Cosa vuol dire evoluzione convergente? È il processo attraverso cui, organismi molto diversi ed evolutivamente lontani sviluppano caratteristiche e strutture morfologiche simili. Il mondo animale e vegetale è pieno di esempi, dalle pinne, alle ali, passando ad aspetti ecologici, come le abitudini alimentari delle piante, o l’andatura bipede nei primati. Approfondiamo questo processo e analizziamo le differenze con altri processi simili.
IN BREVE
Indice
- 1. CHE COSA SIGNIFICA EVOLUZIONE CONVERGENTE? VEDIAMO ALCUNI ESEMPI
- 1.1 La radiazione adattativa: una spinta o un freno per l’evoluzione convergente?
- 2. OMOLOGIA, ANALOGIA E OMOPLASIA: FACCIAMO CHIAREZZA
- 2.1 Il parallelismo: “percorrere” strade parallele per arrivare allo stesso punto
- 3. CONVERGENZA EVOLUTIVA E DIVERGENZA EVOLUTIVA: LA VARIABILITÀ DELL’EVOLUZIONE
- 4. EVOLUZIONE CONVERGENTE E RUOLO DELLA GENETICA
- 4.1 Il caso dei mammiferi marini
CHE COSA SIGNIFICA CONVERGENZA EVOLUTIVA? VEDIAMO ALCUNI ESEMPI
Quando si parla di evoluzione convergente, è utile iniziare con un esempio: tartarughe, delfini, squali, pesci, pinguini, cos’hanno in comune? Le pinne. Eppure sono animali molto diversi: abbiamo mammiferi, uccelli, rettili, pesci. E quindi perché presentano tutti delle pinne? A causa del processo di convergenza evolutiva. Questo fenomeno spiega infatti perché alcune caratteristiche simili sono presenti in specie molto diverse tra loro e/o molto distanti evolutivamente. Un altro esempio? Pensiamo alle ali: il macaone, l’aquila arpia, lo pterosauro, il calabrone gigante, il pipistrello gigante, tutti questi organismi hanno le ali, nonostante siano completamente diversi. Anche in questo caso, insetti, mammiferi, uccelli e rettili, organismi molto diversi e non in parentela, che sono stati sottoposti alle stesse pressioni evolutive vivendo in ambiente simili, hanno evoluto nel tempo strutture simili con la stessa funzione, il volo, in questo caso. La convergenza evolutiva riguarda anche le piante? Ovviamente sì, la convergenza evolutiva non riguarda solo gli animali, ma anche le piante infatti: sono un esempio le piante carnivore. La loro abitudine alimentare si è evoluta in diversi gruppi di piante diverse non vicine evolutivamente. La convergenza evolutiva si verifica quindi in organismi lontani dal punto di vista evolutivo, in cui, nonostante abbiano seguito un percorso evolutivo unico, le loro strade convergono verso un modello simile, come la pinna o l’ala. Foche, delfini, squali sono organismi diversi con storie diverse, ma tutti hanno dovuto sviluppare una struttura adatta al nuoto con una forma idonea per l’ambiente acquatico, come le pinne. Lo stesso discorso vale per le ali in pipistrelli, aquile, farfalle. La convergenza evolutiva si è verificata anche nella preistoria? Sì, questo processo ovviamente si è verificato anche in passato. Tra i primati ad esempio, l’andatura bipede è un tratto che ha sempre distinto poche specie, soprattutto ominidi. Tuttavia, secondo alcuni studi, l’andatura bipede è comparsa già 20 milioni di anni fa, in una specie (Morotopithecus bishopi) simile agli odierni scimpanzé. Le vertebre, le scapole e l’anca di questa specie infatti erano molto simili a quelle di scimpanzé e gorilla, che possono assumere un’andatura bipede per alcuni tratti. L’evoluzione di queste strutture anatomiche quindi potrebbe essere un caso, nella preistoria, di convergenza evolutiva.
La radiazione adattativa: una spinta o un freno per l’evoluzione convergente?
Molto spesso il fenomeno dell’evoluzione convergente è associato ad un altro processo: la radiazione adattativa. Questo termine si usa per descrivere la rapida diversificazione di una specie ancestrale in diverse nuove specie, ciascuna in grado di occupare una propria nicchia ecologica. Ci sono diversi esempi classici: i fringuelli di Darwin, nelle Galapagos, 13 specie diverse, tutte originatesi da una specie ancestrale, e che evolvendosi hanno evoluto ciascuna delle peculiarità che hanno permesso alle diverse specie di limitare la competizione. In questo caso si parla di divergenza evolutiva, in quanto le specie, partendo da un antenato comune, si evolvono differenziandosi. Ma c’è un altro esempio interessante, che ci riguarda da vicino: i mammiferi. Infatti 65 milioni di anni fa i mammiferi erano pressoché organismi simili a roditori. In seguito alla scomparsa dei dinosauri, i mammiferi hanno avuto a disposizione tutte le nicchie lasciate libere dalle specie estinte, e si sono così potuti evolvere diversificandosi, in modo da occupare tutti gli spazi lasciati vuoti nell’ecosistema. I processi di radiazione adattativa possono fare in modo che specie che non hanno nulla in comune evolvano delle caratteristiche simili per occupare e sopravvivere nello stesso habitat.

OMOLOGIA, ANALOGIA E OMOPLASIA: FACCIAMO CHIAREZZA
A volte quando due specie hanno strutture simile, è perché le strutture derivano dalla stessa struttura presente nell’antenato comune delle due specie. In questo caso si parla di omologia, e i due caratteri in questione possono definirsi omologhi. Tuttavia, spesso nei casi di evoluzione convergente, gli arti o le strutture simili hanno una somiglianza per analogia: in questi casi la somiglianza non è dovuta ad un antenato comune, ma ad una stessa funzione. Gli organi o le strutture che hanno la stessa funzione ma che non derivano dalla presenza di un antenato comune si definiscono quindi analoghi. Questo è il caso della pinna di una foca, di un delfino e di uno squalo. O dell’ala di un pipistrello e di un uccello. La somiglianza morfologica di due arti o di alcune strutture può però essere dovuta anche ad altri processi, oltre all’analogia, come nel caso del mimetismo. In generale, si può quindi parlare di omoplasia: la somiglianza tra due organi o due strutture non dovuta a omologia. La somiglianza dovuta all’analogia, come detto, può presentarsi in caso di convergenza evolutiva, ma anche nel caso di parallelismo.
Il parallelismo: “percorrere” strade parallele per arrivare allo stesso punto
Nel caso del parallelismo, le strutture analoghe compaiono in specie evolutivamente vicine, già molto simili tra loro. Le specie in questo caso seguono strade simili e parallele che conducono ad una stessa struttura o uno stesso organo, perché presenti anche in questo caso in ambiente con condizioni simili. Un esempio in questo caso arriva dal mondo degli anfibi: le ventose presenti sulle zampe delle rane sono un caso di parallelismo, e queste strutture si sono sviluppate indipendentemente in molte specie arboricole perché favoriscono l’adesione ai substrati. Ma anche i grandi felini, comprese le specie ora estinte, possono essere un esempio.

CONVERGENZA EVOLUTIVA E DIVERGENZA EVOLUTIVA: LA VARIABILITÀ DELL’EVOLUZIONE
L’evoluzione divergente è per certi versi il processo opposto all’evoluzione convergente: questo processo si osserva quando alcune caratteristiche o strutture si diversificano nel corso dell’evoluzione a partire da un comune antenato. Per comprendere meglio questo processo è utile anche in questo caso usare un esempio: gli arti dei vertebrati. Gli arti dei vertebrati infatti oggi si sono evoluti e diversificati a livello funzionale e anatomico, come in braccia, zampe, ali, eppure derivano da un unico arto ancestrale di un antenato comune. Un altro esempio riguarda invece i mammiferi e i loro arti anteriori: braccia nell’uomo, zampe nei canidi, pinne nelle balene, ali nei pipistrelli. Strutture molto diverse, ma che se guardate dal punto di vista anatomico e strutturale, lasciano intravedere somiglianze. Queste somiglianze indicano proprio che tutti questi arti derivano in realtà da un unico arto, che si è evoluto e differenziato in base all’ambiente in cui la specie ha vissuto e in base alle sfide imposte dall’ambiente. I mammiferi in generale, oggi sono molto diversificati, ma nonostante questo mantengono ancora delle caratteristiche comuni, ad indicare un discostamento da un antenato comune. Per certi versi quindi la divergenza evolutiva è un processo opposto alla convergenza evolutiva, perché se la convergenza produce caratteristiche simili in specie molto diverse e lontane evolutivamente, la divergenza produce caratteristiche diverse in specie più o meno vicine dal punto di vista evolutivo.
EVOLUZIONE CONVERGENTE E RUOLO DELLA GENETICA
L’evoluzione delle somiglianze fenotipiche tra le specie, nota come convergenza, illustra che le popolazioni possono rispondere in modo prevedibile alle sfide ecologiche. La convergenza spesso deriva da cambiamenti genetici simili, che possono emergere in due modi: l’evoluzione di mutazioni simili o identiche in linee indipendenti, che è chiamata evoluzione parallela; e l’evoluzione in linee indipendenti di alleli che sono condivisi tra le popolazioni, chiamata evoluzione genetica collaterale. L’evoluzione fenotipica convergente spesso deriva da cambiamenti genetici simili in specie indipendenti mediante un processo noto come evoluzione parallela. La convergenza evolutiva è un particolare caso di evoluzione: come sempre, il motore principale di questo fenomeno, sono le mutazioni, e questo vale anche nel caso della convergenza evolutiva, che spesso è preceduta da mutazioni simili negli stessi geni, o nelle stesse proteine. Si passa poi lentamente da questo cambiamento genetico ad un cambiamento fenotipico. Un caso interessante riguarda la resistenza ai glicosidi cardiaci, delle molecole prodotte da alcuni anfibi e da alcune piante. Questi composti si legano alle pompe sodio-potassio (Na+/K+ ATPasi), per questo sono stati valutati proprio gli aminoacidi che compongono alcune porzioni di queste pompe, in diversi gruppi di organismi: rettili, mammiferi, insetti e anfibi. I risultati sono chiari: i gruppi resistenti a questi composti presentano le stesse mutazioni negli stessi punti. Le due mutazioni identiche comportano una sostituzione tra aminoacidi con cariche diverse, e sarebbe proprio questa modificazione della carica complessiva della pompa sodio-potassio, a determinare la resistenza ai glicosidi cardiaci.

Il caso dei mammiferi marini
Sebbene ci siano potenzialmente diverse vie genomiche per raggiungere lo stesso cambiamento fenotipico, come abbiamo visto, si ritiene che i tratti fenotipici convergenti possano comunemente derivare dagli stessi cambiamenti genetici. Per verificare questa ipotesi, uno studio ha comparato le sequenze dell’intero genoma di quattro specie di mammiferi marini: il tricheco (Odobenus rosmarus), il tursiope (Tursiops truncatus), l’orca (Orcinus orca) e il lamantino delle Indie Occidentali (Trichechus manatus latirostris). I mammiferi si sono evoluti per abitare l’ambiente marino in più occasioni indipendenti. Cetacei (balene, delfini e focene) e sirenidi (lamantini e dugonghi) sono emersi durante l’Eocene attraverso la diversificazione rispettivamente dai Cetartiodactyla e Afrotheria. I pinnipedi (foche, leoni marini e trichechi) emersero invece circa 20 milioni di anni dopo durante il Miocene dall’interno dei Carnivori. Nonostante le loro origini evolutive indipendenti, pinnipedi, sirenidi e cetacei condividono una serie di adattamenti fenotipici alle sfide patogene, locomotorie, termiche, sensoriali, comunicative e anaerobiche di un’esistenza acquatica, compresi gli arti adattati al nuoto, la densità ossea adattata per gestire la galleggiabilità e un grande riserva di ossigeno totale rispetto alle dimensioni del corpo. Lo studio ha analizzato la convergenza molecolare tra queste specie a due livelli: in primo luogo, identificando i geni codificanti proteine che si evolvono sotto selezione positiva in tutti e tre gli ordini; in secondo luogo, cercando sostituzioni di amminoacidi convergenti codificate all’interno di questi geni.

Sono così stati identificati 15 geni sotto selezione positiva. Le analisi hanno rivelato 44 sostituzioni di amminoacidi parallele non sinonime lungo queste linee di mammiferi marini. Inoltre sono state trovate 15, delle 44 sostituzioni identiche di amminoacidi, codificate all’interno di geni che si evolvono sotto selezione positiva in almeno una linea. La maggior parte dei 15 geni sotto selezione positiva hanno note associazioni funzionali che suggeriscono un ruolo nell’evoluzione fenotipica convergente nelle linee dei mammiferi marini. I mammiferi marini inclusi nello studio appartengono a tre ordini di mammiferi tassonomicamente distanti, perciò le cause della convergenza evolutiva non vanno ricercate nella parentela. Sostituzioni identiche de novo devono quindi essersi verificate indipendentemente in ciascun gruppo durante l’evoluzione da un antenato terrestre. Il confronto dei genomi dei mammiferi marini ha evidenziato cambiamenti molecolari paralleli nei geni che si evolvono sotto selezione positiva, associati a convergenza fenotipica adattativa, avvenuta in modo indipendente. Si ipotizza che l’evoluzione adattativa possa favorire un sottoinsieme distorto delle sostituzioni disponibili, per massimizzare il cambiamento fenotipico, e questa ipotesi potrebbe spiegare queste scoperte sull’evoluzione molecolare convergente tra i mammiferi marini. Questi dati indicano quindi che, sebbene un’evoluzione fenotipica convergente possa derivare da un’evoluzione molecolare convergente, questi casi sono rari, e l’evoluzione convergente può essere ottenuta in diverse strade molecolari.
Fonte
- Anatomia comparata, edi-ermes.
Stingo et al., 2016 - Ujvaria et al., 2015. Widespread convergence in toxin resistance by predictable molecular evolution.
Pnas - Stern D. L., 2013. The genetic causes of convergent evolution.
Nature Reviews Genetics - Foote et al., 2015. Convergent evolution of the genomes of marine mammals.
Nature Genetics