«Attaccamento» è una parola con cui il senso comune indica la semplice relazione affettiva tra due persone, ma anche il termine tecnico con cui in psicologia si identifica il tipo di relazione tra individui. Bowlby lo definisce come una «propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali». A partire dall’attaccamento le persone imparano a relazionarsi con i propri simili.
IN BREVE
TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
«L’attaccamento intimo agli altri esseri umani costituisce il perno attorno a cui ruota la vita di una persona, non solo nell’infanzia, nella pubertà, nell’adolescenza, ma anche negli anni della maturità». Sono queste le parole che J. Bowlby utilizza per descrivere la propria teoria dell’attaccamento. «Attaccamento» è una parola con cui il senso comune indica la semplice relazione affettiva tra due persone, ma anche il termine tecnico con cui in psicologia si identifica il tipo di relazione tra individui. Bowlby lo definisce come una «propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza o malattia». Questa descrizione, pur risalendo alla seconda metà del secolo scorso, è ancora piuttosto attuale. Quando si parla di psicologia, immediatamente Sigmund Freud compare nella mente di donne, uomini e bambini, eppure gli anni sono passati e le teorie del funzionamento mentale si sono sempre più accumulate e diversificate. Il punto di partenza questa volta non è la psicoanalisi in senso stretto, bensì l’etologia (o biologia comportamentale), ovvero lo studio delle specie animali (non solo la nostra).
Tutto comincia con l’imprinting
K. Lorenz fu il primo a teorizzare il concetto di imprinting. Trattasi di una particolare forma di apprendimento che si realizza in un periodo determinato della vita, in genere subito dopo la nascita, detto fase sensibile o periodo critico. Superata la fase sensibile, l’imprinting non si può più realizzare. Esso tende a stabilire precocemente e spontaneamente un legame di attaccamento con la prima figura di riferimento che viene immediatamente riconosciuta come la propria madre. Ipotizziamo di trovare in giardino un nido abbandonato ricolmo di uova; lo portiamo in casa e dopo qualche giorno le uova si schiudono. Ne escono delle simpaticissime paperelle che dopo averci visto iniziano a seguirci in tutte le stanze, in soggiorno, in cucina, persino in bagno! Siamo diventati le loro mamme, questo è l’imprinting, un meccanismo presente nella storia di tutti i principali gruppi di animali. È irreversibile, ha un significato evolutivo fondamentale: consente il riconoscimento del genitore da parte del piccolo (e viceversa). È stato visto che oltre il periodo critico il legame non ha più la possibilità di strutturarsi. Nel mondo animale, i piccoli che non vengono riconosciuti dalla mamma all’interno di questa finestra temporale, vengono esclusi dall’accudimento. Sottraendo i cuccioli ad un cane e restituendoglieli oltre il limite temporale, l’animale non li riconosce come propri, così come loro non riconoscono la mamma come tale.
Attaccamento come necessità biologica
L’imprinting viene utilizzato per spiegare l’attaccamento in psicologia. Perché i piccoli non appena nascono sento il bisogno di trovare una figura di riferimento? Nessuno chiede loro di farlo, sono programmati a priori per farlo spontaneamente, a che scopo? Dobbiamo vedere i cuccioli come parte di una diade fino ad una certa età, non hanno una vera e propria autonomia ma dipendono totalmente da un elemento terzo che garantisca loro protezione e nutrimento. È esattamente questo il motivo per cui i piccoli prima ancora di respirare si impegnano nell’identificare il caregiver che dia loro la sicurezza di sopravvivere. Sicurezza, non dimentichiamo questa parola, ci servirà in futuro… Quando si parla di necessità biologiche si pensa subito alla fame e la sete, in realtà la scienza ha dimostrato che i cuccioli di qualsiasi animale, compreso l’uomo, hanno anche un altro bisogno fondamentale, quello di contatto e di accudimento, specialmente nelle prime fasi di vita. Harry Harlow condusse una serie di ricerche sui primati, separandoli dalla mamma e posizionandoli accanto a due «mamme finte», una in metallo equipaggiata di una pipetta per il nutrimento, l’altra morbida sprovvista di pipette. I cuccioli di scimmie Rhesus trascorrevano gran parte del tempo abbracciando il surrogato morbido, accedevano al surrogato metallico solo il tempo necessario per nutrirsi, poi tornavano immediatamente dalla mamma morbida. Inoltre una leggera scossa portava la scimmietta a ricercare del surrogato morbido, come se il semplice contatto con la mamma morbida fosse una garanzia di protezione. Questi esperimenti fecero intuire che i bisogni di contatto e di accudimento sono necessità primarie a sé stanti, distinte da quella di nutrimento.
ATTACCAMENTO: BOWLBY
Per certi aspetti l’attaccamento ricorda l’imprinting, è una propensione che inizia a definirsi con le primissime relazioni in infanzia. Si innesca entro il periodo critico dei primi due anni di vita e come l’imprinting è traduzione delle necessità primarie alla base. Facciamo un esperimento mentale piuttosto antipatico: prendiamo un bambino, separiamolo dalla mamma e lasciamolo da solo tra le corsie di un supermercato. Il piccolo inizierà a piangere, la mamma a gridare il suo nome; qualcuno interverrà aiutando entrambi a ritrovarsi, dopo qualche minuto sentiremmo agli altoparlanti: «i genitori del bambino disperso sono attesi in cassa quattro». Che sollievo, pericolo scampato! Il legame tra la mamma e il bambino ha portato entrambi ad innescare un processo di allarme che fortunatamente alla fine li ha fatti ritrovare. Se non ci fosse stato alcun tipo di premura da parte della mamma o di interesse da parte del figlio, allora nessuno sarebbe intervenuto ed entrambi sarebbero andati per la propria strada con una discreta noncuranza. In questo modo chiunque avrebbe potuto appropriarsi del bambino per estrargli gli organi o per venderlo agli alieni. Fosse stata una serie televisiva sarebbe stato davvero un pessimo finale di stagione; natura vuole però che l’uomo sia programmato per affezionarsi ai propri cuccioli, il che lo spinge a cercarli disperatamente e a proteggerli quando crede che siano in pericolo. È questa la traduzione comportamentale del meccanismo di base che in psicologia siamo soliti identificare con il termine attaccamento.
Programmazione genetica
Nel paragrafo precedente abbiamo citato J. Bowlby, uno tra i primi pediatri psicoanalisti che, durante la guerra, osservarono i bambini in termini di separazione precoce dai genitori. Le sue ricerche lo portano ad elaborare la cosiddetta teoria dell’attaccamento, ovvero il modello evolutivo-relazionale su cui ancora oggi si basa buona parte delle teorie psicologiche che riguardano il bambino, ma anche l’adulto. Sappiamo infatti che l’attaccamento si sviluppa in infanzia, ma interessa in maniera diacronica tutta la vita di una persona, dalla nascita alla morte (vedremo come il modello di attaccamento che si forma nella prima infanzia viene successivamente riproposto in adolescenza ed età avanzata). Bowlby, a differenza di altri psicoanalisti, non era tanto interessato alle fantasie del bambino, quanto piuttosto alle sue esperienze reali. Respinse inoltre l’idea psicoanalitica del narcisismo primario, secondo cui il bambino nelle prime fasi di vita si sente onnipotente e non riconosce elementi terzi al di fuori di sé stesso. Al contrario secondo Bowlby il bambino è geneticamente programmato per riconoscere l’oggetto esterno come tale ed è questo che gli permette di sviluppare la relazione di attaccamento fin dalle prime fasi di vita.
Pillole di psicologia delle relazioni oggettuali
A grandi linee, le relazioni oggettuali sono per l’appunto relazioni che l’individuo ha con gli oggetti dell’ambiente, dove con oggetti generalmente ci si riferisce alle figure di attaccamento, che siano queste i genitori oppure altre persone per cui il soggetto prova affetto e da cui si aspetta sicurezza. La relazione oggettuale è operante fin dall’inizio della vita, secondo Bowlby, bambino ed oggetto sono distinti a priori. Se per Freud l’affetto del bambino nei confronti della mamma è dato da una motivazione secondaria (infatti solo lei può soddisfare i suoi bisogni, ed una volta soddisfatti, il piccolo le si affeziona), secondo Bowlby esiste una motivazione intrinseca e primaria: la ricerca (anche fisica) di conforto. Tanto primaria è la necessità di nutrimento, quanto primaria è quella di contatto; la ricerca di conforto non è mediata dalla soddisfazione dell’appetito come dimostrano gli esperimenti di Harlow. I bisogni di amore e di contatto sembrano essere svincolati dalla soddisfazione di altre necessità biologiche. In quest’ottica l’attaccamento (funzionale) garantisce un vantaggio adattivo ed evolutivo:
- Garantisce protezione dai pericoli esterni;
- Garantisce lo sviluppo psicofisico dell’individuo;
- Garantisce la protezione da tensioni interne. Tra adulto e bambino vi è infatti una relazione speciale tale per cui l’adulto protegge e fornisce sicurezza al piccolo anche quando questo è preoccupato per «semplici» conflitti interiori. I pericoli non devono essere necessariamente palesi nel mondo fisico come una rapina o l’attacco di un giaguaro, possono anche essere interiori e soggettivi.
Quando l’attaccamento diventa un problema
Ricapitolando, il bisogno di conforto e sicurezza è una necessità biologica primaria e geneticamente determinata tanto quanto il bisogno di nutrirsi. Quando una o più necessità biologiche non vengono soddisfatte, sul lungo termine le conseguenze sulla salute possono essere piuttosto gravi. Cosa succede se non ci si nutre? Si entra in una condizione patologica di malnutrizione. Cosa succede se il bambino viene privato dell’affetto e della sicurezza che merita da piccolo? Con tutta probabilità sviluppa un disturbo mentale i cui sintomi comportamentali sono spiegati dalla tipologia di attaccamento che il bimbo ha sperimentato in età infantile. Seguono alcuni esempi piuttosto semplicistici ma sufficientemente intuitivi. Nella nostra prima storiella abbiamo un bambino spaventato che tenta di dire la propria, ma che ottiene sempre rifiuti da parte del genitore quando cerca approvazione e sicurezza («stai zitto», «non dire scemenze», «piantala, hai torto, ho ragione io»). Imparerà a «tenersi tutto dentro», come si suol dire. Di conseguenza, quando da adulto gli verrà chiesto di esporsi e di esternare il proprio punto di vista o la propria opinione, non riuscirà, manifesterà ansia e forse attacchi di panico.
Attaccamento e perdita
Abbiamo tre bambini che spesso vengono lasciati qui e lì dai genitori troppo impegnati per badarvi. Le interazioni con i caregivers principali sono ridotte al minimo, loro ed i piccoli non si incontrano quasi mai. I bimbi vengono lasciati a loro stessi qualsiasi sia il loro stato d’animo: spaventati, felici, fiduciosi, tristi, non importa, nessun genitore se ne preoccupa. Uno dei bambini da adulto sviluppa un importante timore dell’abbandono che lo porta a sviluppare un attaccamento morboso per le sue fidanzate, ad essere estremamente controllante ed intrusivo nei loro confronti, il che lo rende fastidioso e, ahimè, facilmente abbandonabile. Dunque c’è una relazione tra attaccamento e amore? Forse, ma non così diretta. Il secondo bambino infatti non manifesta problemi di gelosia con le proprie spasimanti, ma sviluppa un disturbo d’ansia da separazione che lo porta a non allontanarsi da casa neanche per uscire con gli amici o per andare in università; il terzo ne esce totalmente illeso, senza alcun tipo di problema apparente né psicologico, né di cuore. Tutti e tre i bimbi hanno sperimentato l’abbandono da piccoli, ma solo due hanno sviluppato una grande paura per la perdita, come mai? Le spiegazioni possono essere diverse:
- Il terzo bimbo presentava un substrato biologico più resistente e resiliente che l’ha «immunizzato» nei confronti dell’abbandono;
- Le sue esperienze di vita alternative hanno compensato quelle malsane. Forse il bimbo ha trovato delle figure di attaccamento sostitutive al di fuori del nucleo familiare (degli amici, una maestra, la baby-sitter…);
- Un insieme delle due cose.
Forse in futuro avremo degli algoritmi di machine learning così accurati da riuscire a prevedere con esattezza quali disturbi mentali svilupperà un individuo in funzione del suo assetto biologico e delle sue esperienze di vita, ma ad oggi le traiettorie evolutive sono ancora imprevedibili, nonché estremamente variabili. Di certo un particolare tipo di attaccamento predispone il soggetto a determinati problemi mentali, famigliari o di cuore, ma ad oggi non è ancora possibile identificare delle relazioni causa-effetto univoche e dirette.
Un circuito che si autoalimenta
Torniamo al bambino della prima storiella, è sufficiente un’interazione con il genitore per fare in modo che il bimbo da adulto decida di chiudersi a riccio? Ovviamente no, il nostro cervello si plasma tramite interazioni ripetute con più oggetti dell’ambiente. Le prime relazioni di attaccamento sono solo un innesco. La vita è come una corsa, migliore è l’inizio, più è probabile che il resto della gara fili liscio; se fin dai primi attimi la macchina presenta qualche anomalia, il giro del tracciato diventa una faticosa impresa e il rischio di incidenti aumenta notevolmente. Questo non esclude che l’auto arrivi comunque alla fine della corsa, ma il tragitto diventa pericoloso. La realtà è un insieme di cause e conseguenze, se le prime relazioni di attaccamento sono disfunzionali, il bambino a scuola manifesterà più difficoltà nel rapportarsi con gli altri, il che lo renderà ancor più incapace nell’avere delle relazioni funzionali che vadano a compensare gli effetti negativi di quelle malsane. Non avendo altri esempi positivi di attaccamento, il bimbo continuerà ad accumulare esempi negativi che lo renderanno sempre più fragile, giorno dopo giorno, e gli sarà sempre più difficile trovare dei validi «sostituti»; senza validi sostituti sarà sempre meno in grado di rapportarsi, il che renderà difficile trovare nuovi modelli di attaccamento… Otteniamo un loop, un circuito che si autoalimenta all’infinito, in attesa di qualcuno che lo interrompa in qualche modo; solitamente la psicoterapia si rivela molto efficace.
Il sistema omeostatico: tra esplorazione e sicurezza
Il sistema di attaccamento è quello guida i comportamenti di attaccamento, in modo tale da consentire al piccolo di esplorare il mondo, ma allo stesso tempo di tornare tra le braccia della mamma in situazioni di pericolo. Possiamo osservare l’attaccamento su più livelli:
- Attaccamento: legame particolare che si sviluppa soltanto verso persone specifiche. Si mantiene nel corso del tempo e non è influenzato dalle condizioni del momento;
- Comportamenti di attaccamento: possono manifestarsi anche verso persone diverse dalle figure genitoriali, qualora ricorrano condizioni di bisogno e il bambino (o l’adulto) si trova in assenza del caregiver principale. I comportamenti variano a seconda dell’età e delle funzioni sviluppate (apparato percettivo, apparato efferente, apparato di segnalazione) e hanno l’obiettivo di mantenere la vicinanza al «posto sicuro»;
- Sistemi di attaccamento: sistema di controllo omeostatico che organizza i comportamenti di attaccamento. Ha lo scopo di mantenere in equilibrio le condizioni esterne e quelle interne di sicurezza.
Le tre componenti nel loro insieme vanno a definire il sistema omoestatico di attaccamento che si innesca nelle situazioni rischiose in modo tale da far fronte al pericolo. Ripristina la situazione di sicurezza quando questa è a rischio. Ogni bambino/adolescente ha la necessità di esplorare il mondo per imparare a conoscerlo in autonomia; è normale che tenda ad allontanarsi spontaneamente dalla mamma per fare nuove esperienze (giocare con altri bambini, assaggiare una caramella nuova, uscire con la fidanzatina…), ma quando si spaventa (gli altri bambini lo trattano male, la caramella non è buona, la fidanzatina lo lascia…) sente la necessità di essere supportato; compito del genitore è quello di dargli ciò che desidera, come quando lo sfamava prontamente da neonato. Per citare nuovamente Bowlby: «La caratteristica più importante dell’essere genitori: fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato». Il bambino si muove nel mondo nel momento in cui sa di poter contare sugli elementi di base (i genitori o validi sostituti) quando è spaventato.
Se non può fare affidamento su un paracadute, evita di lanciarsi, ma questo è un enorme problema: bambini ed adolescenti hanno bisogno di lanciarsi, altrimenti rischiano di non sperimentare ciò che c’è da sperimentare, il che può creare ritardi nello sviluppo psicosociale. Si pensi ad un giovane adolescente che non riesce ad avere una relazione sentimentale perché sa che i suoi genitori non la approverebbero. «Sei troppo piccolo per queste cose. L’amore è una cosa da grandi». Il fanciullo si innamora, ma anziché tornare a casa con la consapevolezza di poter contare sui consigli e sul supporto della famiglia nel momento del bisogno, torna a casa con due preoccupazioni: da un lato quella di non riuscire ad avere una relazione quando tutti ne hanno già avuta una, dall’altro quella dei genitori pronti a sgridarlo per non aver seguito i loro insegnamenti (opinabili, come se provare interesse per un’altra persona durante la pubertà fosse una cosa sbagliata). Il ragazzo non solo eviterà di avere la relazione per il timore delle conseguenze che questa potrebbe avere, dovrebbe affrontarle completamente da solo e non sarebbe in grado, eviterà di averla anche perché gli è stato insegnato che è una cosa «sbagliata». Nel frattempo il mondo andrà avanti, tutti avranno le loro esperienze, mentre lui si ritroverà con tante inibizioni e lacune da colmare che gli porteranno solo molta ansia ed infelicità.
MODELLI OPERATIVI INTERNI
Secondo il nostro amico Bowlby, a partire dallo stile relazionale che l’individuo ha con le figure di attaccamento, si vanno a definire i cosiddetti modelli operativi interni (MOI o IWM all’inglese, Internal Working Models). Questi sarebbero degli schemi di comportamento appresi sulla base delle relazioni infantili del soggetto che tenderebbero a riproporsi con tutti gli individui fino a consolidarsi e diventare parte del suo comportamento abituale. In soldoni, se il bambino cresce in una famiglia comprensiva ed accogliente, impara ad essere solare ed espansivo con gli altri aspettandosi benevolenza; se cresce in una famiglia giudicante e punitiva, impara ad essere solitario e sospettoso, aspettandosi critiche e rifiuti. Sono le modalità attraverso cui le rappresentazioni delle relazioni vengo interiorizzate ed adoperate come schemi relazionali. Guidano i comportamenti ed i sentimenti futuri, in funzione dell’aspettativa che il soggetto si crea nei confronti della realtà. Si costituiscono sull’esperienza reale che il bambino ha con il caregiver, non si fondano su immagini fantasmatiche che il bambino crea a partire dalle relazioni con gli oggetti.
Quattro stadi dello sviluppo
Nonostante imprinting ed attaccamento si assomiglino molto, i cuccioli di uomo non sono come le anatre, a cominciare dal fatto che non nascono dalla schiusa di un uovo. I comportamenti di attaccamento sono senz’altro precoci, ma non sono immediati. Seguono le quattro fasi principali dello sviluppo che portano allo sviluppo dello stile di attaccamento e degli IWM:
- 0-2 mesi: il bambino manifesta comportamenti di segnalazione e avvicinamento senza discriminazione fra persone o intenzionalità: pianto, sorriso dalla quarta settimana, vocalizzazioni, «aggrapparsi»;
- 2-6/8 mesi: comunicazioni dirette verso una o più persone discriminate, perlopiù la madre o chi elargisce cure. Compare l’ansia generata dall’essere lasciato solo;
- 6/8 mesi-2 anni: mantenimento del contatto con la persona discriminata reso possibile anche dallo sviluppo di nuove abilità motorie. Utilizzo della figura di attaccamento come base sicura per l’esplorazione dell’ambiente. Compaiono l’ansia da separazione e la paura dell’estraneo a partire dagli otto mesi. In questa fase nasce il legame di attaccamento vero e proprio;
- 18 mesi in poi: relazione basata sul set-goal (scopo programmato) con perseguimento di obiettivi regolati da feedback ambientali (es. la mamma da l’ok per proseguire l’esplorazione della stanza, allora il bambino preso dall’entusiasmo inizia a camminare su pavimenti e pareti, assaggiare giocattoli, fare amicizia con tutti…). Il rapporto madre-bambino diventa intenzionale e reciproco. Le conquiste cognitive aumentano, ora il cervello del bambino è sufficientemente sviluppato da consentire agli IWM di svilupparsi e sedimentarsi.
Differenze negli stili di attaccamento
Nella vita adulta tutte le relazioni sentimentali (amorosa prima tra tutte) tendono a seguire il pattern di attaccamento che è stato interiorizzato in passato. Inoltre pare vi sia una trasmissione intergenerazionale dello stile di attaccamento: ciò significa che il trauma materno tende a ripercuotersi sulle generazioni successive, quindi i caregiver tendono a riproporre ai figli il proprio stile di attaccamento appreso. È stato visto infatti che la adult attachment interview, una scala clinica per valutare il tipo di attaccamento, predice i risultati della strange situation indagando l’attaccamento del genitore. Ergo, lo stile di attaccamento del genitore predice quello del figlio. Cos’è la strange situation? Un esperimento ideato da Mary Ainsworth negli anni Settatanta che ha lo scopo di far emergere lo stile di attaccamento che c’è tra genitore e figlio.
Ha come protagonisti mamma, bambino e sperimentatore (nei panni di un estraneo). Cosa fa il bambino in presenza del genitore? Come reagisce quando si separano e si ricongiungono? Cosa fa quando in presenza dell’estraneo? Valuta la sicurezza del legame genitore-figlio e definisce tre particolari stili (successivamente un quarto):
- Attaccamento insicuro evitante: il bambino con attaccamento evitante resta indifferente quando si separa dalla madre nella strange situation, tende addirittura ad evitarla quando si riuniscono. Questo particolare stile è tipico di bambini la cui mamma è rifiutante, indifferente oppure ostile;
- Attaccamento sicuro: il bambino con attaccamento sicuro piange e protesta quando si separa dalla madre, si calma immediatamente quando vi si riunisce, è confortato dalla sua vicinanza. Questo particolare stile è tipico di bambini la cui mamma è disponibile, regolare nei suoi atteggiamenti (sempre buona) ed in sintonia con il figlio;
- Attaccamento insicuro ambivalente: il bambino con attaccamento ambivalente protesta in caso di separazione, ma a differenza della condizione precedente, continua a piangere anche quando si riunisce alla mamma, alla fine si calma, ma inizialmente resiste al conforto. Questo particolare stile è tipico di bambini la cui mamma è imprevedibile (a volte buona, a volte cattiva) ed intrusiva. Possiamo vederlo come uno stile di attaccamento ansioso in cui il bambino vive in costante tensione perché non sa se fidarsi o meno del genitore, da un lato ne è confortato, dall’altro ne è spaventato;
- Attaccamento disorganizzato: il bambino con attaccamento disorganizzato è confuso e manifesta un comportamento decisamente indecifrabile al momento della separazione. Quando si riunisce alla madre le si avvicina ma simultaneamente sembra voglia allontanarsi (ad esempio le si avvicina, ma con lo sguardo è distratto da altro, guarda altrove o dietro di sé). Questo particolare stile è tipico di bambini la cui mamma è spaventata o spaventante.
A partire dallo stile di attaccamento del genitore è possibile prevedere con relativa certezza quello del figlio, a meno che il genitore sia stato addestrato a riconoscere il proprio stile per evitare di trasmetterlo al proprio figlio qualora fosse disfunzionale. È inoltre possibile intuire da quali comportamenti del genitore dipende un preciso stile di attaccamento, non è possibile però prevedere con assoluta certezza quali disturbi svilupperà il bambino da adulto (se li svilupperà) a partire dalla sola strange situation. Ci si può iniziare a fare un’idea a grandi linee, ma fortunatamente anche il peggior stile di attaccamento può essere compensato da esperienze correttive. Al momento della strange situation non sappiamo quali esperienze la vita ha in serbo per il bimbo, quindi non possibile sapere che strada prenderà la sua traiettoria evolutiva. Tuttavia meglio non contare troppo sulle esperienze compensatorie, se ci sono è meglio per tutti, ma se vengono a mancare?
Fonte
- Bretherton, I. (1992). The origins of attachment theory: John Bowlby and Mary Ainsworth.
APA PsycNet - Hesse, E. (2008). The Adult Attachment Interview: Protocol, method of analysis, and empirical studies.
APA PsycNet - De Coro, A., & Ortu, F. Psicologia dinamica: i modelli teorici a confronto.
Gius. Laterza & Figli Spa (2014)