Con «clinical trial», traduzione letterale di «sperimentazione clinica», si indica il passaggio obbligatorio che devono attraversare e superare le nuove terapie prima di essere approvate e validate dalla comunità scientifica. Nasce nell’ambito della farmacologia, ma presto si espande fino a raggiungere la medicina comportamentale e la psicoterapia.
IN BREVE
CLINICAL TRIALS: COSA SONO?
Con «clinical trial», traduzione letterale di «sperimentazione clinica», si indica il passaggio obbligatorio che devono attraversare e superare le nuove terapie prima di essere approvate e validate dalla comunità scientifica. La scienza, nonostante la sua oggettività, non ha disinteresse per l’uomo. Implica senza dubbio onestà del dato, ma non impone che quel dato non debba essere messo al sevizio dell’essere umano. Essa identifica ed è identificata da un processo empirico di acquisizione e crescita delle conoscenze, che successivamente possono essere utilizzate dall’umanità per il proprio benessere, sotto forma, ad esempio, di farmaci o terapie. Il clinical trial è lo step fondamentale grazie al quale una nuova terapia può essere considerata valida ed effettivamente efficace. Nasce nell’ambito della farmacologia, ma presto si espande fino a raggiungere la medicina comportamentale e la psicoterapia.
Se al farmaco viene facilmente associata l’idea di sperimentazione clinica, la stessa facilità non c’è nell’associare il clinical trial alla psicoterapia. Cosa c’è da sperimentare in psicologia? Non ci sono pastiglie, né compresse da assumere, eppure le diverse psicoterapie (perché la psicoterapia non è unica) possono avere effetti diversi su pazienti diversi. Allo stesso modo il medico può consigliare un trattamento piuttosto che un altro a seconda della tipologia di paziente e di malattia. Il clinical trial è quel processo sperimentale che permette di sapere per cosa è meglio optare al fine di ottenere la massima resa terapeutica. Per questo tipo di paziente è meglio la compressa alfa o la compressa beta? È meglio la psicoterapia 1 o la psicoterapia 2?
Da un lato il rigore del metodo scientifico…
Restiamo in ambito psicologico. Si iniziò a parlare di psicologia sperimentale con la creazione del laboratorio psicofisico di Lipsia nella seconda metà dell’800, fu allora che la psicologia si convertì al metodo scientifico utilizzato anche dalle altre scienze:
- Definizione del problema;
- Formulazione delle ipotesi (anche e soprattutto in termini di falsificazione);
- Raccolta e analisi dei dati;
- Elaborazione delle conclusioni.
Come ogni scienza, anche la psicologia vive di quello che non sa. È intrinsecamente progressiva e controintuitiva (nemica del senso comune), ovvero si fida di quello che resiste alla falsificazione e alla prova della replicabilità. Il suo scopo è quello di mettere alla prova le ipotesi del ricercatore. La scienza in generale funziona per accumulo di evidenze, e mira a dare risposte quanto più fondate e valide possibile, fino a quando non vengono confutate. In clinica medica e psicologica l’obiettivo è quello della prevedibilità (e relativa certezza) delle risposte comportamentali e terapeutiche. Un farmaco non viene somministrato se è risaputo che potrebbe creare più problemi che soluzioni. È per rispondere a questa esigenza che nasce l’RCT (Randomized Clinical Trial, Clinical Trial Randomizzato), il procedimento sperimentale standard che mette alla prova l’efficacia di un trattamento con lo scopo di massimizzare l’effetto benefico che questo può avere sul paziente.
…Dall’altro l’incertezza della probabilità
Il clinical trial ci consente di ottenere una terapia ad hoc per ciascun paziente? Ci consente di creare farmaci e di elaborare psicoterapie con un’efficacia del 100%? La risposta ad entrambe le domande è «no», quantomeno non ancora. L’obiettivo della scienza clinica è quello di raggiungere un livello tale di conoscenze da poter assegnare a ciascun paziente la propria terapia unica, personalizzata, e perfettamente funzionante, tuttavia ad oggi ancora non possiamo contare su una tale certezza e precisione terapeutica. Il metodo scientifico è probabilistico, usa il dubbio per trovare certezze, o meglio soluzioni «meno incerte», ma non ancora scontate. Una terapia funziona nel 90% dei casi, nell’80%, ma mai nel 100%. Ci sarà sempre il paziente che non trarrà beneficio da quel particolare farmaco o da quella particolare psicoterapia, è un’imprescindibile questione di probabilità. Gli RCT hanno lo scopo di identificare la terapia meno dubbia e probabilisticamente più sicura, ma non hanno la presunzione di poterne trovare una la cui efficacia è del 100%.
Per quanto il rigore del metodo scientifico dia l’illusione di solidità e certezza inequivocabile, anche le scienze dure come la fisica si sono dovute arrendere con il tempo all’incertezza della probabilità, si pensi ad esempio alla teoria quantistica. Questa nuova prospettiva della scienza non mette in dubbio quella deterministica dei secoli passati, ma la completa. Soprattutto nella pratica clinica, ci sarà sempre una quota di variazione non prevedibile, legata agli errori casuali (il modo di essere di un paziente, la composizione chimica del farmaco, il rapporto con il terapeuta, l’interazione tra tutti questi elementi…). In pratica il gioco della ricerca scientifica (quantomeno quella dei nostri giorni) non consiste nel trovare certezze, bensì nel minimizzare la quota di errore.
RCT PER L’INTERVENTO TERAPEUTICO
Ricordiamo che gli RCT nascono nel mondo farmacologico, ma si diffondono presto ad ogni ambito dell’intervento terapeutico. Fondano le cosiddette evidence-based psychology ed evidence-based medicine, di conseguenza le farmacoterapie e le psicoterapie basate sulle evidenze. Richiedono molto tempo e disegni sperimentali stringenti, con campioni ampi, ma generalmente sono estremamente validi ed affidabili. Sono la ragione grazie alla quale farmaci e psicoterapie sono così efficaci. Mentre i farmaci sono di recente realizzazione e sono sempre stati associati ad una fase di sperimentazione, gli interventi psicoterapeutici vengono portati avanti dall’uomo sin dall’inizio dei tempi. Mentre prima venivano messi in atto senza che ci fosse una vera e propria consapevolezza da parte dello «sciamano», oggi si tenta di comprenderne i processi sottostanti e verificarne l’effettiva efficacia, proprio come fossero medicinali. Specialmente grazie alla nascita del pensiero cognitivista, l’inconscio è diventato sempre di più un meccanismo indagabile, seppur implicito (basti pensare all’implicit-association test). Tuttavia ancora oggi l’approccio in psicoterapia è troppo aneddotico e poco sperimentale (in altre parole basato sul caso singolo e non sul campione sperimentale), eppure il vento sta lentamente cambiando.
Psicoterapie basate sulle evidenze
Già nel 1936 Rosenzweig era in grado di affermare che ci fossero dei fattori comuni a diverse psicoterapie responsabili del loro stesso esito favorevole – la cosiddetta conclusione dell’Uccello Dodo, dalla celebre citazione di Lewis Carroll: «Everybody has won, and all must have prizes» –. Le psicoterapie sembravano funzionare con diversi pazienti, ma non erano ben chiari il motivo e le regolarità con le quali queste si adattavano meglio ad una persona piuttosto che all’altra. Quasi quarant’anni dopo, Luborsky e Singer (1975) pubblicarono la prima meta-analisi di studi comparativi tra psicoterapie bona fide, ovvero basate su modelli terapeutici senza manualizzazione rigida, con principi che venivano messi in atto in buona fede, trovando che le terapie dell’epoca (dinamiche, comportamentali e cognitive) avevano efficacia equivalente: la stessa conclusione a cui arrivò Rosenzweig senza studi sperimentali.
Oggi sappiamo che alcuni pazienti preferiscono tecniche hot processing (fondate sull’emotività), altri cool processing (fondate sulla cognizione), ed è questa la ragione per cui prima o poi tutti trovano la terapia migliore per loro stessi. Ognuno opta per la psicoterapia preferita, per questo motivo in media sono tutte funzionali: ciascuna è adatta al suo paziente. Tuttavia, nonostante tale consapevolezza sia ben chiara a tutti i clinici, non vi sono ancora sufficienti studi sperimentali che assegnino con relativa certezza una terapia specifica ad una specifica tipologia di paziente. Si procede ancora perlopiù per tentativi e speranze di efficacia, fatta eccezione per alcune terapie super-specializzate come la DBT (Dialectical Behaviour Therapy), pensata appositamente per i pazienti con disturbo borderline di personalità.
L’importanza del placebo
In soldoni, il placebo è quella sostanza senza principio attivo che viene somministrata al paziente in sostituzione del trattamento reale. Generalmente il paziente è all’oscuro di tutto e continua a credere di assumere il farmaco che si aspetta. Può capitare che, per suggestione, con questa somministrazione si ottenga un effetto simile a quello che si otterrebbe con il farmaco, tuttavia i due effetti, quello reale e quello placebo, non saranno mai completamente sovrapponibili. Non c’è niente da fare, nella maggior parte dei casi se manca il principio attivo, l’esito del trattamento differisce. Per il clinical trial, di tipo farmacologico o psicologico, il placebo ha una grande utilità. Funge da controllo, ma nel caso della psicoterapia prende il nome di treatment as usual (TAU). Indica una terapia non strutturata, fondata unicamente sulla relazione, senza alcuno scopo clinico vero e proprio. Dagli studi, come per i farmaci, emerge che TAU ha un effetto significativo, seppur inferiore a quello delle terapie strutturate. Il confronto con il trattamento placebo è sempre di grande importanza per gli RCT dal momento che consente di capire se un trattamento è davvero efficace oppure se ha solo l’effetto di una terapia «finta».
Clinical trial: fasi e risultati
I tempi, soprattutto in ambito biofarmaceutico, sono molto lunghi affinché sia possibile garantire un prodotto efficace e sicuro. L’investimento medio stimato per lo sviluppo di un farmaco è dell’ordine di 2,6 miliardi di dollari. Non si avanza con le fasi della sperimentazione successive se le precedenti non validano l’ipotesi scientifica di partenza. Il tasso di successo si aggira intorno al 12%: dunque su 100 farmaci proposti, solo 12 vengono approvati. Dobbiamo immaginare il clinical trial come un setaccio nel quale vengono inseriti tutti i nuovi farmaci sviluppati: pochissimi riescono ad attraversare il collo di bottiglia e procedono verso le fasi sperimentali successive. Seguono le tappe di sviluppo e validazione di ogni nuovo medicinale:
- Dalla ricerca di base nascono tante nuove idee terapeutiche;
- Viene identificato il principio attivo e lo si converte in farmaco sperimentale;
- Successivamente si passa ad una fase di sperimentazione pre-clinica che inizia a sfoltire in laboratorio l’albero dei nuovi farmaci. Molti di questi non riescono neanche a raggiungere lo step successivo: il trial clinico vero e proprio;
- Clinical trial: si articola in tre fasi ed esamina solo le terapie che hanno superato con successo la tappa precedente. (1) Nella prima fase il trattamento viene testato su un campione clinico composto da decine di soggetti; (2) Nella seconda fase il campione si amplia: vengono coinvolti centinaia di volontari; (3) Il medicinale raggiunge la terza ed ultima tappa del trial clinico solo le precedenti sperimentazioni hanno avuto successo. In questo caso arriviamo ad avere studi specializzati nella sicurezza e nell’efficacia condotti su migliaia e migliaia di soggetti;
- Da un farmaco che ha completato tutte le fasi, deriva un volume da circa 100.000 pagine, anch’esso da revisionare ed approvare;
- Se l’FDA (Food and Drug Administration) approva finalmente l’unico farmaco tra le migliaia proposte, allora si passa alla fase 4 della sperimentazione durante la quale vengono condotti studi di monitoraggio e di accertamento dell’efficacia sul lungo termine.
Ogni anno vengono condotte centinaia di clinical trials su centinaia di nuovi medicinali, ma solo un numero esiguo di essi raggiunge le ultime fasi della sperimentazione. Per avere un’idea della notevole quantità di ricerche condotte è sufficiente digitare «clinical trial gov» su Google ed aprire il primo link. Clinicaltrials.gov è un servizio sviluppato dall’NIH (National Institutes of Health) che mette a disposizione di tutti un database con migliaia di trial clinici, una grande risorsa per la ricerca! Sono sempre di più le riviste e le organizzazioni focalizzate sui clinical trials (ad esempio il Council of Harmonisation of Technical Requirements for Pharmaceuticals for Human Use, in breve ICH). Ne impediscono il mal uso e ne controllano il rigore metodologico. Mentre prima il clinical trial era utilizzato solo da alcuni gruppi, oggi l’operazione è diventata globale e condivisa, nell’interesse della salute umana. I dati vengono condivisi e resi trasparenti.
Titolare una psicoterapia?
Ahimè, buona parte delle psicoterapie non si basa sui meccanismi eziologici sottostanti alle traiettorie evolutive atipiche, ma si fonda ancora su un misto di aneddotica, single cases, pensiero di autori precedenti appartenenti alla corrente, ecc… si tratta di una visione ideologica, non scientifica. Così come la titolazione del farmaco (mg per ogni chilo) viene definita durante la fase pre-clinica, per la psicoterapia il numero di sedute e la sua organizzazione in generale dovrebbero essere discusse nella stessa fase, non in funzione dei chili, ma in funzione della specifica traiettoria evolutiva di ciascuno. Nell’ambito delle scienze del comportamento gli RCT (perlopiù comparativi) hanno senza dubbio molti pro, ma non è possibile garantirne il doppio cieco come nel caso della farmacologia. Doppio cieco è quella condizione sperimentale dove né lo sperimentatore né il soggetto sperimentale conoscono la natura del trattamento; mira a ridurre al minimo la quota di errore (dovuto ad esempio all’effetto placebo). Quando il cieco non funziona, si parla di metodo open-label, largamente diffuso in psicoterapia, dove per forza di cose almeno lo sperimentatore deve conoscere che tipo di terapia sta erogando in quanto il clinico in un certo senso è esso stesso la terapia.
Verso la medicina di precisione
Un primo punto centrale per rendere la psicoterapia ancor più evidence-based è quello di riuscire a portare la logica e la «stringenza» del disegno sperimentale nell’ambito delle tecniche di trattamento. Una seconda questione riguarda la tipologia di RCT: in psicologia sembrano esserci solo superiority trials che si limitano ad indagare quale psicoterapia funziona meglio tra tutte. Sappiamo però che in psicologia non c’è una tecnica più valida di altre in senso assoluto, ognuna è adatta per il proprio tipo di paziente… Sarebbe utile investire in RCT di altro tipo, che confrontino le tecniche per determinare quali hanno una minor quantità di effetti collaterali e/o quali sono meno costose. RCT non significa necessariamente superiority trial. L’obiettivo ultimo è quello della medicina di precisione, ovvero la specializzazione delle terapie per ogni tipologia specifica di paziente. Ogni paziente è diverso dagli altri, geneticamente, patologicamente ed in termini di sviluppo. L’ambizione è quella di rendere le terapie ad hoc per ciascuno. Gli RCT hanno ovviamente un ruolo fondamentale nel testing e nella realizzazione di questo grande progetto.
Fonte
- Hill, A. B. (1952). The clinical trial.
New England Journal of Medicine - Dyer, C., & Joseph, S. (2006). What is an RCT?
Taylor & Francis Online