Nessuno, specie tra i più giovani, ama sentirsi chiamare “asociale”. Eppure pronunciamo spesso questa parola. Conosciamo davvero il significato di “asociale”? Chi ha un comportamento di questo tipo è semplicemente disinteressato alle relazioni o vive delle difficoltà? Proviamo a vedere le diverse sfaccettature dell’asocialità, sottolineandone i punti critici che permettono di riconoscere le situazioni più problematiche.
IN BREVE
Indice
LA PERSONALITÀ ASOCIALE
“Asociale” è certamente tra i termini usati più impropriamente al giorno d’oggi, a causa del tentativo di dare una definizione di un individuo sulla base di poche caratteristiche psicologiche. Alla luce di questo, talvolta essere definiti asociali risulta anche offensivo o stigmatizzante. Nei casi peggiori l’aggettivo diviene nome, fino a identificare una persona con una parte del suo carattere: nessuno direbbe “quella ragazza ha un comportamento asociale“, bensì, molto più riduttivamente, “è un’asociale“. Comunque, questa parola descrive l’atteggiamento delle persone più chiuse ed introverse, che non hanno il desiderio di avere rapporti sociali o di uscire. Differenti sono le ragioni che stanno dietro a queste caratteristiche: pensare che essere asociali sia una caratteristica innata è ammissibile tanto quanto il credere che sono gli eventi della vita a causare l’asocialità. A tal proposito la psicologia mostra come sia necessario tener conto tanto dell’ambiente che circonda una persona, quanto delle caratteristiche individuali nella formazione della sua personalità.
I tratti di personalità tipici
La personalità è l’insieme delle proprie inclinazioni, le quali definiscono il senso di identità di una persona e come questa è vista dagli altri. Possiamo immaginarla come una struttura che emerge gradualmente nel corso dello sviluppo, guidata in questo dalla cultura e dalla biologia dell’organismo, nonché dalle azioni e dalle scelte che compie. Senz’altro è una struttura molto complessa e articolata, ma lo studio del lessico umano ha permesso agli psicologi di indagare la personalità riferendosi a poche dimensioni sovraordinate, chiamate “Big Five“: si tratta dell’estroversione, dell’amicalità, della coscienziosità, della stabilità emotiva e dell’apertura mentale. Ogni caso è diverso dagli altri, ma possiamo immaginare che una persona asociale sia poco estroversa: le energie e la voglia di socializzare e vivere in società sono molto poche. La bassa apertura mentale potrebbe sostenere lo scarso interesse per le nuove esperienze, mentre i livelli di amicalità sono variabili: molto bassi quando mancano lo spirito di cooperazione e la fiducia, più alti quando i rapporti sociali sono desiderati ma ostacolati da altri problemi, come l‘ansia.
Il profilo temperamentale
Il temperamento è la controparte essenzialmente biologica della personalità. Prendendo a spunto il contributo teorico di Buss e Plomin, si tratta di caratteristiche a base ereditaria e biologica, che interessano gli ambiti dell’emozionalità, della socievolezza e dell’attività. La socievolezza concerne la tendenza a ricercare il contatto con gli altri e le gratificazioni sociali e può essere carente nella personalità asociale. L’attività è il livello di stimolazione ottimale dell’organismo: riflette la sua soglia di attivazione, e quindi l’intensità necessaria ad uno stimolo per provocare una reazione, in termini di forza e velocità dei movimenti. Soprattutto le persone con una particolare configurazione di personalità asociale, chiamata schizoide, mostrano bassi livelli di attività. L’emozionalità, infine, concerne la tendenza ad agitarsi e a provare facilmente paura o ansia. Questo parametro, spesso, risulta elevato nelle persone ansiose, le quali evitano il coinvolgimento sociale a causa delle loro emozioni stressanti e assumono atteggiamenti asociali.
PSICOLOGIA DELLA PERSONALITÀ ASOCIALE
Lo studio della personalità si è affermato come uno dei settori più interessanti e fruttuosi di teorie nel campo della psicologia. Nello specifico, esso mira a indagare i processi psicologici e sociali che possono contribuire alla completa espressione delle capacità umane. Una delle relazioni più esaminate è quella tra le caratteristiche di personalità e la patologia mentale, o anche tra le caratteristiche della personalità e il rischio di sviluppare un disturbo mentale. Per una migliore comprensione è utile specificare che con caratteristiche di personalità si intendono i “Big Five” o, per esempio, l’autostima. Diversamente, un disturbo d’ansia è un tipo di psicopatologia, così come i sintomi depressivi (impotenza, passività e bassa energia) sono dei sintomi sottosoglia, che innalzano il rischio di diventare depressi. Nei prossimi paragrafi saranno presentati i quattro modelli che tentano di spiegare la relazione tra la personalità e la psicopatologia, mantenendo il focus sulle caratteristiche più correlate all’asocialità.
Perché sono asociale? Le cause secondo lo scar model
Lo scar model, o modello della cicatrice, ipotizza che la malattia mentale sia la causa di cambiamenti di personalità duraturi e sfavorevoli. Prendiamo il caso di un bambino naturalmente bisognoso dell’amore dei suoi genitori. Vive, tuttavia, ricorrenti situazioni di rifiuto che lo fanno sentire diverso e sminuito nel confronto con gli altri. I sintomi di depressione che ne risultano – tratti psicopatologici – lasciano delle “cicatrici” che favoriscono, tra l’adolescenza e l’età adulta, il viraggio della personalità verso una configurazione schizoide. Le sue principali caratteristiche sono:
- l’umore negativo e piatto
- l’assenza di piacere e di desiderio sessuale
- l’asocialità
- la preferenza per le attività solitarie, a lavoro e negli altri ambiti
- emozioni poco intense
Chi ha uno stile/disturbo di personalità schizoide diventa molto ansioso se è costretto ad avere contatti con altri individui, si sente disadattato e pensa che sarà più felice se starà da solo. Un simile sviluppo del profilo psicologico è esemplificativo di come la psicopatologia possa incidere sulla personalità.
Il vulnerability model: le conseguenze negative di una personalità disfunzionale
All’opposto, il modello della vulnerabilità costruisce le sue teorie sulla possibilità che i tratti di personalità sfavorevoli aumentino i rischi di soffrire di un disturbo mentale. A questo proposito basiamoci sulla storia di un bambino della scuola elementare. Appare molto introverso e timoroso e, perdipiù, la bassa stabilità emotiva gli impedisce di gestire le intense emozioni di vergogna e paura che prova nel confronto con i suoi compagni o durante le prove in classe. Questi tratti di personalità si mantengono stabili durante la sua crescita, e intorno alla prima età adulta inizia a soffrire di occasionali attacchi di panico in alcune situazioni sociali che lo mettono a disagio, come mangiare in un ristorante in presenza di sconosciuti, dai quali si sente deriso. Di conseguenza, inizia a evitare di uscire. In questo caso il comportamento asociale che ne risulta è motivato dall’ansia, ma non desiderato come nel caso dello stile schizoide. I modelli della vulnerabilità e della cicatrice non si escludono e, anzi, sono complementari. Comunque, il vulnerability model ha ricevuto maggiori conferme nelle ricerche degli psicologi.
Spectrum model: l’asocialità come spettro
Come a metà fra il modello della vulnerabilità e il modello della cicatrice, lo spectrum model sostiene che personalità e psicopatologia rappresentano gli estremi opposti di una stessa dimensione, o spettro. La personalità, da una parte, rappresenta l’estremo dei comportamenti socialmente accettabili e non disfunzionali, mentre, all’opposto, la psicopatologia si fa rappresentativa dei comportamenti problematici. La caratteristica peculiare dello spettro è che non si può dire se siano le caratteristiche di personalità a favorire un disturbo o viceversa: più semplicemente, tra esse esiste una relazione innata a causa di fattori genetici ed eziologici comuni. Questo suggerirebbe che tra le caratteristiche di personalità che favoriscono atteggiamenti asociali – come basse stabilità emotiva e estroversione – e l’asocialità stessa – determinata da ansia o depressione per esempio – esiste una relazione stabilita geneticamente. Lungo lo “spettro” ci sono molte condizioni intermedie che possono definire il profilo psicologico di una persona: saranno anche gli eventi della vita a determinare lo spostamento verso un estremo o l’altro dello spettro.
Pathoplasty model: una spiegazione del disturbo antisociale
L’ultimo dei modelli che descrivono il rapporto tra personalità e psicopatologia è il pathoplasty. In genere, gli psicologi non fanno molto affidamento su questo modello perché è stato poco studiato ed è di difficile verifica per la natura delle sue ipotesi. In pratica, ci si aspetta che le manifestazioni di un disturbo mentale siano determinate dal tipo di personalità che precede l’esordio della psicopatologia. Per esempio, è possibile che le persone affette dal disturbo antisociale, prima della comparsa delle loro condotte aggressive e violente, siano caratterizzate da bassissimi livelli di inibizione comportamentale. Il disturbo antisociale si differenzia dall’asocialità. Sebbene sia caratterizzato da una visione distorta degli altri e dall’evitamento dell’intimità, le sue caratteristiche principali sono:
- l’inosservanza dei diritti degli altri
- i comportamenti aggressivi
- la manipolazione
- l’irresponsabilità
- la mancanza del senso di colpa e del rimorso
IL DESIDERIO DI CAMBIARE, DIFFICOLTÀ E POTENZIALITÀ
La personalità è una delle componenti più stabili della psiche umana, altamente resistente al cambiamento: gli schemi di pensiero, azione e relazione sono sostanzialmente stabili nel corso della vita. Ciò è ancor più vero quando si considerano i disturbi della personalità, come il disturbo schizoide. I criteri A, B, C e D per la diagnosi di un disturbo della personalità, secondo il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali , versione V (DSM 5, 2013), descrivono ottimamente questa caratteristica:
A) Un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia
marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo.
B) Il pattern abituale risulta inflessibile e pervasivo in una varietà di situazioni
personali e sociali.
C) Il pattern abituale determina un disagio clinicamente significativo e
compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre aree importanti.
D) Il pattern è stabile e di lunga durata, e l’esordio può essere fatto risalire
almeno all’adolescenza o alla prima età adulta.
L’invecchiamento interviene su questa strutturata stabilità, alterandola in maniera minima. Per esempio, alcuni disturbi della personalità regrediscono o migliorano con l’età (è il caso del disturbo borderline). Per quanto riguarda la configurazione di personalità normativa, è stato visto che man mano che invecchiano le persone mostrano una maggiore tendenza al conservatorismo e alla chiusura
Le nostre potenzialità sono il presupposto per cambiare
Se la nostra personalità è così strutturata, verrebbe da pensare che sia impossibile cambiare. Tuttavia le persone non sono passive di fronte agli eventi e, anzi, indirizzano con le loro scelte e le loro azioni il corso dell’esistenza. Le nostre potenzialità ci consentono di reagire alle difficoltà, di scegliere gli ambienti di vita migliori e di costruire il futuro. Il tema del cambiamento assume sempre più rilevanza nella psicologia moderna. La stessa psicoterapia è un potente fattore di cambiamento perché lavora sulle potenzialità e sulle inclinazioni individuali. Secondo Caspi e Roberts (2001) i principali mezzi per il cambiamento sono:
- I rinforzi e le punizioni. Per esempio, come i genitori tentano di modellare i propri figli
- L’autoriflessione. Riflettere sui limiti e misurarsi con nuove sfide, osservando il proprio successo.
- L’osservazione delle persone più significative, come i genitori, gli insegnanti o un amico.
- L’ascolto degli altri. Se i feedback che riceviamo non sono coerenti con l’immagine che di noi abbiamo, siamo spinti a cambiare.
Essere pronti per il cambiamento
Non ognuno di noi è sempre pronto per cambiare. Oltretutto, gli stessi specialisti della salute mentale devono fare attenzione a quando spingere i pazienti in terapia a farlo: se questi non si sentono pronti, o non sono consapevoli della necessità di cambiamento, possono reagire molto male fino ad interrompere il rapporto. Nei casi peggiori una persona non è nemmeno consapevole della problematicità dei suoi comportamenti o dei suoi pensieri: è solo grazie alle conseguenze che ne derivano – spesso in ambito relazionale – che si decide di iniziare una psicoterapia. A questo punto il terapeuta deve capire lo stato del suo cliente:
- Il paziente non ha nessuna intenzione di cambiare e non vede il problema. Il terapeuta deve pertanto costruire la motivazione al cambiamento.
- Il paziente riconosce che alcuni suoi atteggiamenti sono disfunzionali. Il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere i vantaggi di un’evoluzione.
- Il paziente si rende conto che ha bisogno di cambiare. Insieme al terapeuta definisce gli obiettivi da raggiungere a breve e lungo termine.
- Il paziente ha già in mente cosa vuole fare. Insieme al terapeuta stabilisce quali sono le azioni da eseguire.
Un paziente asociale
Necessariamente bisogna evitare di cadere nell’errore di pensare che essere asociali sia negativo in assoluto. La condizione più seria è probabilmente quella di chi è affetto dal disturbo schizoide. Anche in questo caso la consapevolezza del problema è assente e la persona è chiusa nelle sue convinzioni e nel suo desiderio di stare sola. Questo è problematico perché le impedisce di avere un impegno lavorativo, a meno che non riesca a trovare un’occupazione da svolgere in solitaria. Chiaramente la vita sociale è ridotta al minimo e la vicinanza intima è evitata perché induce ansia. La convinzione che sostiene questi comportamenti è che gli altri sono approfittatori, o che siano pronti a deridere. Quindi, hanno bisogno di fuggire dalla vicinanza e di stare da soli per sentirsi bene. Anche questo è un fattore che uno psicoterapeuta deve considerare: il paziente con disturbo schizoide ha bisogno di procedere con calma nel percorso che lo porta all’autoconoscenza. Su un piano più pratico, è utile insegnargli tecniche di interazione sociale che lo facciano apparire più coinvolto e meno distaccato e sfidare le convinzioni che lo fanno stare lontano dalla società.
Fonte
- Personalità. Determinanti, dinamiche, potenzialità
G. V. Caprara, D. Cervone (2000) - Testing the Vulnerability and Scar Models of Self-Esteem and Depressive Symptoms From Adolescence to Middle Adulthood and Across Generations
Developmental Psychology Journal