Questo articolo si propone di analizzare la base della musicoterapia. Non desidera discutere di tecnicismi clinici, né parlare di frequenze, tonalità, timbri o teoria musicale nello specifico. Per affrontare il discorso della musicoterapia nel suo insieme, non basterebbe un libro da migliaia di pagine; tuttavia, pare che il metodo risulti molto efficace nel ristrutturare il funzionamento cerebrale. Come mai? Su che base funziona?
IN BREVE
MUSICOTERAPIA: COS’È?
La musicoterapia è una disciplina che utilizza l’attività musicale come strumento terapeutico, riabilitativo, educativo e / o di prevenzione. È noto come musica, suoni ed attività annesse (suonare insieme ad esempio), portano benefici per la salute, si pensi al cosiddetto white noise, oppure ai toni binaurali. Sembra inoltre che tutti presentino una predisposizione spontanea all’ascolto e alla riproduzione di melodie più o meno complesse, come se geneticamente fossimo programmati per fruire della musica e produrla, anche a partire dal più semplice e meno piacevole dei suoni. In effetti, non è difficile per l’uomo identificare regolarità melodiche all’interno di ambienti sonori apparentemente privi di musicalità, ad esempio una stanza oppure le strade di una metropoli, August Rush docet, o dopo di lui, produttori musicali contemporanei come Andrew Huang. Philip Ball in L’istinto musicale. Come e perché abbiamo la musica dentro ci spiega che l’uomo è spontaneamente predisposto ad unire i suoni in melodie, ad identificarne il mood e le relazioni sonore. Chiunque può cercare e trovare online «suoni per dormire meglio» oppure «musica per concentrarsi»; è sufficiente scrivere sul Tubo «musica a 432 Hz» per ottenere una pletora di risultati sulla Love Frequency, o frequenza di guarigione, senza parlare della moda ASMR che di recente sta dilagando sui canali di streaming con migliaia di video incentrati su bisbigli e altri suoni dal potere rilassante. Queste soluzioni auto-curative hanno un fondo di verità che le accomuna; dopotutto, se un accordo è dissonante lo è per tutti, non è una questione di gusto soggettivo; poi può piacere oppure no, ma questa è un’altra storia. C’è qualcosa che contraddistingue determinate frequenze o progressioni armoniche, e le caratterizza in modo univoco. Per questa ragione sono sufficienti i primi secondi di una canzone per farci capire se quel pezzo va inserito nella playlist «musica allegra» oppure «rainy day». La musicoterapia nei bambini e negli adulti, con i suoi corsi e master, insegna ad identificare questi elementi al fine di usarli consapevolmente per trattare in modo tecnico e mirato alcuni disturbi psicologici, riabilitare i pazienti da condizioni neurologiche debilitanti o potenziare le abilità degli individui.
Perché la musica rende unico l’uomo
Questo articolo si propone di analizzare la base della musicoterapia. Non desidera discutere di tecnicismi clinici, né parlare di frequenze, tonalità, timbri o teoria musicale nello specifico. Per affrontare il discorso della musicoterapia nel suo insieme, non basterebbe un libro da migliaia di pagine; tuttavia, pare che il metodo risulti molto efficace nel ristrutturare il funzionamento cerebrale. Come mai? Su che base funziona? Perché l’uomo mostra un’affinità così elevata per la musica, al punto da utilizzarla per alleviare le sofferenze? Partiamo dal presupposto che un mondo senza musica sarebbe un mondo senza umani, per citare Stefan Koelsch, uno degli scienziati più esperti del settore. Difatti pare che la musica abbia contribuito in maniera piuttosto importante all’evoluzione cerebrale dell’uomo, in modo analogo al linguaggio. Senza di essa, così come senza il linguaggio, è probabile che oggi non potremmo vantarci di possedere le abilità di coscienza ed autocoscienza di cui andiamo tanto fieri. Facciamo un esempio, ciò che per noi sembra una banalità, come battere le mani all’unisono, ci rende unici. Nessun’altra specie può farlo. Le balene sanno cantare, ma non in coro; i gorilla sanno picchiarsi il petto, ma non come fossero un complesso musicale.
Le ricerche ci mostrano che, dopo aver battuto le mani insieme, gli individui tendono a fidarsi di più gli uni degli altri, tendono ad aiutarsi di più e cooperare di più. Fare musica insieme ci unisce e stimola i legami sociali; in generale fare qualcosa insieme ci rende parte di un gruppo: emerge un «noi», la qual cosa contemporaneamente va a soddisfare il bisogno di appartenenza tipicamente umano. Fare musica insieme suscita emozioni positive quali gioia e divertimento, inoltre queste emozioni sembra vadano a stimolare il benessere personale oltre che migliorare la comunicazione, entrambi «optional» che hanno consentito ai membri della nostra specie di vivere più a lungo e quindi di svilupparsi ulteriormente. Secondo l’ipotesi di Dunbar, il grooming vocale (inteso come forma di accudimento volta alla socializzazione) ha gradualmente sostituito quello manuale ed in questo modo ha segnato l’ulteriore sviluppo della specie. La grandezza dei gruppi è aumentata perché le parole hanno consentito di mantenere un numero maggiore di rapporti, impossibile quando la socializzazione era legata alle sole interazioni tattili.
Il linguaggio della musica, la musica del linguaggio
Fare musica insieme significa produrre suoni contemporaneamente, nel momento giusto. Il tutto reso possibile da pulsazioni e scale. Al contrario degli altri suoni, la musica ha una particolare struttura che la regola e la organizza sulla base di questi due elementi, fatta eccezione per alcuni brani d’arte moderna che a volte non presentano una precisa organizzazione armonica. Tutta la musica presenta scale, fatta eccezione per le percussioni dove prepondera il ritmo. Il linguaggio è un tipo particolare di musica che non richiede pulsazioni o scale, ma comunque utilizza suoni, intonazioni e tempistiche. Mentre la lingua non ci consente di parlare gli uni sugli altri, la musica sì; per questo motivo possiamo vedere il linguaggio come la musica dell’individuo, mentre la musica come un linguaggio del gruppo.
- Per il linguaggio la semantica è più importante della sintassi, pensiamo ad esempio al mandarino dove la sintassi è minima, ma comunque la lingua funziona molto bene; la sintassi rende la comprensione del linguaggio più facile e veloce, ma anche se parlassimo telegraficamente, riusciremmo a farci capire grazie alla semantica;
- Per la musica invece la sintassi è più importante della semantica. Quando produciamo suoni basati su un ritmo isocrono oppure una scala precisa, allora parliamo di musica, in caso contrario è difficile riconoscere l’insieme di suoni come musica, questo perché senza struttura sintattica non è possibile produrla.
Un esperimento condotto da Koelsch e colleghi nel 2001, ci mostra come la dissonanza dipende dal contesto (dalla battuta precedente) più che dall’accordo in sé. È interessante notare come l’accordo dissonante viene percepito come tale anche da persone completamente estranee alla musica, come fosse una percezione innata, innescata dall’area di Broca, la stessa che serve per elaborare il linguaggio. Gli studi in risonanza (Heinke et al., 2004; Koelsch et al., 2002) ci confermano che le aree che si attivano quando ascoltiamo musica, sono le stesse che si attivano quando parliamo. Tuttavia le attivazioni per l’elaborazione del linguaggio sono più forti nell’emisfero sinistro, mentre per la musica nel destro. Dunque linguaggio e musica sarebbero elaborati dallo stesso network cerebrale, cambierebbe solo la maggiore-minore attività di un emisfero piuttosto che un altro. Questo ci spiega come mai i pazienti con ictus che hanno perso le funzionalità dell’emisfero sinistro possono ancora cantare con le parole, ma non sono più in grado di parlare. È stato visto che questi soggetti possono imparare a parlare di nuovo attraverso il canto, ed è qui che incontriamo una prima relazione tra musicoterapia e disabilità.
Musicoterapia per modulare i sistemi di neurotrasmissione
Perché il suono della voce ci emoziona? Soprattutto una voce che canta. La musica è un suono, e come tutti i suoni trasmette segnali emozionali-biologici universalmente condivisi. Anche se andassimo nella foresta amazzonica ed incontrassimo un ometto Yanomamö, saremmo in grado di capire il suo stato d’animo dalla sua voce, proprio come potremmo leggerlo dal suo viso e dal suo linguaggio del corpo. La musica è un segnale biologico specialmente quando imita il discorso emotivo. Per esempio, la musica dal suono triste è più lenta, la melodia scende ed ha poca energia, non ha molte variazione di tono; la musica felice invece, come una voce felice, ha più variazioni di suono, suona più veloce e brillante. I neonati che sentono la musica nella voce, non possono fare a meno di risonare con le emozioni che trasmette, difatti cantare ai bambini può aiutare a calmarli (oppure può agitarli se la canzone suscita ansia). È stato visto come la musica può attivare anche le strutture più profonde del cervello al punto da influenzare il subconscio. Quando i pensieri negativi ci assalgono, può essere utile «immergersi» in un brano allegro, cantandolo oppure tenendo il tempo, in questo modo il cervello è spontaneamente portato ad effettuare uno «switch» dal funzionamento depresso a quello più rilassato.
Immaginiamo che i neuroni siano simili ai metronomi riportati nel video qui sopra. Notiamo che, con il passare del tempo, gli strumentini tendono a sincronizzarsi sulla stessa frequenza a partire da oscillazioni differenti. Allo stesso modo, è possibile indurre i neuroni a scaricare alle frequenze desiderate, indotte «tenendo il tempo». Se vogliamo fare un semplice esperimento casalingo, chiudiamo gli occhi ed immaginiamo un ticchettio costante che scocca ad una velocità piuttosto bassa (ad esempio 50 bpm). Ripetiamo l’esercizio con un ticchettio concitato (circa 180 bpm). Dopo la prima condizione ci si potrebbe sentire più tranquilli; mentre non sarebbe strano sentirsi più agitati dopo la seconda. In tutti i disturbi cerebrali, qualcosa a livello di sinapsi o strutture neuroanatomiche non funziona più come dovrebbe. La musica può aiutare a riportare l’omeostasi nel sistema, per questo motivo un recente progetto del Prof. Koelsch desidera utilizzare la musicoterapia negli anziani per stimolare la neurogenesi nel sistema neurale «della felicità» nei pazienti affetti da Alzheimer.
EVOLUZIONE DELLA MUSICA, DEL LINGUAGGIO E DEL PENSIERO
Ricapitolando, senza semantica non c’è linguaggio, senza sintassi non c’è musica. Il linguaggio è un tipo speciale di musica, difatti vi è una sovrapposizione tra alcune aree cerebrali, per questa ragione il suono della voce a volte è in grado di emozionarci o di farci immergere in un determinato stato. Altre aree differiscono, ad esempio l’emisfero destro sembra essere maggiormente attivato in caso di musica, mentre quello sinistro in caso di linguaggio, è evidente però che la musica fa parte della natura umana, tanto quanto il linguaggio, ed ha contribuito a definirla. A questo punto ci si potrebbe fare un paio di domande. Quando gli Homo hanno imparato a tenere il tempo? I primi ominidi erano già capaci di farlo? Quando è stata tracciata la linea di demarcazione evolutiva? La possibilità di camminare sui piedi in posizione eretta, ha liberato le mani. Forse il bipedismo, risalente ad 1.8 milioni di anni fa, ha segnato l’inizio della transizione tra gli altri animali e l’uomo, consentendo all’umanità di correre insieme, battere le mani insieme, lavorare insieme (il semplice fatto di camminare è una forma di ritmo, pensiamo al tapis roulant, dove è necessario tenere una certa andatura costante per non cadere).
Un ulteriore step di sviluppo
All’incirca 100.000 anni fa, è successo qualcosa nella mente umana che ha consentito lo sviluppo delle rappresentazioni artistiche e della lingua parlata. Come comunicavano tra loro l’homo di Neanderthal e l’homo Erectus? Non utilizzavano parole, ma suoni, espressioni olistiche basate su rumori e gesti, un tipo di comunicazione visuo-sonora, non prettamente parlata, né musicale. Successivamente qualche saggio ha pensato di introdurre e combinare i suoni con la sintassi, dando origine ad un nuovo mondo, il cui avvento ci ha permesso di svilupparci ulteriormente. Le prime forme di comunicazione ci hanno dato la base cognitiva per la sintassi, introdotta nel linguaggio dopo l’invenzione delle parole, anche loro una grande conquista dell’umanità. Non pensiamo alla musica come qualcosa di frivolo, né come una sola forma di intrattenimento; è stata ed è tutt’ora di fondamentale importanza per l’evoluzione della specie. È la musicalità che dà forma alle parole, il tono della voce ha un impatto non verbale ben più significativo rispetto a quello della struttura sintattica verbale. Non è forse vero che una persona che afferma di essere felice, ma lo dichiara con tono depresso, perde di credibilità? È il tono, la musica delle parole, che trasmette emotività più che la struttura sintattica. In generale musica e linguaggio hanno consentito all’uomo di creare, elaborare e combinare rappresentazioni complesse della realtà, in modo tale da formare quadri sempre più complessi. Tutto ciò si è tradotto a livello neurale con la formazione di nuovi circuiti e nuovi legami tra di essi, indispensabili per la definizione del pensiero per come lo conosciamo oggi.
Può esserci lingua senza musica?
Pensiamo ad un discorso esortativo oppure al motherese che gli adulti sono soliti utilizzare con i neonati: timing ed intonazione sono fondamentali per una prosodia efficace. Se Joe Biden parlasse alla folle come un automa, probabilmente verrebbe scambiato per un replicante e verrebbe allontanato dai Men in Black. Anche i gesti vanno inseriti all’interno del sistema musicale, pensiamo alla gestualità delle mamme nei confronti dei figli, ma anche a quella del presidente che parla alla folla, poi paragoniamola a quella di un direttore d’orchestra oppure a quella del virtuoso che suona il violino in modo appassionato. In ogni caso vi sono movimenti corporei che accomunano le forme di comunicazione, da un lato la musica, dall’altro il linguaggio. Giambattista Vico nel 17esimo secolo fu uno dei primi a suggerire come i pensieri fossero di natura verbale-associativa; successivamente Rousseau nel secolo successivo sostenne che il carattere del linguaggio era essenzialmente musicale, guidato dall’emozionalità più che dalla razionalità; Johan Gottfried Harder nello stesso secolo sottolineò come il linguaggio fosse una caratteristica distintiva degli umani, e forse, la musica con esso.
Può esserci lingua senza musica? Vi sono difetti cerebrali che portano alla mancanza di prosodia. I soggetti affetti riescono comunque a comunicare tramite la sintassi, eppure la mancanza di senso ritmico e intonazione distrugge buona parte dell’efficacia comunicativa. Pensiamo alla lingua dei segni: è stato visto che anch’essa porta ad un’attivazione della «rete musicale» del cervello, pur non implicando direttamente suoni e rumori. I pattern di attivazione sono simili, nonostante manchi il sonoro. La musicalità compare sempre in caso di comunicazione. La musica ha portato ad un vantaggio selettivo, ragion per cui è di grande importanza che questa venga insegnata nelle scuole, perché stimola emozioni, incrementa le abilità di pensiero, aumenta la cooperazione e la socialità… Può addirittura essere una terapia personale. L’impatto sulla plasticità cerebrale e sullo sviluppo neuronale è notevole. Ogni cultura umana possiede linguaggio e musica. Per natura tutti sono musicali, il nostro stesso cervello è musicale, per fortuna, perché la musica ha un effetto evolutivo e terapeutico (da qui la musicoterapia). Anche la crisi più nera può essere mitigata ascoltando buona musica che consenta il rilascio di molecole «del benessere» nel cervello. Siamo tutti in grado di ascoltare i brani musicali che più ci piacciono, ma pochi conoscono i segreti delle note al punto da poterli utilizzare in modo consapevole a scopi terapeutici.
Fonte
- Human Brains: Conversations (#4 Linguaggio, musica e cervello).
Fondazione Prada - Maess, B., Koelsch, S., Gunter, T. C., & Friederici, A. D. (2001). Musical syntax is processed in Broca’s area: an MEG study.
Nature Neuroscience - Koelsch, S., Gunter, T. C., Cramon, D. Y. V., Zysset, S., Lohmann, G., & Friederici, A. D. (2002). Bach speaks: a cortical “language-network” serves the processing of music.
Neuroimage - Heinke, W., Fiebach, C. J., Schwarzbauer, C., Meyer, M., Olthoff, D., & Alter, K. (2004). Sequential effects of propofol on functional brain activation induced by auditory language processing: An event‐related functional magnetic resonance imaging study.
British Journal of Anaesthesia