Il morbo di Parkinson è la malattia neurodegenerativa del movimento più diffusa. Tremore, rigidità, lentezza e alterazioni della postura e della marcia sono i suoi sintomi principali, tuttavia non sono trascurabili gli effetti dei sintomi neuropsichiatrici sulla vita del paziente. La malattia è progressiva e incurabile, ma gli studi genetici proseguono nel tentativo di capirne i meccanismi e trovare un trattamento.
IN BREVE
Indice
- 1. TRAP: I DISTURBI PRINCIPALI DEL MORBO DI PARKINSON
- 2. PEGGIORARE UNA SITUAZIONE COMPROMESSA: I DISTURBI PSICHIATRICI E NEUROLOGICI
- 3. UNA DIAGNOSI ACCURATA PER DISTINGUERE IL PARKINSON DAI PARKINSONISMI
- 4. MORBO DI PARKINSON CAUSE: COSA SAPPIAMO, COSA C’È DA SCOPRIRE
- 5. LE ATTUALI CURE DEL MORBO DI PARKINSON NON BASTANO: L-DOPA E STIMOLAZIONE CEREBRALE
TRAP: I DISTURBI PRINCIPALI DEL MORBO DI PARKINSON
Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa del movimento. Neurodegenerativa significa che la patologia si associa alla morte progressiva di gruppi di neuroni, mentre del movimento indica che i suoi sintomi principali riguardano il comportamento motorio. Per far loro riferimento viene usato l’acronimo TRAP: Tremor at rest, Rigidity, Akinesia, Postural instability. Questi, effettivamente, sono i segni principali del morbo di Parkinson, anche se ce ne sono altri non contenuti nell’acronimo, come la postura flessa e il freezing. La postura flessa è caratterizzata dalla flessione in avanti del collo e del tronco, dalla flessione dei gomiti e delle ginocchia e dalla rotazione verso l’interno delle braccia. L’asse corporeo è tanto rigido da poter scatenare problemi come la scoliosi o la camptocormia, un’estrema flessione in avanti del busto durante la marcia, assente, invece, da seduti o in posizione supina. Il freezing, una forma di bradicinesia, è l’arresto transitorio (dura meno di 10 secondi) di un movimento. In genere riguarda le gambe: ciò può ritardare l’inizio della marcia o interromperla durante la deambulazione, favorendo la caduta della persona. Per evitarle, i pazienti usano un bastone o tentano di forzare il moto spostando il peso del corpo. Come la postura flessa, compare perlopiù negli stadi avanzati del Parkinson.
Il tremore a riposo
Senz’altro è il sintomo più comune e riconoscibile del morbo di Parkinson durante lo stato di quiete, mentre scompare durante l’azione o nel sonno. Si manifesta in un solo lato del corpo – unilaterale -, ad una frequenza di 4-6 Hz, ed è prevalente al livello degli avambracci e delle mani: in tal caso viene definito “pill rolling“, dal momento che il tremore somiglia all’atto di arrotolare una pallina. Più raramente colpisce altre parti, come le gambe, le labbra, il mento o la mascella, anche se un tremore posturale molto fastidioso può essere il primo sintomo del Parkinson. Interessantemente, i malati talvolta riferiscono agli specialisti di avvertire un tremore interno al corpo, non visibile esternamente. Si stima che in qualche fase della malattia riguardi tutti i pazienti e che sia causato dalla morte dei neuroni dopaminergici A8 del mesencefalo.
La rigidità muscolare
L’aumentato tono muscolare e la resistenza ai movimenti passivi definiscono la rigidità nel Parkinson. La resistenza involontaria ai movimenti passivi, ad esempio indotti dal medico, riguarda le mobilizzazioni in flessione, estensione e rotazione di molte parti del corpo: collo, spalle, polsi, caviglie ecc. È caratteristico che durante il tentativo di moto si verifichino movimenti a scatto, come se l’articolazione si muovesse lentamente e ritmicamente su una ruota dentata (cogwheel phenomenon). La rigidità provoca dolore, soprattutto alle spalle, e può essere scambiata per artrite o borsite: far eseguire al paziente particolari manovre con il braccio controlaterale – segno di Froment – può aiutare il clinico a svelare precocemente uno dei primi segni della malattia e ad escludere diagnosi errate.
Acinesia/Bradicinesia
Se l’acinesia si caratterizza per la difficoltà ad iniziare il movimento, la bradicinesia si presenta con dei movimenti rallentati. Nel morbo di Parkinson non c’è una totale distinzione fra esse, per cui generalmente si è soliti parlare di bradicinesia. Le azioni della vita quotidiana vengono eseguite molto lentamente (abbottonarsi la camicia, utilizzare un oggetto ecc.), i gesti spontanei diminuiscono ed emergono diverse complicanze:
- sbavamento eccessivo (scialorrea) e disfagia causati dalle difficoltà di deglutizione
- disartria, ovvero l’alterata capacità di articolare le parole
- ridotta espressività facciale (amimia)
Per verificare la presenza della bradicinesia, gli specialisti fanno eseguire alle persone movimenti rapidi e ripetuti con la mano (finger tapping ecc.) e verso i talloni (heel taps), per valutarne la velocità e l’ampiezza. Un fenomeno interessante è la cinesia paradossa, ovvero la ricomparsa temporanea della rapidità e dell’efficienza dei movimenti. Un allarme che segnala un pericolo, per esempio, è in grado di far correre rapidamente via un paziente nonostante la sua compromissione motoria. Evidentemente i trigger esterni, che influenzano lo stato emotivo, aiutano la persona ad eseguire i movimenti necessari. Questa normale facoltà è alterata dalla ridotta disponibilità di dopamina nel cervello, un neurotrasmettitore che, come vedremo, è importante per la facilitazione del movimento.
L’instabilità posturale
Nella fase avanzata della malattia, di solito quando tutti gli altri sintomi motori sono comparsi, diversi pazienti perdono i riflessi posturali. Il pull test è in grado di evidenziare questo fenomeno: il soggetto viene spinto sulle spalle, in avanti o indietro, per valutare se la capacità di recuperare l’equilibrio è intatta o meno. È un problema invalidante, specialmente perché facilita le cadute a terra e il rischio di fratture, così come i problemi di ansia legati agli incidenti. Attualmente, nessun trattamento è in grado di correggere significativamente le alterazioni della postura e dell’equilibrio.
Altre complicanze: riflessi, marcia, respirazione
Il morbo di Parkinson è associato alla degenerazione di nuclei di neuroni sottocorticali, con ripercussioni sul funzionamento del lobo frontale. Una delle conseguenze di questa compromissione è la riemergenza dei riflessi primitivi neonatali in una parte dei pazienti. Parliamo, in particolare, dei riflessi:
- Glabellare (80.5 % dei pazienti). Si tratta dei battiti di ciglia provocati dal tocco ripetuto della glabella, la porzione di fronte tra i due occhi. Negli adulti il riflesso si estingue, mentre nei malati di Parkinson riemerge.
- Palmo-mentoniero (34.1 % dei pazienti). Premendo il palmo del paziente, si produce la contrazione dei muscoli del mento o la rotazione del capo verso la stimolazione. È assente negli adulti.
Per il resto, la deambulazione dei pazienti è lenta, con i passi trascinati e le braccia non oscillanti, e il baricentro spostato in avanti, rendendo l’arresto della marcia complicato. Da segnalare, inoltre, le anomalie neuro-oftalmologiche (ridotta convergenza, crisi oculogire, riduzione dei battitti delle palpebre o blefarospasmo) e gli eventuali disturbi respiratori ostruttivi e restrittivi connessi alla rigidità muscolare.
PEGGIORARE UNA SITUAZIONE COMPROMESSA: I DISTURBI PSICHIATRICI E NEUROLOGICI
Altri disturbi, meno considerati ma ugualmente invalidanti, affliggono i pazienti. Per esempio, l’insonnia e l’eccessiva sonnolenza diurna sono abbastanza frequenti e, talvolta, provocati dai farmaci. Si verificano, poi, anche problematiche differenti, come la sindrome delle gambe senza riposo, l’apnea notturna, i sogni vividi e soprattutto il disturbo comportamentale del sonno REM. Quest’ultimo colpisce un terzo delle persone con il Parkinson, eliminando la normale atonia muscolare provocata dalla fase REM del sonno e facendo sì che il paziente metta in atto i suoi sogni. Sfortunatamente il contenuto dei sogni è spesso violento, quindi agirli (urlare, sferrare pugni e calci, saltare ecc.) è pericoloso per l’incolumità fisica del paziente e del suo eventuale compagno di letto. Per quanto riguarda la vita diurna, meritano attenzione:
- Le disfunzioni autonomiche: ipotensione ortostatica, sudorazione, impotenza erettile.
- I disturbi gastrointestinali: vomito, nausea, incontinenza, ageusia, disfagia.
- I sintomi sensoriali: iposmia o anosmia, dolore, parestesia, vista offuscata o doppia.
I disturbi del sonno potrebbero dipendere dalla morte dei neuroni che secernono l’orexina, un neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione del ritmo sonno-veglia. La diminuzione della materia grigia nell’amigdala e nel bulbo olfattivo, invece, potrebbe favorire i disturbi dell’olfatto.
La demenza, non sempre un sintomo del morbo di Parkinson
Il Parkinson viene definito demenza sottocorticale, poiché la neurodegenerazione interesserebbe le strutture profonde – sottocorticali – del cervello, causando la demenza. Secondo le stime più alte il 93 % dei pazienti è demente, ma questo dato sembra eccessivo. La compromissione cognitiva che interessa i malati, talvolta causata dai sintomi psichiatrici o dai farmaci, spesso interferisce solo lievemente con l’autonomia della persona. Secondo altri studi, pertanto, una prevalenza della demenza più realistica è del 30 % circa. Comunque, le principali anomalie riguardano le funzioni esecutive: difficoltà a riorganizzare l’azione quando le regole per la risoluzione di un compito variano (set shifting); ridotta capacità di pianificazione; problemi a inibire le risposte abituali – quando al paziente è chiesto di usare una strategia diversa – e a orientare selettivamente l’attenzione. Sono coinvolte, inoltre, la memoria di lavoro – capacità di mantenere le informazioni in memoria e di manipolarle – e la fluenza verbale fonologica – capacità di generare più parole possibili relative a una categoria. Per il resto, è stata riscontrata la presenza di disturbi del linguaggio, in particolare difficoltà a denominare correttamente le cose (deficit di denominazione); e disturbi della memoria, in particolare difficoltà a rievocare le parole apprese. Dipendendo la rievocazione da strategie sostenute dal lobo cerebrale frontale, si pensa che il disturbo sia di natura esecutiva.
I disturbi psichiatrici peggiorano la qualità della vita
La condizione psichiatrica più frequente (58 % dei casi) nel morbo di Parkinson è la depressione. La maggior parte dei pazienti manifesta una sintomatologia depressiva caratterizzata da ansia, irritabilità, perdita di energie, rallentamento psicomotorio e pessimismo, mentre una parte minore è affetta dalla depressione più grave. Benché possa trattarsi di una reazione emotiva alla comparsa della malattia, è verosimile che la depressione abbia origine dalle alterazioni anatomiche e funzionali che colpiscono il cervello. Prima fra tutte, la riduzione della trasmissione di dopamina che potrebbe danneggiare il sistema cerebrale del piacere. Fa seguito l‘apatia (54 % dei casi), intesa come perdita della motivazione e appiattimento emotivo. Sarebbe causata dalla disfunzione dei lobi frontali e favorirebbe l’isolamento del malato. Così come l’apatia, l‘ansia (49 %) è uno dei sintomi iniziali del morbo di Parkinson. Può trattarsi di un disturbo (per esempio, disturbo da panico) o di sintomi ansiosi ma non gravi. L’agitazione e la preoccupazione eccessiva, per esempio, sono sintomi frequenti nelle persone che a causa della malattia sono soggette a cadute. Infine, il 6-25 % dei pazienti, specie quelli maschi e meno anziani, ha un disturbo del controllo degli impulsi. Si tratta di comportamenti ripetitivi, compulsivi ed eccessivi come lo shopping o l’alimentazione incontrollati, il gioco d’azzardo e l’ipersessualità.
UNA DIAGNOSI ACCURATA PER DISTINGUERE IL PARKINSON DAI PARKINSONISMI
Il morbo di Parkinson viene anche definito idiopatico o primario, e va distinto dai cosiddetti parkinsonismi, malattie talvolta più gravi in cui i segni del Parkinson si associano ad altri sintomi. Differenziare queste condizioni è arduo però, soprattutto all’inizio della malattia. A 5 anni dalla prima consultazione il 35 % dei pazienti riceve una diagnosi diversa dalla precedente, mentre nel 10 % dei casi l’autopsia post-mortem rivela che la diagnosi del malato era errata. Il riconoscimento di alcuni sintomi e gli esami opportuni possono aiutare il clinico a non sbagliare. In primis, il Parkinson nove volte su dieci è associato ad un disturbo dell’olfatto, rarissimo o assente nei parkinsonismi. Poi, le immagini pesate in diffusione ottenute mediante risonanza magnetica, sensibili al moto delle particelle di acqua, riescono a rilevare la presenza di danni alle fibre dei neuroni della regione chiamata striato. Questo tipo di danno, in genere, riguarda il parkinsonismo ma non il Parkinson. Anche le indagini eseguite con la sonografia transcranica sono utili. Usando questa procedura è possibile ottenere delle immagini sulla base dell’iperecogenicità, ovvero la proprietà dei tessuti di riflettere gli ultrasuoni. La substantia nigra, un’area vicina allo striato e colpita dalla neurodegenerazione, è iperecogena in più del 90 % dei casi di Parkinson. Questi strumenti rappresentano un supporto all’esame clinico, il quale dovrà accertare la diagnosi di Parkinson escludendo altre sindromi. Alcune sono descritte qui di seguito.
Tremore essenziale
Il tremore essenziale è una sindrome ipercinetica non parkinsoniana, caratterizzata da tremori d’azione che riguardano entrambi i lati del corpo. La natura del tremore sarebbe di per sé sufficiente a differenziare questa malattia dal Parkinson, tuttavia, nel 20 % dei casi, viene fatta una diagnosi sbagliata. Il fatto che in un paziente con tremore essenziale su dieci il primo anno di malattia sia associato alla presenza di un tremore che è unilaterale e si manifesta anche nello stato di quiete – come nel Parkinson -, potrebbe in parte spiegare la confusione tra le due patologie. Per il resto, nessun altro evidente segno neurologico è tipico del tremore essenziale, mentre dal punto di vista cognitivo chi ne è affetto ha una compromissione maggiore della memoria di lavoro e della fluenza verbale rispetto ai soggetti parkinsoniani.
Parkinsonismo secondario
Il parkinsonismo secondario può essere scatenato da diverse cause: infezioni (AIDS, malattia da prioni ecc.), intossicazioni (da monossido di carbonio, manganese ecc.), tumori cerebrali, traumi cranici, fattori metabolici (nell’ipossia, ipoparatiroidismo ecc.), malattie (idrocefalo normoteso ecc.) e disturbi psicologici. La ragione più frequente, però, è l’assunzione dei farmaci che riducono l’attività della dopamina, come gli antipsicotici e gli antiemetici. Se un paziente ha una storia di assunzione di questi farmaci, la diagnosi di parkinsonismo secondario andrebbe considerata. Tuttavia, non sempre la loro sospensione è seguita dalla remissione dei sintomi, e per di più, se anche così fosse, non in tutti i pazienti è possibile escludere la compresenza di un Parkinson primario. Un segno distintivo del parkinsonismo secondario è, di solito, la presenza di movimenti involontari orofacciali (discinesia orofacciale) o di irrequietezza implacabile (acatisia).
Parkinsonismo eredodegenerativo
Il parkinsonismo è tipico di alcune malattie a trasmissione familiare caratterizzate da un andamento cronicizzante e da una prognosi sfavorevole, definite eredodegenerative. Tra esse:
- Malattia di Huntington ad esordio giovanile o variante Westphal. È associata a movimenti involontari a scatti, cambiamenti della personalità e sintomi parkinsoniani, quali rigidità e bradicinesia, trattati con farmaci dopaminergici. L’area cerebrale colpita è quella dei gangli della base, che include i già citati striato e substantia nigra.
- Malattia di Wilson. Caratterizzata da epatite e segni neurologici, come tremore e distonia. Viene gestita con una dieta a basso contenuto di rame e farmaci (penicillamina, trientina).
- Neuroacantocitosi. Gruppo di malattie genetiche in cui i movimenti a scatto e le turbe psichiche possono essere accompagnati da sintomi motori e parkinsoniani. Di nuovo, sono interessati i gangli della base.
- Lubag o distonia-parkinsonismo associata al cromosoma X. Malattia diffusa soprattutto tra i maschi delle Filippine, talvolta caratterizzata dai sintomi motori del Parkinson e legata alla neurodegenerazione dei gangli della base.
Parkinsonismi atipici
A questa categoria appartengono malattie neurologiche neurodegenerative con un decorso più rapido e una prognosi peggiore rispetto al morbo di Parkinson. Partiamo dal descrivere l’atrofia multisistemica, la cui diagnosi differenziale col Parkinson è complicata da manifestazioni comuni ad entrambe le condizioni: i sintomi motori, le alterazioni vegetative (incontinenza e ipotensione ortostatica) e neuropsicologiche (deficit dell’attenzione, della memoria, delle funzioni esecutive ecc.). Nel caso della paralisi sopranucleare progressiva, invece, il profilo neuropsicologico può aiutare il clinico a escludere una forma idiopatica. Infatti, i pazienti che ne sono affetti forniscono performance peggiori nei domini della fluenza verbale, del set shifting e dell’attenzione visuo-spaziale. C’è poi la sindrome cortico-basale, che condivide con il Parkinson i disturbi della marcia e la rigidità, mentre i segni distintivi per la sua diagnosi dovrebbero essere l’aprassia e l’incapacità di generare movimenti volontari al livello faringo-bucco-facciale (aprassia bucco-facciale). Infine, la demenza a corpi di Lewy, la più frequente demenza neurodegenerativa dopo il morbo di Alzheimer. La natura bilaterale del parkinsonismo (rigidità degli arti, bradicinesia) e la manifestazione della demenza negli stadi iniziali della malattia dovrebbero escludere una diagnosi di morbo di Parkinson. D’altra parte, progredendo le due condizioni diventano molto simili, sia in termini di sintomi, sia in termini di danno cerebrale e compromissione cognitiva.
MORBO DI PARKINSON CAUSE: COSA SAPPIAMO, COSA C’È DA SCOPRIRE
Il morbo di Parkinson affligge l’1 % dei sessantacinquenni, mentre a 85 anni l’incidenza raggiunge il 5 %. I metalli pesanti e i pesticidi aumentano modestamente i rischi connessi al suo esordio, ma non sono trascurabili i fattori genetici, vista la presenza di una storia familiare positiva nel 10-15 % dei casi che aumenta il rischio di malattia nei parenti di primo grado di un paziente. Lo studio delle forme familiari ha aumentato le conoscenze sui meccanismi genetici potenzialmente collegati al Parkinson primario. Queste forme (<10 % dei casi) sono a trasmissione:
- Autosomica dominante. Le mutazioni di senso a carico del gene SNCA, codificante per la proteina alfa-sinucleina, causano il Parkinson precoce (40, 50 anni) caratterizzato dai sintomi motori, dalla demenza e dalla rapida progressione della malattia. Presente, inoltre, una diffusa distribuzione nel cervello di corpi di Lewy. Le mutazioni del gene LRRK2, invece, sono in relazione con la manifestazione tardiva dei sintomi parkinsoniani e con la morte dei neuroni dopaminergici.
- Autosomica recessiva. Le mutazioni del gene PARK2, che codifica per la proteina parkina, sono la principale causa del Parkinson giovanile (anche prima dei 20 anni). In questa forma, a lenta progressione, la morte dei neuroni dopaminergici, con la relativa assenza di corpi di Lewy, è accompagnata da sintomatologia prettamente motoria e distonia, con una buona risposta al farmaco levodopa. Effetti simili sono prodotti dalle mutazioni dei geni PINK1 e PARK7.
Dalle mutazioni genetiche alla morte dei neuroni: il ruolo della dopamina e dei corpi di Lewy
Le mutazioni dei geni LRRK2, SNCA e PARK2 sembrano poter riguardare anche le forme di Parkinson sporadico, o primario. La parkina (PARK2) permette la corretta attività dell’ubiquitina-proteosoma, un macchinario proteico responsabile della degradazione delle proteine danneggiate o mutate. È un meccanismo fondamentale, impedito, tuttavia, dai danni a carico della parkina. In effetti, gli esami autoptici mostrano che l’azione del proteosoma è ridotta nella substantia nigra, uno dei nuclei sottocorticali dei gangli della base. Gli altri sono il caudato e il putamen (che insieme formano lo striato), il globo pallido e il nucleo subtalamico. La pars compacta della substantia nigra, dove sono presenti i corpi dei neuroni che rilasciano dopamina nello striato, è largamente interessata dalla neurodegenerazione. La morte delle cellule potrebbe essere indotta dalla formazione al loro interno dei corpi di Lewy, aggregati sferici di alfa-sinucleina e altre proteine come l’ubiquitina. L’accumulo di alfa-sinucleina (forse favorito dalle mutazioni del gene SNCA) interferisce con l’attività dell’ubiquitina-proteosoma e fa sì che i neuroni ricaptino grandi quantità di dopamina dallo spazio intercellulare, finché non se ne crea una presenza eccessiva nell’ambiente intracellulare. Qui, la dopamina viene ossidata e, interagendo con l’alfa-sinucleina, ha un effetto tossico per l’ubiquitina-proteosoma e per il neurone.
La lesione dei gangli della base compromette diverse funzioni nel morbo di Parkinson
La formazione dei corpi di Lewy è, in genere, distribuita, e avverrebbe secondo una progressione definita (stadiazione di Braak): nel ponte e nel bulbo del tronco cerebrale nella fase prodromica della patologia; nei gangli della base, quando i sintomi motori sono evidenti; infine nella corteccia, con la comparsa delle alterazioni cognitive. Il danno ai gangli della base, quindi, non è il solo che si produce nella malattia di Parkinson, eppure è molto rilevante, vista la moltitudine di funzioni che richiedono la loro integrità. Prima fra tutte il controllo del movimento, inteso come regolazione della forza della contrazione muscolare e inibizione dei movimenti indesiderati. I disturbi motori del Parkinson sono causati dalla neurodegenerazione di questa regione, soprattutto della substantia nigra. I gangli, in aggiunta, fanno parte del circuito di controllo delle saccadi: quando lesionati, come nel Parkinson, i movimenti oculari possono risultare rallentati o errati. Il coinvolgimento, infine, nel circuito cognitivo (prefrontale) e in quello emotivo (limbico), suggerisce una possibile associazione tra degenerazione gangliare e, rispettivamente, disfunzione esecutiva e apatia. In tutti i circuiti descritti, lo striato funziona come una stazione di entrata delle informazioni provenienti dalla corteccia. Successivamente, i neuroni dei restanti nuclei si occupano dell’elaborazione dei segnali, eventualmente comunicando di nuovo con le regioni corticali. Cosa succede quando la substantia nigra non è più efficiente?
La morte dei neuroni della substantia nigra e la difficoltà di movimento
Dopo che lo striato abbia ricevuto le informazioni in entrata dalla corteccia motoria, possono attivarsi due vie dipendenti dagli impulsi eccitatori dei neuroni che rilasciano il neurotrasmettitore glutammato (neuroni glutammatergici) o dagli impulsi inbitori di quelli che rilasciano il neurotrasmettitore GABA (neuroni GABAergici):
- Via diretta. I neuroni glutammatergici della corteccia eccitano i neuroni GABAergici dello striato, stimolando rilascio di GABA. Il GABA agisce sui neuroni GABA del globo pallido interno, inibendoli. È, questa, una doppia inibizione: il globo pallido interno cessa la pressione inibitoria sui neuroni glutammatergici del talamo, i quali aumentano la frequenza degli impulsi eccitatori verso la corteccia. Questo meccanismo favorisce il movimento.
- Via indiretta. I neuroni glutammatergici della corteccia eccitano i neuroni GABAergici dello striato, stimolando rilascio di GABA. Il GABA agisce sui neuroni GABA della porzione esterna del globo pallido, inibendoli. Questa doppia inibizione fa sì che il globo pallido esterno perda il controllo inibitorio sul nucleo subtalamico. I neuroni glutammatergici in questa area inviano impulsi eccitatori ai neuroni GABA del globo pallido interno. Come atto finale, questi eserciteranno una pressione inibitoria sui neuroni glutammatergici del talamo, impedendo la trasmissione di segnali alla corteccia motoria. Il movimento viene sfavorito.
Mediante la via nigrostriatale, i neuroni della substantia nigra rilasciano dopamina nello striato: essa è in grado sia di eccitare la via diretta, sia di inibire quella indiretta. In altre parole, facilita sempre il movimento. Tuttavia, a causa della morte dei neuroni, la disponibilità di dopamina nello striato è assente. Nessuna inibizione o eccitazione delle vie è ancora possibile, anzi: la via indiretta diventa dominante e gli impulsi verso la corteccia si riducono, causando la difficoltà e la lentezza dei movimenti.
LE ATTUALI CURE DEL MORBO DI PARKINSON NON BASTANO: L-DOPA E STIMOLAZIONE CEREBRALE
I sintomi del morbo di Parkinson non sono fatali, ma nelle fasi avanzate della malattia rendono la persona fragile e vulnerabile a diversi problemi di salute, aumentando il rischio di morte. Non esistono cure capaci di arrestare questa progressione, ma soltanto trattamenti in grado di gestire i sintomi per periodi di vita relativamente lunghi, anche se non tutti i pazienti sopravvivono a lungo. Nel 1919 fu visto che nel cervello dei soggetti affetti dal Parkinson c’era una sostanziale perdita dei neuroni della substantia nigra, mentre al 1957 risale la scoperta del ruolo della dopamina nella patologia. Nel 1960 fu definitivamente chiarito che la concentrazione di dopamina era ridotta nello striato, e così sembrò una buona soluzione somministrare ai pazienti farmaci in grado di aumentarne la disponibilità nel cervello, come la levodopa (o L-DOPA). L-DOPA, un precursore naturale della dopamina, al contrario di quest’ultima è capace di attraversare la barriera ematoencefalica. Una volta raggiunto il cervello, viene catturata dai neuroni dopaminergici e, grazie all’azione dell’enzima Dopa decarbossilasi, diventa dopamina: così i restanti neuroni della substantia nigra (20-30 % del totale) rilasciano maggiori quantità di neurotrasmettitore, alleviando i sintomi motori della persona. Dapprima iniettata e, qualche anno dopo, assunta sotto forma di compresse, già nel 1961 iniziò a mostrare la sua efficacia.
Gli effetti collaterali del trattamento con L-DOPA
Solitamente L-DOPA viene assunta con il carbidopa, un inibitore della Dopa decarbossilasi. Questo enzima, infatti, non è attivo solo nel sistema nervoso centrale, ma anche nel resto dell’organismo, specialmente nell’intestino. Prevenendo la conversione in dopamina (solo al di fuori della barriera ematoencefalica), la somministrazione del carbidopa fa sì che le quantità di L-DOPA che raggiungono il cervello siano maggiori, permettendo così di mantenere basso il dosaggio del farmaco. Inoltre, ha il vantaggio di prevenire gli effetti indesiderati dell’elevata concentrazione di dopamina nell’organismo, quali nausea, vomito, aritmie ed ipotensione. Nausea e vomito, tuttavia, possono essere resistenti all’azione del carbidopa. Conseguenze peggiori sono determinate dal trattamento a lungo termine, che pure è necessario, poiché L-DOPA riduce i sintomi, ma non arresta la progressiva neurodegenerazione sottostante. Una di esse è la discinesia (33 % dei pazienti dopo 2 anni di trattamento, 80 % dopo 10 anni), che consiste di movimenti involontari tanto debilitanti da poter annullare i benefici ottenuti con L-DOPA. Le sue cause non sono note e nemmeno la sua cura, ma è provocata dall’assunzione di L-DOPA. Un’altra conseguenza è il fenomeno ON-OFF: nella fase ON, il farmaco esercita i suoi normali effetti; nella fase OFF i sintomi peggiorano. Dopo molti anni dall’inizio delle cure, le fasi OFF aumentano, così come le transizioni tra le due fasi. L’unica via percorribile resta l’aumento delle dosi, con ripercussioni ulteriori sugli effetti collaterali.
Stimolazione cerebrale profonda: quando i farmaci non funzionano più
Dopo diverso tempo dall’inizio della terapia farmacologica (10 anni o meno) nuove procedure mediche possono essere necessarie per contrastare l’aggravarsi dei sintomi. La stimolazione cerebrale profonda non arresta la neurodegenerazione, ma è la soluzione migliore ad oggi. Si tratta di un’operazione chirurgica nella quale vengono effettuati dei fori nel cranio, per impiantare permanentemente gli elettrodi per la stimolazione; contestualmente nella regione clavicolare, o addominale o toracica viene inserito sotto pelle un generatore di impulsi, collegato all’elettrodo da un filo sottocutaneo. La procedura è delicata, pertanto l’utilizzo delle neuroimmagini è necessario per il corretto posizionamento dell’elettrodo nelle strutture target di entrambi gli emisferi, ovvero globo pallido e nucleo subtalamico. Allo stesso tempo, il dosaggio dei farmaci assunti deve essere rimodulato e monitorato nel tempo. In caso di successo – talvolta impedito da infezioni o rari effetti collaterali -, la stimolazione elettrica allevierebbe particolarmente i disturbi della marcia e della postura e permetterebbe di ridurre il dosaggio di L-DOPA. Un beneficio migliore può derivare dalla stimolazione congiunta del nucleo subtalamico e del nucleo peduncolopontino, un gruppo di neuroni del tronco cerebrale coinvolti nel controllo della deambulazione. Il principale effetto collaterale, in questo caso, è la parestesia temporanea degli arti inferiori. Non sono noti i meccanismi che mediano l’azione positiva della stimolazione cerebrale profonda – uno di essi potrebbe essere l’aumentato rilascio di dopamina -, né è chiaro se i benefici durino a lungo. In ogni caso, non tutti sopportano questo trattamento: la scelta deve basarsi sull’età e sulla comprimissione motoria e neuropsichiatrica del malato.
Fonte
- Parkinson’s disease: clinical features and diagnosis
Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry - Genetics of Parkinson’s disease and related disorders
Journal of Medical Genetics - The diagnosis of Parkinson’s disease
The Lancet Neurology