Tra gli effetti del cambiamento climatico, c’è lo scioglimento del permafrost, definito come uno strato di terreno perennemente ghiacciato. Lo scioglimento del permafrost a cui stiamo assistendo oggi, ha diverse conseguenze, tra cui, la liberazione nell’atmosfera di carbonio sotto forma di due gas serra: l’anidride carbonica e il metano. In questo articolo valutiamo l’impatto sul clima globale delle emissioni dell’Artico di questi gas serra a causa del riscaldamento globale. Gli scenari riportati mostrano come l’Artico possa essere considerato allo strenuo dei paesi più inquinanti, come Cina, Stati Uniti ed Europa.
IN BREVE
Indice
CAMBIAMENTO CLIMATICO E PERMAFROST
Il cambiamento ambientale senza precedenti che si verifica nell’Artico ha importanti conseguenze. La diminuzione del ghiaccio marino, il restringimento delle calotte glaciali e il degrado del permafrost (terreno perennemente ghiacciato), influenzano direttamente la funzione degli ecosistemi. L’Artico era un tempo un ambiente incontaminato, oggi contaminato persino dalle microplastiche, che però non sono la minaccia più grande. Il calo del ghiaccio marino riduce il riflesso della luce solare e riscalda direttamente la Terra, il restringimento delle calotte glaciali e dei ghiacciai contribuisce all’innalzamento del livello del mare, e la scomparsa del permafrost rilascia nell’atmosfera ulteriori gas serra come anidride carbonica (CO2) e metano (CH4).
Cos’è il permafrost?
Il significato di permafrost in poche parole è “terreno perennemente ghiacciato presente alle alte latitudini”. O anche come suolo con una temperatura pari o inferiore a 0°C per almeno due anni consecutivi. Negli ultimi anni, lo studio del permafrost ha permesso di comprendere meglio l’interazione tra i processi geofisici, idrobiogeochimici ed ecologici che lo riguardano. Attualmente il permafrost non è più permanente, a causa del riscaldamento globale che sta facendo registrare temperature record in tutto l’Artico. Ad esempio, tra il 2007 e il 2016, il tasso di aumento delle temperature del permafrost è stato di 0,39 °C per alcuni siti di monitoraggio e di 0,20 °C per altri. In questo articolo descriveremo i possibili effetti legati allo scioglimento del permafrost, in particolare riferiti al rilascio di due gas serra, il metano (CH4) e l’anidride carbonica (CO2).

IL CICLO DEL CARBONIO NELL’ARTICO
Era noto da decenni che i suoli del nord hanno quantità grandi di carbonio organico, cioè resti di piante, animali e microbi morti da centinaia o migliaia di anni. Questo carbonio è immagazzinato in particolare nelle torbiere sommerse d’acqua. Ma solo recentemente l’attenzione si è concentrata sul carbonio organico immagazzinato in profondità nei terreni coperti dal permafrost. Le stime attuali indicano che la regione del permafrost rappresenta il 33% del pool globale di carbonio organico (circa 1.460–1.600 Pg di carbonio (un Pg equivale a un miliardo di tonnellate)), immagazzinato però solo nel 15% dell’area totale del suolo globale. Inoltre a queste stime manca il carbonio immagazzinato sott’acqua. Queste quantità di carbonio superano di gran lunga quelle contenute nella biomassa vegetale della stessa regione, il che indica che il potenziale rilascio di carbonio dal suolo all’atmosfera potrebbe superare il potenziale guadagno di carbonio da parte delle piante. Il carbonio nel suolo nella regione dell’Artico è una componente significativa e sensibile al clima, capace di alterare il ciclo globale del carbonio. L’impatto di questo pool di carbonio sul clima globale dipende da: (a) quanto di questo carbonio viene rilasciato nell’atmosfera sotto forma di gas serra; (b) qual è la tempistica del rilascio; (c) quale proporzione del rilascio è CH4 rispetto a CO2; e (d) quanto di questo rilascio è compensato dall’aumento della biomassa vegetale e dai nuovi input nel pool di carbonio del suolo.
Stime storiche di emissioni dell’Artico
Una ricerca ha stimato che le emissioni di CO2 e CH4 dovute allo scongelamento del permafrost nella regione artica potrebbero rilasciare tra il 5 e il 15% del pool di carbonio del permafrost nel corso di decenni e secoli in scenari di riscaldamento globale alto, piuttosto che come un catastrofico rilascio ad impulsi a scala di pochi anni. Questa proporzione è equivalente a un cumulativo di 67–237 Pg C entro il 2100, ovvero circa ∼ 0,5–2 Pg C all’anno, che agiranno come un importante acceleratore del cambiamento climatico. Si prevede che le emissioni di metano dovute allo scongelamento del permafrost (incluse nella stima totale di ∼0,5–2 Pg C all’anno) causeranno il 40–70% del forzamento radiativo totale influenzato dal permafrost in questo secolo, anche se le emissioni di CH4 sono molto inferiori a quelle di CO2 per massa. Altre stime, come quelle del progetto Permafrost Carbon Network Earth System Model intercomparison (PCN-MIP), hanno mostrato una stima media di emissioni inferiore, con un rilascio cumulativo di 26 Pg C entro il 2100 seguendo l’RCP 8.5. Questa stima inferiore è stata causata da una risposta più forte delle piante all’assorbimento del carbonio rispetto a quella ottenuta dai precedenti studi. Tuttavia questi modelli hanno spesso delle mancanze: ad esempio il disgelo graduale dall’alto verso il basso indotto da un’atmosfera calda può essere eccessivamente semplicistico, in modo tale da sottostimare i tassi reali di disgelo.
Gli effetti dello scioglimento del permafrost
Con il disgelo del permafrost, la perdita di ghiaccio provoca il cedimento della superficie terrestre, con conseguente disturbo agli ecosistemi sovrastanti e alle infrastrutture umane, che in alcuni casi collassano, come accaduto già in alcune aree. Inoltre, il cedimento iniziale del terreno causato dal disgelo del permafrost, altera l’idrologia superficiale. L’incanalamento e il trasporto dell’acqua superficiale degrada ulteriormente il permafrost attraverso il trasporto di calore advettivo, o l’erosione termica, e l’acqua ristagnante aumenta anche il flusso di calore al suolo. L’erosione termica include anche l’erosione fisica del suolo, ed espone ulteriormente il permafrost più profondo ad un continuo degrado. Questi effetti locali possono causare un brusco cambiamento del permafrost, più velocemente di quanto le sole variazioni della temperatura prevedrebbero. Precedenti ricerche indicano che il 20% della regione settentrionale del permafrost è considerata suscettibile al disgelo improvviso: quest’area immagazzina anche il 50% del carbonio presente nel suolo. Poiché gli attuali modelli non simulano il disgelo improvviso, le dinamiche del cambiamento dell’ecosistema, incluso il ciclo del carbonio, sono state rappresentate da una classe diversa di modelli regionali che tengono traccia delle perdite di carbonio nel suolo e dei guadagni di carbonio dalla crescita delle piante attraverso la successione ecologica dopo il disgelo improvviso. Il più completo di questi modelli di successione ha rilevato che un ulteriore 40% in più di carbonio netto sarebbe stato rilasciato entro il 2300, rispetto alle stime basate sul disgelo graduale del permafrost. Inoltre, la crescita delle piante nel modello di successione ha compensato circa il 20% del rilascio di carbonio dal permafrost, una percentuale molto inferiore rispetto ad altre stime più ottimistiche.
Effetti mitiganti sulle emissioni di carbonio dell’Artico
Se il riscaldamento dell’Artico diventa una fonte netta di carbonio di ∼1 Pg C all’anno entro il 2100 attraverso lo scioglimento del permafrost, il rilascio sia di CO2 che di CH4 può renderlo equivalente a ∼ 2 Pg C-CO 2 all’anno. D’altro canto, un aumento della crescita delle piante e della biomassa alle alte latitudini ha il potenziale per compensare almeno in parte le emissioni di CO2. Una cosa è estremamente chiara: la riduzione delle emissioni di carbonio umano attraverso la mitigazione del clima smorzerà i cambiamenti nell’Artico, rallenterà lo scioglimento del permafrost e ridurrà le modifiche al ciclo del carbonio, diminuendo potenzialmente le emissioni di carbonio artico. Si prevede che l’area del permafrost in prossimità della superficie diminuirà del 69 ± 20% entro il 2100 senza alcuna politica climatica (RCP8.5), mentre diminuirà del 24 ± 16% con politiche climatiche che mirano a limitare il riscaldamento globale a meno di 2 °C (RCP2.6) Un po’ di permafrost andrà comunque perso anche limitando il riscaldamento, ma ci sarebbe una perdita del 145% in più senza sforzi di mitigazione. Questa continua perdita di permafrost anche quando il riscaldamento è limitato evidenzia la necessità di comprendere le emissioni di carbonio in scenari a basse emissioni Se un eventuale obiettivo di temperatura al di sotto dei di 2°C entro il 2100 viene inizialmente superato di 0,5–1,5 ° C, comporterà il rilascio di ulteriori decine di Pg C di carbonio emesso dall’Artico. Questa quantità sarebbe un ulteriore aggiunta a quella già rilasciata al di sotto della soglia dei 2°C.

EMISSIONI DI CO2
Come detto, in questo articolo ci concentreremo su diversi scenari di emissioni, analizzando il potenziale impatto sul clima terrestre. A livello di emissioni, sono due i gas chiave: la CO2 e il CH4. Più avanti andremo quindi a valutare diversi scenari di emissione, sia per singolo tipo di gas, sia per entrambi i gas insieme.
Osservazioni passate
Il disgelo del permafrost alla fine dell’ultimo massimo glaciale (LGM) e nel primo Olocene ha cambiato la distribuzione degli ecosistemi terrestri. Ciò inizialmente ha comportato una perdita di carbonio del permafrost, che è stato esportato negli ecosistemi di acqua dolce, nell’oceano, e nell’atmosfera. Alla fine, gli ecosistemi hanno iniziato ad assorbire CO2 netta, agendo come pozzi di carbonio per millenni. In questo modo è stato trattenuto più carbonio all’interno della biomassa vegetale e della materia organica del suolo rispetto a ciò che è stato emesso nell’atmosfera. Anche il pool di carbonio del suolo terrestre ha fluttuato di dimensioni in risposta ai disturbi e al clima, ma in generale ha accumulato carbonio molto più a lungo del pool di carbonio vegetale. Di conseguenza, gli ecosistemi terrestri hanno agito come un persistente pozzo netto di carbonio verso la fine dell’Olocene preindustriale. Nel periodo moderno, il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha già spostato alcuni ecosistemi da pozzi netti di carbonio verso fonti di carbonio. Ad esempio, uno studio ha mostrato che la regione della tundra dell’Alaska è una fonte netta di carbonio consistente.
Scenari futuri: emissioni di bassa intensità
Immaginiamo tre scenari di emissioni nette di CO2 (basse, medie e alte) che coprono questo intervallo: 37, 74 e 149 Pg C-CO2 rilasciati entro la fine del secolo per la regione artica. Questi tre scenari sono dei punti su una scala continua. Nel primo scenario di fascia bassa (con un rilascio netto di 37 Pg C-CO2 entro il 2100), i tassi annui di emissioni nette di CO2 vanno da 0,33 Pg C-CO2 anno −1 nel 2021, salendo lentamente a 0,45 Pg C-CO2 anno −1 entro il 2099. Questo scenario di emissioni nette di CO 2 di bassa fascia potrebbe rappresentare tre tipi di condizioni future. In primo luogo, queste emissioni nette potrebbero essere il risultato di una traiettoria di riscaldamento globale e artico più lento (es. RCP2.6), con una significativa mitigazione delle emissioni di carbonio antropico che limitano il cambiamento di temperatura globale sotto ai 2°C. In questo caso, nonostante il riscaldamento limitato dell’Artico, parte del permafrost si scioglie portando ad alcune emissioni di CO2 che non vengono compensate completamente dalla crescita delle piante, determinando basse emissioni cumulative nette di CO2 nel corso del secolo. Un secondo scenario che supporta questo stesso livello di CO2 netta rilasciata, prevede un moderato riscaldamento globale e artico (ad es. da RCP4.5 a RCP8.5), ma con una risposta lenta del ciclo del carbonio negli ecosistemi che attenua solo in minima parte questi cambiamenti ambientali. La terza possibilità per questo stesso scenario di emissioni nette di CO2 è invece una risposta opposta degli ecosistemi. Con livelli da moderati ad alti di riscaldamento globale e artico, alti livelli di crescita delle piante e ricostituzione della materia organica del suolo compensano gran parte di ciò che è stato rilasciato dalla decomposizione dei suoli del permafrost. La colonizzazione delle piante sarebbe relativamente rapida, con nuove comunità arbustive e arboree che si formano nelle zone della tundra.
Scenari futuri: emissioni di media intensità
Lo scenario di emissioni nette di CO2 di media fascia prevede l’emissione di 74 Pg C-CO2 entro la fine del secolo, con tassi annui di 0,34 Pg C-CO 2 anno −1 nel 2021 fino a 1,4 Pg C-CO 2 anno −1 entro il 2099. In questo caso, ci sono due scenari, entrambi caratterizzati da grandi perdite di carbonio nel suolo. Il primo prevede una forte crescita delle piante, con arbusti e alberi che invadono la tundra, dove scompare la flora erbacea tipica. Tuttavia questo Artico più verde non basterebbe a compensare le perdite di carbonio derivanti dallo scongelamento del permafrost e dalla decomposizione della materia organica da parte dei microbi, favoriti dalle temperature più alte. Inoltre, il forte disgelo dell’artico espone molta più sostanza organica all’attività microbica, e porta a grandi perdite laterali di carbonio organico disciolto negli ecosistemi acquatici dove il carbonio viene ossidato dalla luce UV e decomposto dai microbi. Un secondo scenario per questo livello di emissioni ipotizza una minore perdita di carbonio dal suolo, ma la risposta delle piante è meno forte, e non compensa le emissioni di CO2. Le piante, nonostante condizioni più miti e l’effetto fertilizzante della CO2, subiscono altri fattori di stress, come siccità, che limitano la loro crescita.
Scenari futuri: emissioni di alta intensità
Lo scenario peggiore, prevede un alto livello di emissioni di CO2, con un totale di 149 Pg C-CO2 entro il 2099. I tassi di emissione annui partono da 0,63 Pg C-CO2 anno-1 nel 2021, fino a quasi 3 Pg C-CO2 anno -1 nel 2099. Questi enormi tassi di emissione di CO2 sono causati dal disgelo diffuso del permafrost che causa grosse perdite di carbonio dal suolo. Le comunità vegetali rispondono lentamente a causa di colli di bottiglia ambientali che ne limitano la crescita e la diffusione. Le specie vegetali non riescono a tollerare le nuove condizioni ambientali. In questo ipotetico scenario gli incendi diventano un evento comune persino negli ecosistemi boreali e nella tundra.
EMISSIONI DI CH4: PANORAMICA STORICA
Le emissioni di metano presentano alcune differenze rispetto alle emissioni di CO2. Il CH4 infatti è stato storicamente emesso dalle zone umide e dai laghi artici a varie intensità dall’ultimo massimo glaciale (LGM) durante la transizione verso l’Olocene, a causa della decomposizione anaerobica che avviene in questi ecosistemi. Pertanto, le emissioni di CH4 non sono necessariamente un segnale di cambiamento rispetto al passato. Tuttavia, lo sono le emissioni aggiuntive di CH4, causate dal disgelo del permafrost, che si vanno ad aggiungere a quelle che sono le emissioni storiche sempre avvenute. Questo CH4 aggiuntivo causa un ulteriore forzatura climatica, e la quantità di CH4 deve essere quindi quantificata e rilevata, per differenziarla dalle emissioni storiche e dalle emissioni recenti causate da altre attività umane. Analisi sulla concentrazione di CH4 in Alaska non hanno rilevato sostanziali cambiamenti dagli anni ’80 ad oggi. Queste analisi entrano in contrasto con le stime sulle emissioni di CH4 legate al disgelo del permafrost, che invece suggeriscono un rilascio di 1,5 – 5 Tg CH4 l’anno, negli ultimi 60 anni. È possibile che le emissioni di metano vengano sottostimate a causa della bassa solubilità del gas in acqua, che ne causa un rapido passaggio verso l’atmosfera. Quantificazioni più recenti includono le le emissioni di CH4 della stagione fredda, che possono essere maggiori del 50% del budget annuale degli ecosistemi terrestri. Anche le infiltrazioni geologiche di CH4 potrebbero essere sensibili al clima, se il permafrost funge come copertura impedendone il rilascio nell’atmosfera. Nonostante questi nuovi studi, non è chiaro fino a che punto queste fonti rappresentino CH4 netto aggiuntivo nel periodo moderno, il che porterebbe a un’ulteriore forzatura climatica non considerata in precedenza.
Scenari futuri: emissioni basse
Anche in questo caso, come per la CO2, possiamo immaginare tre possibili scenari di emissioni: con rilascio cumulativo di 1090, 2575 e 5050 Tg C-CH4 entro il 2099. In uno scenario di emissioni di CH4 di fascia bassa, i tassi nel 2021 sono 5 Tg C-CH4 anno-1 e quindi sono già leggermente elevati rispetto ai tassi storici. Questi tassi aumentano lentamente, superando 10 Tg C-CH4 anni −1 nel 2045 per raggiungere tassi di 20,8 Tg C-CH4 anni −1 alla fine del secolo, un aumento del 50% circa rispetto ai tassi di emissione preindustriali. Ciò porta a un rilascio cumulativo di 1.090 Tg C-CH4 entro la fine del secolo. È probabile che questi modesti tassi di aumento di CH4 siano principalmente causati dall’effetto dell’aumento della temperatura sui tassi metabolici microbici, dall’aumento della disponibilità di carbonio organico derivato dallo scongelamento del carbonio del permafrost e potenzialmente da un aumento di nuovi substrati di carbonio per la metanogenesi.
Scenari futuri: emissioni di media intensità
Lo scenario di emissioni nette aggiuntive di CH4 di media intensità presenta tassi che sono già in aumento nel periodo recente, raggiungendo 11,5 Tg C-CH4 anni -1 CH4 netti aggiuntivi entro il 2021 e raddoppiando le emissioni di CH4 preindustriali di base (20–60 Tg C-CH4 anni −1 ) entro il 2078. Ulteriori emissioni nette di CH4 continuerebbero ad aumentare fino a 50,5 Tg C-CH4 anno-1 nel 2099. Questi tassi di aumento di CH4 sarebbero supportati dai processi descritti nello scenario precedente, ma sarebbero anche stimolati da un disgelo improvviso e diffuso che crea più laghi e zone umide, con condizioni anaerobiche. Anche l’aumento delle emissioni di CH4 dal permafrost sottomarino contribuisce alle emissioni, poiché il riscaldamento degli oceani nelle zone artiche poco profonde stimola il rilascio di fonti di metano sottomarine.
Scenari futuri: emissioni di alta intensità
Lo scenario di emissioni di CH4 di fascia alta presenta tassi che raggiungono 100 Tg C-CH 4 anno -1 nel 2099. Tutti i processi che avvengono negli altri scenari si ripetono a ritmi più elevati, mentre i processi che potrebbero potenzialmente limitare le emissioni vengono sopraffatti. Le zone umide e i laghi che si formano a causa dello scioglimento del permafrost diventano abbondanti nell’Artico, favorendo la decomposizione anaerobica del carbonio presente nel permafrost in scongelamento. Il CH4 proveniente dalle profondità della Terra, precedentemente ricoperto dal permafrost, inizia a fuoriuscire a velocità più elevate attraverso i laghi e da crateri che si formano a causa della scomparsa del permafrost.

IMPATTO COMBINATO DI CO2 E CH4
Questi tre livelli di emissioni di CO2 e CH4 di fascia bassa, media e alta si combinano in nove scenari che coprono una serie di impatti sul riscaldamento climatico indotti dalle emissioni di carbonio dell’Artico. Complessivamente, le emissioni di CH4 in massa variano dallo 0,9 all’11,9% delle emissioni totali di carbonio tra gli scenari, con una media del 4,2%. L’importanza delle emissioni di CH4 varia dall’11% al 69% sul totale dell’impatto del riscaldamento in tutta la gamma di scenari, con una media del 37%. Emerge una importanza relativa della CO2, che però non deve essere trascurata, nonostante il maggior potenziale di riscaldamento del CH4, la CO2 rappresenta la forza maggiore sul clima in sei dei nove scenari. Scenari caratterizzati da un rilascio di CH4 da medio a alto con un rilascio di CO2 basso sembrano meno plausibili, a meno che l’aumento della crescita delle piante non possa compensare la grande perdita di CO2 nel suolo. Esiste un compromesso tra ambienti anaerobici, che favoriscono l’emissione di CH4, e ambienti aerobici, che favoriscono la CO2. Questo compromesso suggerisce che livelli elevati di entrambi i gas sono alquanto improbabili. Ma non è ancora possibile escludere completamente nessuno di questi nove scenari in tutto il sistema artico nel suo insieme, perché esistono meccanismi plausibili per supportarli tutti.
L’Artico: una nuova nazione inquinante?
Possiamo considerare le potenziali emissioni di carbonio dell’Artico come una nuova nazione inquinante, le cui emissioni devono essere considerate quando si stabilisce come raggiungere nuovi obiettivi di temperatura. Tra i nove scenari combinati, quello con le emissioni minori nei prossimi 100 anni, mostra emissioni maggiori di quelle della Russia nel 2019. E questo è l’unico scenario in cui la temperatura globale viene mantenuta al di sotto dei 2°C. Ad esempio, nello scenario con emissioni di medio livello, sia di CO2 che di CH4, l’Artico produce le stesse emissioni nei prossimi 100 anni di quelle dell’Europa (emissioni del 2019) e degli Stati Uniti. Il peggiore degli scenari, con emissioni di fascia alta sia di CO2 che di CH4, mostra che l’Artico inquinerà quanto Europa e Stati Uniti messi insieme, ovvero appena meno delle emissioni del 2019 della Cina. Parlando di questi paragoni, si riferiscono alle emissioni dei vari paesi del 2019: è chiaro che nei prossimi anni le emissioni in alcuni paesi potrebbero cambiare e diminuire, pertanto è inverosimile che le emissioni dell’Europa nei prossimi 100 anni sarà le stesse di quelle del 2019. Tuttavia il paragone è utile a scopo di confronto, per far capire la portata delle emissioni di carbonio dall’Artico. Anche considerando gli scenari con le emissioni più basse di CO2 e CH4, non è plausibile non considerare l’Artico quando si parla dei futuri obiettivi per contrastare il cambiamento climatico.
Fonte
- Schuur, E. A., Abbott, B. W., Commane, R., Ernakovich, J., Euskirchen, E., Hugelius, G., … & Turetsky, M. (2022). Permafrost and Climate Change: Carbon Cycle Feedbacks From the Warming Arctic.
Annual Review of Environment and Resources