È possibile innestare ricordi artificiali falsi di eventi mai vissuti? Sembra fantascienza, eppure l’impresa è già stata compiuta, non solo da Cobb e la sua squadra nel film Inception. «Ricordo» è solo un’immagine mentale nella testa di chi lo pensa? Non solo, il fondamento della memoria non è immateriale, le suddette immagini mentali sono conseguenza di ciò che avviene al livello biochimico nel substrato biologico che siamo soliti chiamare cervello.
IN BREVE
BASI MOLECOLARI DELLA MEMORIA
È possibile innestare ricordi artificiali falsi di eventi mai vissuti? Sembra fantascienza, eppure l’impresa è già stata compiuta, non solo da Cobb e la sua squadra nel film Inception. Quando si parla di ricordi, si tende a rimanere su un piano piuttosto astratto, «ricordo» è un’immagine mentale nella testa di chi lo pensa oppure un aneddoto nelle parole di chi lo racconta. In realtà il fondamento della memoria non è immateriale, le suddette immagini mentali sono conseguenza di ciò che avviene a livello biochimico nel substrato biologico che siamo soliti chiamare cervello. Facciamo un esempio semplice ma efficace, nel mondo possiamo trovare persone più abili di altre nell’apprendere nuove abilità, ricordare eventi di vita, racconti… La memoria di questi individui sembra avere una marcia in più, i loro ricordi sono più vividi non per «fortuna», ma perché qualcosa al livello genetico-molecolare li rende diversi dagli altri sul piano delle abilità cognitive.
Un gene della memoria
Per semplificare il quadro parleremo di un singolo gene della memoria, in realtà i geni che intervengono nella formazione dei ricordi sono tanti e diversificati. Il risultato visibile è frutto della loro interazione, intervenire su una sola variabile del sistema, porta ad un esito complessivo differente. Per questa ragione, se anche solo il gene in questione subisse una modifica, questa coinvolgerebbe l’intero sistema nervoso, portando ad un outcome fenotipico differente. In questo paragrafo parleremo di NR2B, una proteina codificata dal gene GRIN2B. NR2B potrebbe essere il nome di un robottino, oppure del N-methyl D-aspartate (NMDA) Receptor subtype 2B. Purtroppo però oggi non parleremo di Star Wars ma di molecole: NR2B è una delle proteine coinvolte nei processi di plasticità sinaptica, ovvero quei meccanismi biologici grazie ai quali il nostro cervello apprende nuove abilità, ricorda esperienze di vita positive e negative, impara ad usare comportamenti funzionali o disfunzionali. Joseph Tsien e colleghi, ormai più di vent’anni fa, furono i primi ad osservare l’importanza di NR2B nel controllo della comunicazione tra cellule della memoria e ippocampo. Aggiungendo un singolo gene, vennero creati super-topi detti Doogie in grado di ricordare meglio «la strada di casa», quindi di muoversi più rapidamente all’interno di un labirinto. Per prima cosa venne creato un gruppo di topi privi del gene, poi un gruppo che presentava più copie dello stesso. I primi mostravano notevoli difficoltà sul piano della memoria e dell’apprendimento, gli altri mostravano abilità superiori alla norma (Tang et al., 1999). Dieci anni dopo Tsien propose un nuovo esperimento. Vennero creati topi ancor più abili nel ricordare il percorso, ma le abilità mnestiche non si limitavano al labirinto. La popolazione di topi geneticamente modificati mostrava dei livelli di timidezza particolarmente elevati, questo perché la memoria dei topolini era così sviluppata che consentiva loro di ricordare al meglio non solo la strada di casa, ma anche fallimenti e dolori del passato, cosa che di conseguenza li rendeva ben più restii ad esporsi in futuro (Wang et al., 2009).
Perché non ridursi all’ultimo giorno per preparare un esame
Aggiungiamo altri due ingredienti alla ricetta: CREB attivatore e CREB soppressore, due geni che rispettivamente stimolano la genesi di nuove connessioni tra popolazioni di neuroni e che inibiscono la formazione di nuovi ricordi. Generalmente i moscerini della frutta apprendono un determinato compito (evitare una scossa oppure riconoscere un nuovo odore) nel giro di dieci tentativi. È stato visto che le drosofile con più copie di CREB soppressore erano completamente incapaci di immagazzinare nuovi ricordi, al contrario quelle che presentavano un CREB attivatore in più imparavano i nuovi compiti dopo un solo tentativo (Yin et al., 1995). Che sia CREB attivatore il responsabile della memoria fotografica? Forse gli studenti particolarmente capaci nell’imparare ne presentano più copie.
L’esperimento venne replicato sui topi dal gruppo di Alcino Silva del Cold Spring Harbor Laboratory: gli animali con un deficit nel gene attivatore erano quasi completamente incapaci di immagazzinare nuovi ricordi nella memoria a lungo termine. Tuttavia essi sembravano comunque in grado di imparare semplici compiti se queste venivano insegnate loro per mezzo di brevi sessioni inframmezzate da frequenti pause (Bourtchuladze et al., 1994). Tutto ciò probabilmente accade perché nel cervello vi è una quantità limitata di CREB attivatore, più o meno presente a seconda delle differenze individuali di ciascuno. Durante l’apprendimento, le scorte vengono consumate per poi essere rifornite durante le pause. Ragion per cui spesso accade che lo studio dell’ultimo minuto si rivela essere controproducente: un’unica interminabile sessione di apprendimento va ad esaurire per intero le scorte di CREB attivatore; una volta consumate, è necessario fare delle pause per ripristinarle, altrimenti ogni nuova informazione non verrà trattenuta.
Farmaci per la memoria
Ipotizziamo di poter intervenire chimicamente sulle molecole dai cui dipende la memoria. MEM 1003 e MEM 1414 sono due farmaci sperimentali creati con l’intento di potenziare le funzioni cognitive. Come fare in modo che un soggetto ricordi un determinato compito o che apprenda con rapidità una nuova abilità? Possiamo parlare di apprendimento, quindi di memoria, quando al livello cerebrale si rinforza un particolare circuito. Generalmente questo processo di potenziamento sinaptico richiede molto tempo e tanti trial, ragion per cui secondo Anders Ericsson ci si può ritenere davvero bravi a fare qualcosa (suonare uno strumento, fare uno sport…) solo dopo minimo 10.000 ore trascorse nel farla. Per quanto detto prima, maggiore è la quantità di CREB nel sistema nervoso centrale (SNC), più rapida è la formazione di ricordi a lungo termine; ciò significa che se la proteina CREB venisse iper-prodotta, il processo di apprendimento richiederebbe meno tempo. MEM 1414 svolge esattamente questa funzione, quella di accelerare la produzione di CREB in modo tale che le scorte nel SNC siano più abbondanti (Farah et al., 2004). Pensiamo alle importanti applicazioni che potrebbero avere questi farmaci, non solo per potenziare le funzioni cognitive dei soggetti normotipo, ma anche per risolvere le tante problematiche legate alla memoria inevitabilmente presenti nei soggetti più anziani, e soprattutto in quelli malati di Alzheimer.
INCEPTION
Fatte queste premesse, non sembra così infattibile creare nella mente dei soggetti ricordi artificiali di esperienze reali. Se artificiale è tutto ciò che non è naturale, allora potenziare la memoria con un farmaco che agisca sulle molecole alla base, per certi aspetti rientra nell’«artificiale». «Naturali» sono i ricordi che l’uomo forma spontaneamente sulla base delle sue caratteristiche biologiche, «artificiali» sono quelli ottenuti per mezzo di un potenziamento delle stesse. In questo modo le persone potenziate potrebbero essere in grado di ricordare eventi di vita che normalmente non ricorderebbero. Eppure tutto sarebbe ancor più intrigante se fosse possibile innestare a partire da zero ricordi artificiali in sonno e memorie di esperienze mai vissute. Anche questo è possibile, vedremo nei prossimi paragrafi come più volte siano stati impiantati con successo ricordi falsi nella mente dei soggetti sperimentali. Per quanto riguarda la «falsità» delle memorie, si potrebbe aprire una nuova discussione. Sarebbe meglio dire che i ricordi in questione sono relativamente falsi: sebbene sia falso il ricordo per chi lo innesta, è fin troppo reale per colui a cui viene innestato; per il soggetto, quello impiantato non è un ricordo diverso dagli altri, ha carattere di verità tanto quanto tutte le altre memorie.
Codifica e decodifica dei ricordi
Per quanto detto in precedenza, possiamo vedere i ricordi come elementi biologici residenti nel SNC; tuttavia ciascuno di essi, più che essere un elemento biochimico a sé stante, è rappresentato da un insieme di caratteristiche emotivo-sensoriali. Quando pensiamo ad un evento, un oggetto, un amico, rievochiamo una lunga serie di elementi emotivi e sensoriali ed esso correlati e ne ricostruiamo un’immagine composita nella nostra mente. «Torta al cioccolato» è un cibo, con un determinato odore, sapore, colore, che suscita particolari sensazioni emotive soggettive. Nel nostro SNC non è presente l’immagine precostituita della torta al cioccolato che rievochiamo all’esigenza, ma l’insieme delle informazioni che la compongono, nonché tutte quelle correlate (torta di compleanno, festività, anni d’infanzia…). I ricordi sembrano essere complesse ricostruzioni mentali come fossero mosaici.
Per quanto concerne la codifica delle memorie, generalmente l’informazione sensoriale di un particolare evento passa dal tronco cerebrale per poi raggiungere il talamo, quest’ultimo la analizza e la reindirizza verso specifiche aree del cervello, tra cui la corteccia prefrontale. Una volta raggiunta, vanno a formare quella che siamo soliti chiamare memoria a breve termine della durata di pochi minuti. I ricordi duraturi sono quelli che, dopo questa prima fase di elaborazione, transitano dall’ippocampo per poi essere frammentati e smistati verso le loro destinazioni permanenti: ad esempio i ricordi emotivi, vengono indirizzati all’amigdala, le parole al lobo temporale, i colori e le altre informazioni visive al lobo occipitale, il senso del tatto e del movimento al lobo parietale…
Creare un ippocampo artificiale
L’elaborazione e la codifica di un singolo ricordo implicano la scomposizione dello stesso nelle sue componenti e il loro reindirizzamento verso le aree cerebrali target. La rievocazione del ricordo richiede il reassembly di tutti i suoi frammenti e delle memorie correlate, il modo con cui ciò avviene non è ancora del tutto chiaro (binding problem) eppure le ipotesi sono diverse. Una di queste cerca di risolvere il problema del legamento per mezzo delle onde elettromagnetiche generate dal cervello. Generalmente le onde EEG (elettroencefalografiche) oscillano a circa 40 cicli al secondo, è possibile che i singoli frammenti dei ricordi vengano codificati con una propria oscillazione. Nel momento in cui uno di questi viene rievocato, la corrispettiva oscillazione si innesca e va a stimolare per risonanza i frammenti collegati. In che modo? Come se tanti metronomi fossero posizionati su uno stesso piano: dopo qualche tempo le oscillazioni finirebbero per sincronizzarsi come nel video riportato di seguito. Ne deriva che ciascun ricordo nel suo insieme oscilla ad una propria e specifica frequenza; se fosse possibile rilevare i cicli al secondo di una particolare memoria, allora sarebbe anche possibile ricrearne una copia artificiale in un cervello naïve facendolo oscillare allo stesso modo, oppure sarebbe possibile registrarlo su un computer sotto forma di dati EEG per poterlo conservare.
Cose da film di fantascienza… eppure la fantascienza altro non è che il punto di partenza dell’innovazione. Dieci anni fa venne realizzato da Theodore Berger e colleghi il primo ippocampo artificiale sulla base della suddetta intuizione (Berger et al., 2011): target della sperimentazione erano le popolazioni CA1 e CA3 dell’ippocampo, identificate da specifici neuroni tipicamente coinvolti durante la formazione di nuovi ricordi. Inizialmente la comunicazione tra queste due reti non sembrava seguire alcuno schema, eppure dopo diversi tentativi gli scienziati riuscirono ad identificare la logica di base che portava il topo ad imparare. Gli venne insegnato a tirare due leve in sequenza, successivamente il ricordo venne cancellato con l’utilizzo di sostanze chimiche (anche questo è possibile grazie al meccanismo di riconsolidamento della memoria). Durante l’apprendimento, degli elettrodi in CA1 e CA3 raccolsero i dati neurali e li inviarono ad un computer che li conservò gelosamente in attesa dell’esperimento successivo: re-inserire il ricordo del topo nel suo stesso cervello dopo la fase di oblio. La ricerca fu un successo, i topi prima in grado di eseguire il task, poi dimenticando come fare, furono in grado di apprenderlo nuovamente senza addestramento, per inserimento artificiale del ricordo nei loro ippocampi.
Ricordi artificiali falsi
Affascinante, ma se il ricordo da impiantare fosse falso? Nella ricerca precedente i topi erano stati precedentemente addestrati ad eseguire il compito, poi l’avevano dimenticato; cosa succederebbe se l’apprendimento venisse inserito nel cervello di un topo naïve? Per quel topo il ricordo impiantato sarebbe del tutto nuovo, quindi falso per certi aspetti. Due anni dopo la ricerca di Berger e colleghi, il MIT propose un nuovo esperimento basato questa volta non sull’EEG, ma sull’optogenetica. Trattasi di una speciale tecnica che consente allo sperimentatore di «attivare» un gruppo di neuroni semplicemente illuminandolo, come se un riflettore illuminasse il cantante sul palco, questo sarebbe costretto a cantare, non potrebbe più tirarsi indietro. Nel nostro cervello ci sono neuroni responsabili di apprendimenti specifici, ad esempio nel topolino che subisce l’effetto di una piccola scossa elettrica, si accendono determinate popolazioni di neuroni da cui dipendono la sensazione di dolore e la relativa paura per lo shock. Volendo è possibile isolare e registrare l’attività di queste cellule, successivamente tramite la luce di un cavo in fibra ottica è possibile «accendere» gli stessi neuroni nell’ippocampo del topolino che si comporterà come se fosse spaventato, anche in totale assenza di pericoli (Ramirez et al., 2013).
Impiantare memorie fasulle nell’uomo
Abbiamo visto come più gruppi di ricerca siano riusciti ad impiantare con successo ricordi artificiali in topi ed altri animali dal cervello piuttosto «semplice». Tuttavia ancora nessun esperimento è stato condotto sui primati, che siano macachi o esseri umani. Sarebbe fantastico poter risolvere le tante problematiche legate alla memoria presenti in caso di ictus, demenza, Alzheimer, ma sarebbe anche bello poter potenziare i soggetti sani grazie all’«inserimento manuale» di nuove abilità preconfezionate negli ippocampi di ciascuno. Si creerebbe così una nuova classe di dipendenti super-capaci, nascerebbero nuove aziende che assumerebbero personale qualificato in grado di fornire tante abilità da trasmettere agli acquirenti, tutti sarebbero potenzialmente in grado di apprendere ogni cosa alla perfezione. Tuttavia, l’inserimento di ricordi artificiali nelle cavie animali semplici richiede meno impegno rispetto all’inserimento di ricordi artificiali nel cervello umano.
La struttura ippocampale dei primati è più elaborata rispetto a quella dei topolini, per l’impianto sarebbe necessario realizzare una mappa neurale completa delle connessioni tra i neuroni delle quattro aree dell’ippocampo (da CA1 a CA4), servirebbe inoltre un’enciclopedia che associ ciascun pattern neurale al proprio outcome comportamentale in modo tale da potervi risalire rapidamente a seconda delle necessità. Per quanto riguarda i compiti motori, il lavoro sarebbe ancor più complesso, in quanto gli automatismi fisici richiederebbero non solo la memoria esplicita, ma anche quella muscolare per funzionare. I condizionamenti motori sono immagazzinati nella corteccia motoria, il che significa che per poter impiantare il ricordo di un’abilità motoria (suonare uno strumento, fare uno sport) non sarebbe sufficiente limitarsi all’ippocampo (lo stesso discorso vale anche per tanti altri tipi di apprendimento essendo i ricordi delle rappresentazioni composite).
Ricordi artificiali: etica e rischi per la società
Pensiamo al benessere a cui porterebbe l’impianto di ricordi artificiali felici oppure all’utilità che potrebbe avere l’apprendimento istantaneo di nuove abilità. Tutti gli esseri umani vivrebbero nella gioia e sarebbero tutti ugualmente competenti. La manipolazione della memoria porterebbe davvero l’umanità ad un finale così lieto? La nostra è un’epoca particolarmente difficile nella quale il benessere dilaga rispetto ad altri periodi storici, eppure tutti continuano ad essere insoddisfatti. Questo perché la soglia degli standard valoriali e delle aspettative si è alzata, il fatto che tutti siano abili in qualcosa e che si mettano in mostra online o in televisione ci fa sentire piccoli e spesso incompetenti. Se da un lato questa cosa ci sprona a migliorare, dall’altra ci distrugge dal punto di vista emotivo. Se tutti diventassero abili in tutto, nessuno riuscirebbe ad ostentare la propria unicità, diventerebbe tutto più difficile e le ripercussioni sul piano psicologico sarebbero disastrose. Le abilità artificiali potrebbero essere introdotte solamente all’interno di una società matura e collaborativa, onde evitare guerre di potere tra super-uomini, forse il momento della loro presentazione al pubblico non è ancora arrivato. Pensiamo inoltre ai disastri che potrebbero causare le false memorie in ambito forense: le testimonianze perderebbero validità, gli innocenti verrebbero condannati, i colpevoli assolti. I malvagi avrebbero a loro disposizione nuove forme di tortura basate sull’impianto diretto di dolori e sofferenze nei cervelli delle vittime; i cartelli della droga acquisirebbero sempre più ricchezza e potere giocando sulla nascita di nuove dipendenze legate all’innesto di ricordi piacevoli. Fortuna vuole che la ricerca in quest’ambito sia agli albori, occorre ancora molto tempo prima di poter davvero assaggiare il vero sapore della manipolazione della memoria, abbiamo anni a sufficienza per far crescere ed evolvere la nostra società, non sprechiamoli.
Fonte
- Tang, Y. P., Shimizu, E., Dube, G. R., Rampon, C., Kerchner, G. A., Zhuo, M., … & Tsien, J. Z. (1999). Genetic enhancement of learning and memory in mice.
Nature - Wang, D., Cui, Z., Zeng, Q., Kuang, H., Wang, L. P., Tsien, J. Z., & Cao, X. (2009). Genetic enhancement of memory and long-term potentiation but not CA1 long-term depression in NR2B transgenic rats.
Plos One - Yin, J. C. P., Del Vecchio, M., Zhou, H., & Tully, T. (1995). CREB as a memory modulator: induced expression of a dCREB2 activator isoform enhances long-term memory in Drosophila.
Cell - Bourtchuladze, R., Frenguelli, B., Blendy, J., Cioffi, D., Schutz, G., & Silva, A. J. (1994). Deficient long-term memory in mice with a targeted mutation of the cAMP-responsive element-binding protein.
Cell - Farah, M. J., Illes, J., Cook-Deegan, R., Gardner, H., Kandel, E., King, P., … & Wolpe, P. R. (2004). Neurocognitive enhancement: what can we do and what should we do?
Nature Reviews Neuroscience - Berger, T. W., Hampson, R. E., Song, D., Goonawardena, A., Marmarelis, V. Z., & Deadwyler, S. A. (2011). A cortical neural prosthesis for restoring and enhancing memory.
Journal of Neural Engineering - Ramirez, S., Liu, X., Lin, P. A., Suh, J., Pignatelli, M., Redondo, R. L., … & Tonegawa, S. (2013). Creating a false memory in the hippocampus.
Science