all’interno della nuvola, quando la temperatura scende, si trova in condizioni di supersaturazione (o sovrasaturazione) e, per rimediare a questa condizione di instabilità, condensa o brina finché non si ristabilisce la pressione del vapore “appropriata” per la nuova temperatura (ossia la linea del diagramma). Questo processo può essere facilitato se nella nuvola sono già presenti dei cosiddetti nuclei glaciogeni, ossia delle “basi” allo stato solido, come il pulviscolo atmosferico o addirittura microrganismi (batteri e funghi), che fungono da stampo su cui far cristallizzare le molecole d’acqua. La tecnologia si è spinta a tal punto che è possibile inseminare artificialmente le nuvole per indurre precipitazioni in maniera controllata: in questo caso, si può iniettare un sale insolubile nelle nuvole, lo ioduro di argento, inducendo il brinamento e successiva precipitazione.
L’ESPANSIONE DEI CRISTALLI DI NEVE
Pensate che sia già finito il processo? Vi sbagliate, perché questo è solo l’inizio. Immaginando di guardare i cristalli di neve al microscopio, quello che vedreste adesso sarebbe solo la loro parte centrale, comunemente di forma esagonale. Le altre molecole di vapore si attaccano sulla base centrale e la espandono. Il motivo per cui la base è solitamente ad esagono è per via della geometria dell’H2O: un “compasso” con al centro l’atomo di ossigeno e ai lati quelli di idrogeno, che formano un angolo poco più ampio di 90°. Grazie a questa peculiare forma, le molecole d’acqua trovano più conveniente “assemblarsi” a formare un esagono (dietro c’è tutto un gioco di energie che spingono le molecole, in determinate condizioni, a comportarsi così). Da qui, le altre molecole che sopraggiungono si legano più facilmente ai vertici di questo esagono, essendo più esposti rispetto ai lati, e da lì ramificano nelle forme più disparate, rendendo ancora più sporgenti i vertici e aumentando le probabilità che altro vapore vi si leghi. Come già anticipato all’inizio, osservando dei cristalli di neve nelle foto, si nota che le ramificazioni sono simili nello stesso ma diversi da cristallo a cristallo. Questo lo si spiega col fatto che la forma dei rami dipende dalle precise condizioni di temperatura e umidità, sia all’interno della nuvola, sia nel tragitto che compiono i cristalli di neve verso il suolo, durante la precipitazione. Quindi, lo stesso cristallo attraversa le stesse condizioni meteo, mentre un qualsiasi altro ne attraverserà delle altre differenti, anche di poco. Infine, i cristalli di neve (anche in forma di fiocchi) che arrivano sul suolo possono parzialmente fondere e formare il manto nevoso. Non è detto che arrivino perché, se gli strati che attraversano sono abbastanza caldi, fondono e si trasformano in goccioline d’acqua.
La forma dei cristalli di neve
Abbiamo capito dunque che i cristalli di neve hanno forma diversa a seconda delle condizioni di temperatura e umidità. Ukichiro Nakaya, negli anni del 1930, si dedicò a studiarli nelle diverse condizioni ambientali. Il motivo per cui lo fece era molto semplice: l’Università di Hokkaido, in Giappone, non aveva molti fondi per la ricerca, ma vivendo in un luogo dove in inverno nevica tantissimo, aveva a disposizione tutti i cristalli di neve che voleva. Fu lui a intuire che i cristalli di neve hanno forma differente, tanto da volerli studiare in modo più sistematico. Dunque, costruì una camera per produrre artificialmente i cristalli di neve, usando come nuclei glaciogeni dei peli di coniglio. Il suo studio lo portò a elaborare il seguente diagramma, che permette di prevedere che forma assumeranno i cristalli di neve in funzione delle condizioni ambientali, nonché di distinguere alcune categorie, come i cristalli piatti, a colonne, i dendriti e le cavità:
Come mai, secondo voi, sull’asse orizzontale ci sono valori di temperatura molto sotto gli 0°C (fino a -35°C)? A questa temperatura l’acqua dovrebbe ghiacciare formando i cristalli di neve… solo se in presenza “dell’aggancio” di cui si è parlato prima (il nucleo glaciogeno). Ma se assente, l’acqua non ha appigli da cui cominciare a solidificare e sono necessarie temperature molto più basse dello 0. Si parla, in questo caso, di soprafusione. I cristalli vanno da dimensioni veramente piccole, quanto lo spessore di un capello umano (vengono chiamati “cristalli di polvere di diamante”), fino a 10 mm (il più grande mai registrato).
Fonte
- The physics of snow crystals
IOPscience - A Short Course in Cloud Physics
R.R. Rogers, M.K. Yau