La prevalenza dell’epilessia fotosensibile è gradualmente aumentata dall’800. Le stimolazioni luminose intermittenti, la principale causa delle crisi dei pazienti, sono diventate più frequenti grazie al progresso tecnologico: TV, videogame, luci intense sono solo alcuni degli stimoli in grado di provocare un attacco. Vedremo che alcuni accorgimenti possono aiutare a gestire questa sindrome. Per esempio, potrebbero degli occhiali con le lenti blu eliminare il problema?
IN BREVE
Indice
EPILESSIA FOTOSENSIBILE: UNA SINDROME SEMPRE PIÙ FREQUENTE
Con epilessia (dal greco “epilambànein”, letteralmente “essere colti di sorpresa”) si intende un gruppo di sindromi la cui principale caratteristica è rappresentata da crisi causate dall’attività neuronale anomala, eccessiva o sincrona. Le crisi, essenzialmente, sono manifestazioni involontarie, imprevedibili e non previste che alterano uno o più dei seguenti aspetti:
- movimento
- funzioni sensoriali
- funzioni psichiche
- coscienza
L’interessamento delle funzioni motorie, sensoriali o psichiche è tipico delle crisi parziali o localizzate, e dipende dalla specifica area cerebrale colpita. In ogni caso, esse hanno origine nella corteccia, cioè nello strato superficiale del cervello dove sono localizzati i neuroni – materia grigia. Differentemente, al livello sottocorticale nascono le cosiddette crisi generalizzate. Dal momento che coinvolgono una regione anatomica importante per molte funzioni vitali, il tronco cerebrale, gli attacchi determinano la perdita di coscienza della persona. In verità, questo fenomeno può riguardare anche le crisi focali, tuttavia è una casistica meno frequente che si verifica solo quando l’attacco è così potente da arrivare ad estendersi al tronco cerebrale. Esistono fattori in grado di provocare le crisi, come lo stress, la deprivazione di sonno o particolari malattie, che i pazienti imparano a riconoscere e arginare. Più raramente, gli attacchi sono provocati da alcuni stimoli ambientali, come la luce o i suoni. In questo caso si tratta di crisi riflesse, e l’epilessia fotosensibile ne è un perfetto esempio.
Epilessia fotosensibile come si manifesta
L’epilessia fotosensibile è il tipo di sindrome più comune tra le epilessie riflesse, dal momento che riguarda circa il 2-5 % dei pazienti epilettici. Interessantemente, lo stimolo scatenante le crisi è la luce, come notò per la prima volta il neurologo inglese William Gowers, nel 1885. Nella sua pubblicazione “Epilepsy and Other Chronic Convulsive Diseases: Their Causes, Symptoms and Treatment” descrisse casi di persone che, senza alcun dubbio, sperimentavano le crisi in seguito all’esposizione alla luce solare. Nei decenni successivi, arrivando ai giorni nostri, la rilevazione di questa condizione è aumentata a causa della facilità con cui, ormai, le persone sono esposte a stimoli potenzialmente nocivi, come la televisione e i videogame. In genere, gli effetti sono i seguenti:
- Crisi tonico-cloniche generalizzate nel 79 % dei casi. Sono molto problematiche, caratterizzate dall’iniziale perdita di coscienza accompagnata dalla contrazione della muscolatura (arti, tronco ecc.). Questa fase, detta tonica , è seguita da una fase clonica in cui si manifestano contrazione e rilassamento muscolari – convulsioni – e apnea. Le due fasi, di breve durata (fino a 30 secondi), sono seguite da una ripresa che può durare diversi minuti, in cui l’individuo non è pienamente cosciente e ristabilito. Seguono un lungo sonno ed, eventualmente, amnesia. Tra i problemi associati, la caduta prodotta dalla crisi tonica, l’incontinenza e il morso alla lingua.
- Mioclonie bilaterali nel 6 % dei casi. Si tratta di contrazioni (mioclonie positive) e, meno spesso, di perdita del tono muscolare (mioclonie negative) di un muscolo o di un gruppo di muscoli (arti, tronco ecc.), riguardanti entrambi i lati del corpo.
- Crisi di assenza nel 10 % dei casi. È uno stato alterato di coscienza (massimo 40 secondi) in cui l’individuo interrompe ciò che stava facendo, ha lo sguardo perso nel vuoto e non risponde alle stimolazioni. In genere non c’è ricordo di questi episodi.
- Crisi focali nel restante 5 %.
Solitamente, anche se non sempre, il tipo di crisi esperita dal paziente è in relazione con le caratteristiche della sindrome epilettica da cui è affetto.
Epilessia fotosensibile crisi: il ruolo della TV e dei videogiochi
Per molti individui il primo episodio di epilessia fotosensibile si manifesta durante la visione di programmi televisivi, come in Europa, dove si ritiene che sia il fattore precipitante in oltre il 60 % dei casi. La ragione ha a che fare con lo sfarfallio di televisori e monitor, ovvero l’instabilità visiva – spesso non percepita – causata dalle sorgenti di luce fluttuante. L’effetto era anche peggiore per i televisori a tubo catodico, ma comunque i moderni display a cristalli liquidi e schermi al plasma non hanno eliminato il problema, a causa dei flash, delle oscillazioni spaziali, delle immagini che cambiano rapidamente ecc. Alcuni eventi hanno determinato numerosi casi di epilessia fotosensibile. Ad esempio, una pubblicità britannica del ’93 provocò crisi in almeno tre individui. Nel 1997, in Giappone, molte più persone, cinquecentosessanta, subirono le conseguenze di un episodio della serie Pokemon, in cui si alternavano per 4 secondi fotogrammi rossi e blu-ciano, due colori che hanno lunghezze d’onda molto diverse. Anche i videogiochi hanno scatenato crisi riflesse in diversi giocatori. Esistono casi documentati sin dal 1981, sia con i monitor, sia con le console. Tra i videogiochi implicati, Super Mario World, Street Fighter II e Super Bomberman II. Nel complesso, questi spiacevoli episodi hanno favorito l’introduzione di norme e linee guida utili a disciplinare l’uso delle stimolazioni luminose potenzialmente dannose per gli spettatori, attraverso restrizioni (riguardanti flash ripetuti ecc.) o l’utilizzo di filtri per TV. Alcuni paesi, in aggiunta, applicano ai programmi televisivi dei particolari test in grado di riconoscere il rischio di epilessia fotosensibile. Particolare attenzione è stata posta alla luce rossa, che ha la lunghezza d’onda più lunga e si è mostrata la più pericolosa per gli attacchi.
Chi rischia di soffrirne? Questione di sesso e di genetica
Circa una persona su quattromila soffre di epilessia fotosensibile, mentre ogni anno i nuovi casi sono 1.1 ogni centomila abitanti. Se, però, l’analisi viene ristretta alla fascia di età 7-19, i nuovi casi sono 5.7 per centomila abitanti ogni anno. In effetti la sindrome è più comune nei giovani, ed ha incidenza doppia nelle donne. Alla base di questa differenza potrebbe esserci l’azione svolta dagli ormoni sessuali, anche se non ci sono evidenze in questo senso. La prevalenza si ribalta decisamente se consideriamo i soli giocatori di videogame: la maggior parte di quelli che hanno l’epilessia è di sesso maschile. Comunque, sapere che l’82 % dei giocatori è di sesso maschile dovrebbe essere sufficiente per spiegare questa differenza. È certo che i fattori genetici partecipino allo sviluppo dell’epilessia fotosensibile. Questo è mostrato, ad esempio, da uno studio condotto su mamme affette dalla malattia. I loro figli sono stati monitorati nel tempo, risultando nel 25 % dei casi sensibili agli effetti della luce negli studi in laboratorio. Fra questi ultimi, circa la metà più tardi ha sviluppato epilessia fotosensibile o, comunque, riflessa. Implicitamente ciò ci suggerisce che le crisi riflesse causate dalla luce non sempre comportano una diagnosi di epilessia fotosensibile, ma approfondiremo questo aspetto più avanti. Infine, è appurato che gli eventi che mettono a rischio lo sviluppo cerebrale sano concorrono all’emergenza dell’epilessia. Tra essi i traumi prima o durante il parto, i traumi cranici e le infezioni cerebrali.
L’esame EEG è fondamentale per capire se un paziente è affetto dall’epilessia fotosensibile
Per una corretta diagnosi è necessario che il paziente si sottoponga ad un elettroencefalogramma (EEG), così da poter analizzare il tracciato dell’attività elettrica del cervello. Questo è importante perché permette allo specialista di individuare con accuratezza la sindrome del paziente e di escludere altre malattie o tipi di epilessia. Quando si ha il sospetto che il paziente abbia l’epilessia fotosensibile, il bersaglio dell’analisi EEG è la risposta fotoparossistica. Si tratta di un elemento anomalo del tracciato elettroencefalografico, in grado di indurre attacchi in circa il 75 % dei pazienti, che si verifica in seguito alla stimolazione luminosa. Per individuare la risposta fotoparossistica in laboratorio viene utilizzata la stimolazione luminosa intermittente, la cui esecuzione è disciplinata da linee guida internazionali. Ogni stimolazione prevede la presentazione di un certo numero di flash al secondo, in questo ordine: 1, 2, 4, 6, 8,10,12,14,16,18, 20, 60, 50, 40 e 25 flash/s. È importante che durante la sessione il paziente abbia gli occhi chiusi, perché le palpebre “diffondono” la luce e filtrano le lunghezze d’onda responsabili della percezione del rosso. Idealmente, sarebbe preferibile eseguire il test per ogni frequenza mentre il paziente chiude gli occhi, ad occhi chusi e ad occhi aperti. Le frequenze più problematiche sono quelle comprese fra 13 e 21 flash/s. Nel caso di una crisi il test va fermato all’istante, tuttavia non necessariamente una risposta fotoparossistica determina un attacco epilettico: è qui che un individuo affetto da una franca sindrome epilettica viene distinto da una persone che semplicemente è suscettibile alle crisi.
ANOMALE DELL’EEG NELL’EPILESSIA FOTOSENSIBILE: LA RISPOSTA FOTOPAROSSISTICA
Una risposta fotoparossistica all’EEG si manifesta con queste caratteristiche:
- punte occipitali
- punte parieto-occipitali
- punte parieto-occipitali con diffusione nella regione frontale
- punte-onde generalizzate o complessi polipunte-onda
Sebbene non sia chiaro il motivo, si pensa che la manifestazione di un tipo piuttosto che di un altro dipenda dall’età del paziente e dalla durata della stimolazione. I fattori genetici, inoltre, influenzano la sua trasmissione da una generazione all’altra. Comunque, nel tracciato EEG di una persona epilettica è frequente la rilevazione dei tipi 3 e 4. Per il resto, esistono persone sane il cui tracciato EEG mostra un tipo di risposta fotoparossistica, senza tuttavia determinare una crisi epilettica. Questi individui – circa lo 0.5 % della popolazione – non correrebbero nemmeno un maggiore rischio di sviluppare la sindrome e scoprono solo incidentalmente, grazie a un esame EEG di routine, di possedere questo tratto e di essere fotosensibili. La risposta fotoparossistica è rintracciata frequentemente nei bambini, nei quali si manifesta soprattutto attraverso i tipi 3 e 4, e ancor più nelle femmine adolescenti. Così come ci sono casi in cui la risposta fotoparossistica non è associata a una crisi, ce ne sono altri in cui le stimolazioni luminose intermittenti scatenano un attacco, ma senza la presenza di una risposta fotoparossistica. È successo ad alcuni videogamer, nei quali si ipotizza che l’affaticamento e il poco sonno possano determinare episodi epilettici. Uno studio del ’95 notò che il 2 % dei pazienti epilettici mostrava una risposta fotoparossistica all’EEG, mentre la percentuale saliva al 10 % considerando la sola fascia di età 7-19. Vediamo quali sono le condizioni associate a questo tratto.
Epilessia mioclonica giovanile di Janz
Si tratta della forma più diffusa di epilessia generalizzata. Esordisce durante l’adolescenza, provocando tremori al mattino, crisi tonico-cloniche generalizzate e mioclonie assiali. All’EEG il paziente può non mostrare anomalie, tuttavia la stimolazione luminosa intermittente e il sonno causano scariche diffuse e complessi polipunta-onda. Alcuni indizi pre-adolescienziali dovrebbero dar sospetto di questa malattia:
- mioclonie segmentali, o assiali, o entrambe in età prescolare
- assenze miocloniche in età prepuberale, in cui lo stato di assenza è accompagnato da mioclonie nelle zone orali e oculari
Questa sindrome è classificata tra le epilessie idiopatiche, così definite in ragione della mancanza di episodi pregressi capaci di spiegare l’esordio della malattia (lesioni ecc.). Nel 30-90 % dei casi è associata a risposta fotoparossistica.
Crisi di assenza
Anche definita piccolo male, è un’epilessia generalizzata che nel 18 % dei casi è caratterizzata da una risposta fotoparossistica alla stimolazione luminosa intermittente. I bambini iniziano a soffrirne tra i 4 e gli 8 anni, presentando diverse perdite giornaliere della vigilanza di cui non ricordano nulla. Durante l’episodio, tutte le attività svolte sono interrotte e il soggetto è incapace di rispondere a qualsiasi stimolazione. In genere, la sindrome scompare prima dell’età adulta. Altri sintomi possibili sono le contrazioni della muscolatura mimica e fenomeno tonico-atonici.
Sindrome di Dravet
La sindrome di Dravet compare entro il primo anno di vita del bambino con una prognosi molto sfavorevole. I principali sintomi dell’epilessia sono le crisi cloniche generalizzate. Sono limitate ad un lato del corpo, durano a lungo – anche un’ora – e sono accompagnate dalle fabbre. Nel secondo anno di età emergono alterazioni dello sviluppo psicomotorio:
- deficit linguistici
- disturbi del sonno
- postura anomala
- perdita della coordinazione (atassia)
- disturbi del comportamento e alterazioni emotive
Sindrome di Lennox-Gastault
È la sindrome più diffusa tra le epilessie generalizzate sintomatiche, dove il termine sintomatica sta ad indicare che le crisi del paziente sono indicative di e provocate da una lesione localizzata in una regione specifica del tessuto cerebrale. In genere, i bambini che ne soffrono hanno subito qualche sorta di trauma nel peripartum (emorragia, ischemia ecc.) o possiedono malformazioni cerebrali. Questi eventi causano inizialmente convulsioni, mioclonie e spasmi e poi portano allo sviluppo delle crisi vere e proprie:
- crisi toniche generalizzate durante l’addormentamento
- crisi parziali
- mioclonie
- assenze atipiche, più durature rispetto alle assenze tipiche e accompagnate da movimenti
Esordisce a 1-8 anni, si associa alla disabilità intellettiva ed è altamente resistente all’azione dei farmaci.
Grande male al risveglio ed epilessia mioclonica benigna dell’infanzia
Il grande male al risveglio è caratterizzato da crisi tonico-cloniche, della durata di un minuto circa, dopo il risveglio mattuttino e alla sera. Colpisce le persone con un’età compresa tra i 10 e i 20 anni e l’EEG rileva la risposta fotoparossistica nel 13 % dei soggetti affetti. L’epilessia mioclonica benigna dell’infanzia è una sindrome rara (<1 caso / 1 000 000) che compare nei bambini di 0-1 anni, causando brevi crisi mioclonciche. Negli anni della scolarità è frequente che sia accompagnata da ritardi dello sviluppo e difficoltà cognitive. La risposta fotoparossistica è presente nel 10 % dei casi.
UNA CURA PER L’EPILESSIA FOTOSENSIBILE: FARMACI, OCCHIALI E ACCORGIMENTI UTILI
Nel particolare campo dell’epilessia terapia e profilassi si sovrappongono, visto che l’obiettivo è quello di prevenire le crisi dei pazienti. Sfortunatamente, ciò non contempla la possibilità di prevenire l’esordio della sindrome vera e propria. Nessun elemento, incluse le convulsioni febbrili dei bambini, dovrebbe lasciar pensare ad un aumentato rischio di sviluppare la malattia e, quindi, alla necessità di prescrivere dei farmaci antiepilettici. Per la loro somministrazione è importante accertare la presenza dell’epilessia e la particolare sindrome in cui si presenta. Lo specialista che cura un paziente affetto da epilessia fotosensibile cerca di istruire quest’ultimo su come comportarsi con gli stimoli nocivi, invitandolo ad evitarli. Se necessario, consiglierà una terapia farmacologica. In generale, diversi farmaci possono ridurre o eliminare la risposta fotoparossistica (valproato di sodio, lamotrigina, vigabatrin), tuttavia la selezione deve tener conto della specifica sindrome di cui il soggetto soffre poiché ci sono sostanze benefiche per una epilessia, ma non per un’altra. Ad ogni modo, nel tempo la fotosensibilità diminuisce spontaneamente in alcuni casi. Può essere utile adottare alcuni accorgimenti insieme all’evitamento dello stimolo e alla farmacoterapia. Uno di questi è l’utilizzo di occhiali per epilessia fotosensibile. Essi possiedono lenti color blu, filtri Zeiss F133, in grado di ridurre o eliminare la risposta fotoparossistica e le crisi. Uno studio di Capovilla e collaboratori (2006), in particolare, ha validato il loro utilizzo. In un campione di oltre seicento pazienti, hanno potuto vedere come le lenti erano in grado di eliminare la risposta fotoparossistica all’EEG in oltre il 75 % dei soggetti. Questa risultava comunque ridotta nel 17.9 % dei casi, mentre non avevano efficacia solo nel restante 6.2 %.
Fonte
- Photosensitive epilepsy and image safety
Applied Ergonomics - Clinical advances in photosensitive epilepsy
Brain Research - Fondamenti di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza
V. Guidetti (2005)