L’evoluzione degli impianti ortopedici segue di pari passo l’innovazione tecnologica. Specialmente nella scoperta e nel conseguente utilizzo di nuovi materiali le potenzialità applicative delle protesi ossee aumentano sensibilmente. Oggigiorno, la società pone sempre maggior attenzione e giudizio all’ecosostenibilità. Pertanto, si ricercano alternative verdi ai materiali in lega metallica per la creazione di protesi di nuova generazione.
IN BREVE
Indice
GLI IMPIANTI PROTESICI
L’origine degli impianti ortopedici è da ricercare in tempi secolari e antichissimi. Basti pensare che già all’epoca delle civiltà imperiali egizie ne veniva documentato l’uso, in quanto, è facile immaginare, che i traumi che portavano all’amputazione di arti avvenivano soventi in società dove il lavoro degli schiavi spesso si spendeva tra macchinari e carichi pesanti. Non sorprende, infatti, che molti studiosi, storici e filosofi della scienza, reputano che l’evoluzione delle tecnologie protesiche ha fatto da ponte fra le antiche tecniche di cura e la nascita della medicina moderna.
Sia che si prenda in considerazione una falange in legno o che ci capiti di assistere al funzionamento di una mano bionica che scrive, il concetto di base è il medesimo: il rimpiazzo funzionale di un arto mancante. Va tuttavia precisato che la funzionalità è tanto figlia del design delle protesi ossee, il cui scopo è quello di far riacquisire, nel modo più fedele possibile, la mobilità osteoarticolare, quanto dell’impatto fisico che l’impianto assume sul paziente. Infatti, analogamente alle trasfusioni o ai trapianti d’organo, gli impianti ortopedici comportano un intrinseco rischio di rigetto da parte dell’ospite, il quale non riconosce come “self” l’apparato chirurgico, condizione che comporta gravi complicazioni del decorso clinico. In ultimo, ma non certo per importanza, sono da tenere in considerazione le conseguenze sociali che i pazienti subiscono. Questi ultimi non sono mai dei passivi ricevitori della cura, ma piuttosto attivi fruitori dell’operazione, con la quale devono imparare a convivere e che può avere importanti effetti psicologici in conseguenza dello stigma sociale.
Per sopperire a tali criticità l’impianto protesico deve essere:
- Disegnato ad hoc per il paziente ricevente, in modo che quest’ultimo si rapporti con maggiore facilità con esso.
- Composto di materiali biocompatibili che rendano l’impianto sicuro per applicazioni biomediche.
Anatomia di una protesi: progettazione
Gli arti e le articolazioni umane seguono meccaniche complicate, e difficili da riprodurre. Per tal motivo, in passato, uno dei limiti principali che compariva all’impianto di apparati osteoarticolari era il manifestarsi di una mobilità parziale e, spesso, inficiata. Al fine minimizzare tale inconveniente, durante una prima fase di valutazione e test si acquisiscono informazioni sulle caratteristiche anatomiche del paziente da operare, ad esempio le dimensioni e la morfologia della parte anatomica da sostituire. Le protesi ossee, una volta impiantate, devono quindi rispettare gli spazi infra-tissutali e non ostacolare il movimento a livello della capsula articolare.
L’esplorazione e la caratterizzazione di questi ambienti interstiziali viene fatta mediante l’utilizzo di sonde micrometriche. L’operazione risulta essere minimamente invasiva per il paziente, rimanendo al contempo, sicura e relativamente rapida. Con lo sviluppo delle odierne tecnologie digitali sono stati messi a punto diversi modelli muscolo-scheletrici computerizzati che simulano con elevata precisione i movimenti articolari più complessi, ad esempio delle ginocchia e caviglie. Queste simulazioni informatiche si dimostrano determinanti anche per lo studio del trauma stesso, permettendo agli operatori di visualizzare quali componenti articolari risultano maggiormente compromessi.
La stampa 3D
Nel fabbricare un impianto ortopedico efficace la parola d’ordine deve essere “precisione”. Pertanto, vengono spesso e volentieri utilizzate delle moderne tecnologie di stampa 3D, che eseguono dettagliatamente la struttura di un prodotto le cui informazioni e caratteristiche sono state programmate e scaricate su appositi software. Le tecnologie di stampa 3D possiedono una moltitudine di peculiarità vantaggiose. Non solo la stampa segue accuratamente la geometria del modello digitale, ma come substrato è possibile utilizzare diversi biomateriali. La versatilità di utilizzo e della matrice di partenza rende le moderne tecnologie di stampa dei sistemi di produzione digitale flessibili e innovativi. Tale tecnologia vanta al suo cospetto una notevole riduzione dei costi di produzione e l’ottimizzazione dell’approvvigionamento dei substrati, minimizzando così gli sprechi. Inoltre, l’estrema praticità d’uso e la possibilità di customizzare la topologia del prodotto finale rendono questa tecnologia una vera e propria perla dell’età contemporanea.
Ma come si creano protesi ossee valide con la stampa 3D? Prima di tutto è necessario ottenere il modello computerizzato che servirà da stampo. Vengono utilizzate tecnologie di tomografia computerizzata e visualizzazione tramite risonanza magnetica. In pratica, Il paziente viene sottoposto ad un’attenta scannerizzazione mediante esposizione ai raggi-X, i cui dati vengono letti da un programma che permette di estrarne una rappresentazione digitale. La tomografia è quindi la sovrapposizione di una moltitudine di immagini che sul monitor vengono visualizzate dando l’impressione di osservare un oggetto tridimensionale, che può venire a sua volta scomposto in varie parti ed essere analizzato. Questo modello tomografico viene riutilizzato per isolare i tratti osteoarticolari da ricostruire come protesi ossee funzionali.
MATERIALI PROTESICI
Come già affermato, la validità di un impianto ortopedico dipende sia dalla sua praticità che dalla sua intrinseca compatibilità con l’ospite. Soprattutto quando consideriamo gli impianti ossei e cartilaginei, il materiale di fabbricazione deve essere interamente biocompatibile onde evitare rigetti o reazioni allergiche. Grazie agli ampi studi condotti nel campo delle moderne tecnologie biomediche è stato possibile attuare impianti protesici compositi di materiali definiti bioattivi, capaci cioè di promuovere l’osso-integrazione. Quest’ultima non è altro che l’accettazione dell’impianto da parte del tessuto osseo, il quale recupera la funzionalità nel modo più fisiologico possibile.
Gli impianti così fabbricati possiedono un elevato tasso di riassorbimento. Inoltre, si dimostrano particolarmente longevi, rendendoli disponibili al riuso , qualora dovesse presentarsi un trattamento post-operatorio prolungato. La possibilità di fabbricare componenti per protesi ossee con questi materiali segue un concetto di economia circolare e sostenibile che, specialmente al giorno d’oggi, è necessario incentivare in ogni settore. Generalmente, i biomateriali impiegati per la fabbricazione di protesi ossee devono possedere caratteristiche di resistenza alla corrosione e agli stress meccanici. Tali peculiarità sono proprie di molti elementi metallici, i quali, negli ultimi due secoli, hanno primeggiato nella fabbricazione di impianti ortopedici.
Protesi ossee in leghe metalliche
In passato venivano fabbricate protesi principalmente fatte in alluminio, un metallo leggero e relativamente resistente. Solo pochissimi aristocratici si potevano permettere rifiniture e placcaggi in oro, il quale si dimostrava essere ottimo, in quanto, essendo un metallo nobile, difficilmente andava incontro ad ossidazione. Tuttavia, per via dei costi ingenti e della scarsa disponibilità, quest’ultimo era un caso estremamente raro. Il vero e proprio giro di volta si ebbe con l’applicazione dell’acciaio inossidabile. Essendo a base di ferro, possiede una notevole resistenza. A questo viene aggiunto dapprima il carbonio, in buona percentuale, per permettergli di essere malleabile mantenendo le caratteristiche di durevolezza e forza. Infine, la lega si completa con tracce di metalli di transizione quali nichel, cromo e molibdeno. Queste caratteristiche lo rendono un materiale d’eccellenza e si presenta come inerte per l’organismo ospite in cui viene impiantato. Tuttavia, le protesi ossee costituite in acciaio non si dimostrano totalmente resistive alla corrosione nel lungo periodo ed, inoltre, non sono riciclabili, aspetti che non favoriscono l’economia circolare di cui il settore biomedicale ne sposa le cause.
Ciononostante, l’elemento che ha dominato e rivoluzionato il modo di produrre impianti protesici del ventesimo secolo è stato il titanio. Tale elemento vanta un eccellente rapporto resistenza-peso e viene corroso molto difficilmente. Di questo poi è anche facile farne delle leghe, combinandolo principalmente con ossigeno, azoto e carbonio, le leghe di titanio assumono una notevole forza meccanica mantenendo elasticità. Gli impianti prodotti in lega di titanio sono di molteplici tipologie, tra cui porzioni spinali, impianti dentali, articolazioni, placche per le fratture delle ossa piatte e protesi femorali. La versatilità d’utilizzo era dovuta al fatto che queste leghe possiedono un bassissimo tasso di mutagenicità e quindi sono affidabili per protesi osteoarticolari. In ultimo, quando si tratta di protesi ossee titanio in lega mostra osso-integrazione spontanea, ideale per il recupero e il bio-riassorbimento nel paziente.
Nel corso della quasi totalità del secolo scorso i biomateriali metallici sono stati ampiamente utilizzati per la fabbricazione di nuove protesi ossee. Essendo facili da modellare, fondendoli in leghe, il loro impiego si presta facilmente ai più vari utilizzi. Ancora prima del titanio, ad esempio, il metallo su cui veniva incentrata maggiormente l’attenzione era il cobalto. Questo, combinato assieme al cromo, formava una lega che ha trovato un buon impiego nella fabbricazione delle protesi wironit. Tuttavia, i metalli rimangono materiali non bioattivi. Inoltre, non potendo essere degradato e integrato, l’impianto, in fase post-operatoria, doveva venire rimosso quando avrebbe raggiunto il limite di obsolescenza. Questo aggiungeva al paziente ulteriore carico emotivo, anche a guarigione terminata. Perciò, nei tempi più recenti la ricerca è stata motivata nel proporre nuove generazioni di biomateriali non metallici per la fabbricazione di impianti ossei.
Protesi ossee a base di fosfato di calcio
A colpire è stata l’introduzione all’inizio degli anni Novanta delle ceramiche bioattive a base di tri-calcio fosfato (TCP) e dell’idrossiapatite, la quale è una componente primaria dell’osso. La principale componente bioattiva, definita anche osso-induttiva, promuove la trasformazione di cellule staminali pluripotenti in osteoblasti stimolando al ricrescita a prendere la forma dell’impianto introdotto. In particolare, l’idrossiapatite si è dimostrata perfetta per riparare piccole fratture o minimi difetti di malformazione delle ossa. Più nello specifico, viene impiegata per operare chirurgicamente sulla colonna vertebrale e su piccole ossa, ad esempio le falangi. Per la produzione di impianti e protesi setto nasale deviato e fratture spinali sono tra le complicazioni più ostiche da affrontare. Questo materiale ceramico vanta un elevato tasso di bio-riassorbimento e un basso deterioramento nel lungo periodo, aspetti che lo promuovono a pieni voti nella compatibilità con tessuti vivi. Ciononostante, la solubilità e la resistenza meccanica sono flebili e non comparabili con l’osso. Per migliorare questi aspetti sono stati condotti degli esperimenti di “drogaggio” dell’idrossiapatite con alcuni metalli già ampiamente utilizzati in biomedicina ortopedica, migliorando il tasso di riassorbimento.
TRASFORMAZIONE BIOMORFICA: DAL LEGNO ALL’OSSO
La costante ricerca di nuovi materiali che siano al contempo biocompatibili, bioattivi e che stimolino una fisiologica ossointegrazione ha posto nuove frontiere nel campo della ricerca ortopedica. A indirizzare la ricerca non sempre sono gli aspetti pratici ma anche la comprensione delle esigenze e desideri della società contemporanea. L’aumento della sensibilità dell’opinione pubblica alla sostenibilità ambientale ha trasformato molto i mercati di riferimento di vari settori. Si ricercano sempre più spesso rimedi e applicazioni che siano quanto più ispirate e tolleranti per l’ambiente e la natura. Nel settore delle tecnologie dei materiali protesici ha fatto capolino un’innovazione che potrebbe cambiare le carte in tavola.
È il caso di un processo chiamato trasformazione biomorfica, capace di modellare la struttura del legno di rattan in un tessuto biomimetico dell’osso, messo a punto dal gruppo di ricerca del ISTEC-CNR di Faenza, in collaborazione con l’azienda GreenBone Ortho. Il rattan è una specie di palma originaria della zona subtropicale africana e asiatica. È un legno resistente, flessibile, leggero e poroso, e viene principalmente usato in edilizia e nell’artigianato dei mobili. Le analisi microstrutturali dell’anima lignea del rattan hanno dimostrato che possiede un’architettura gerarchicamente simile a quella del tessuto osseo spugnoso.
La trasformazione biomorfica è un processo multi-step che preserva l’architettura iniziale del legno ma, al contempo, ne aggiunge delle proprietà bioattive che rendono il biomateriale finale adatto per protesi ossee. In sintesi, il legno viene esposto ad elevate pressioni e temperature in ambiente controllato mediante un processo piuttosto complesso. Nello specifico, le principali criticità si riscontravano nel ricreare la matrice del sale carbonato di calcio. Questo è il precursore per la sintesi ex novo del materiale apatite, ed è essenziale per il completamento del processo.
Una serie di trasformazioni chimico-fisiche, svolte in condizioni definite supercritiche, in quanto capaci di denaturare i legami che tengono salde le strutture molecolari, consentono di creare un ambiente reattivo ottimale, capace di superare i fattori limitanti del processo. L’apatite viene ricreata mediando uno scambio ionico, andando quindi a sostituire il fattore carbonato, a carica negativa, con uno equivalente, il fosfato. Infine, il composto viene aggiunto di sali metallici a base di magnesio e stronzio, per conferire robustezza alla struttura molecolare dell’idrossiapatite. Al momento attuale la produzione di questa tipologia di impianti e protesi ossee da materiali naturali è ancora in fase di attento sviluppo. In particolare, l’idea è di ottimizzare il rapporto costi-efficienza prima di passare alla produzione su scala industriale. I risultati preliminari ottenuti sia in vitro, osservando la osso-induzione, che in vivo nelle applicazioni veterinarie, incentivano la prosecuzione dei trial clinici, col prospetto di poter indirizzare l’industria alla ricerca della nuova generazione di biomateriali ortopedici.
Fonte
- Wang, W., Ouyang, Y., & Poh, C. K. (2011). Orthopaedic implant technology: biomaterials from past to future.
Annals of the Academy of Medicine, Singapore - Yadav, D., Garg, R. K., Ahlawat, A., & Chhabra, D. (2020). 3D printable biomaterials for orthopedic implants: Solution for sustainable and circular economy.
Resources Policy - Tampieri, A., Ruffini, A., Ballardini, A., Montesi, M., Panseri, S., Salamanna, F., Fini, M., Sprio, S. (2019). Heterogeneous chemistry in the 3-D state: an original approach to generate bioactive, mechanically-competent bone scaffolds.
Biomaterials Science