La sindrome da burnout è una condizione (e non una malattia) i cui sintomi si manifestano attraverso un esaurimento emotivo, fisico e mentale a causa di stress lavorativo prolungato e mal gestito, in particolare, è tipica di professioni ad alta responsabilità relazionale (come medici, infermieri, insegnanti, assistenti sociali).
IN BREVE
La sindrome da burnout è la tortura al lavoro che molti vivono in silenzio, e non solo come una sensazione passeggera, infatti è stata classificata dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) come fenomeno occupazionale ma non come malattia. La definizione ufficiale che ne dà nell’ICD-11 (International Classification of Disease, 11ᵃ revisione) la descrive in quanto “sindrome concettualizzata come conseguenza di stress cronico sul posto di lavoro non gestito con successo.”
Tuttavia, sebbene la sindrome da burnout lavorativo è tipica delle professioni di cura che rappresentano quindi un modello di riferimento, è un concetto applicabile anche ad ambiti quali lo studio ma altri lavori e mansioni.
Modelli teorici: cos’è la sindrome da burnout?
Il primo a usare questo termine fu Herbert Freudenberger nel 1974 a seguito del suo studio di osservazione di sanitari e operatori volontari in una clinica gratuita a New York, dove notò una forma di esaurimento psicofisico legato all’impegno lavorativo continuato. Successivamente, partire dagli anni ’80, Christina Maslach sistematizzò il concetto in campo psicologico e scientifico identificando le tre dimensioni chiave della sindrome da burnout:
1. Esaurimento emotivo: mancanza di energie, difficoltà nel recupero e senso di vuoto.
2. Depersonalizzazione intesa come atteggiamento distaccato e freddo verso le persone con cui si entra in contatto.
3. Ridotta realizzazione personale: percezione di bassa autostima, inefficacia nelle attività svolte.
Da questa caratterizzazione è stato sviluppato il Maslach Burnout Inventory (MBI), cioè il primo strumento standardizzato per la misurazione del burnout occupazionale, che consiste in un questionario auto-somministrato con l’obiettivo di esaminare in modo indipendente i tre elementi distintivi sopracitati. Esistono altri diversi formati specifici per la valutazione della sindrome da burnout sia per gruppi professionali dediti ai servizi della persona sia in particolare specializzati per lo staff medico e gli educatori. Inoltre, un modello più descrittivo ma meno misurabile è quello di Freudenberger e North che si sviluppa invece in 12 fasi:
1. Spinta ossessiva a dimostrare il proprio valore
2. Lavorare fino allo sfinimento
3. Trascurare i propri bisogni
4. Senso di dislocamento (rimozione dei conflitti)
5. Revisioni dei valori
6. Negazione dei problemi emergenti
7. Ritiro sociale
8. Comportamenti devianti (cambiamenti nel comportamento)
9. Depersonalizzazione
10. Vuoto interiore
11. Depressione
12. Collasso mentale e fisico totale (burnout conclamato)
Altri modelli teorici includono quello di Evangelia Demerouti (2001) molto influente nella psicologia del lavoro, chiamato Job Demands-Resorces Model (JD-R Model), che distingue due tipi di fattori: gli aspetti che richiedono sforzo mentale o fisico duraturo e quelli che favoriscono la motivazione fungendo da supporto per gli effetti negativi. La differenza di questo modello risiede nel focus sulla motivazione e nel fatto che si dimostra flessibile e applicabile a qualsiasi lavoro.
Da altre impostazioni teoriche della psicologia dello stress deriva il concetto dello Stress-Strain-Coping (detto anche Transactional Model of Stress and Coping), in particolare dal modello di McGrath del 1970, che propose il costrutto consequenziale che, a partire dallo stimolo, attraverso percezione e riposta si giunge al coping, ossia l’insieme di strategie comportamentali e non solo di adattamento. Questa struttura inoltre sarà alla base degli sviluppi successivi.
Infine, è importante ricordare il modello sul processo di stress di Pearlin (1981) che ampliò includendo variabili come il supporto sociale, gli stressori cronici, le risorse personali e gli effetti sulla salute mentale. Ultimo, ma non per importanza, è il paradigma di Lazarus e Folkman (1984) che descrive il processo di stress individuando: fattori stressogeni, valutazione cognitiva, sforzo e strategie di fronteggiamento.
Cause, fattori di rischio e sintomi
Stabilire i fattori di rischio e le cause risulta di vitale importanza per la diagnosi e la prevenzione. A riguardo, è possibile definire la suddivisione in fattori individuali:
- Personalità (perfezionismo, tratti ansiosi, locus of control esterno);
- Stili di coping inadeguati (strategie comportamentali e cognitive messe in atto per gestire e ridurre lo stress);
- Scarsa resilienza o autoregolazione emotiva.
Dell’ambiente lavorativo:
- Sovraccarico di lavoro
- Mancanza di controllo/autonomia
- Ambiguità di ruolo
- Conflitti interpersonali
Ma anche organizzativi e sistemici:
- Cultura aziendale tossica
- Assenza di supporto dai superiori
- Aspettative irrealistiche
Dato il quadro multifattoriale della sindrome da burnout, si può affermare che i sintomi sembrano da correlare quindi ad abitudini disfunzionali costanti che si manifesterebbero poi in condizioni quali depressione, ansia, insonnia e abuso di sostanze generando di conseguenza in ambito lavorativo comportamenti come l’assenteismo, la marcata riduzione di produttività e il turnover. Infatti, per primo Fredenberger (1975) riassunse i segni del burnout includendo disperazione, affaticamento, noia, risentimento, disincanto, scoraggiamento, confusione, rapidità alla rabbia, irritazione istantanea, risposte di frustrazione, atteggiamento totalmente negativo, ecc.
Inoltre, questi sintomi e segni si riversano a domino nella sfera sociale ed economica: nella prima, impattando sulla qualità non solo del singolo ma anche della sua rete di relazioni e, nella seconda, per quanto concerne i costi e il ciclo produttivo legati.
Diagnosi e intervento
La diagnosi della sindrome da burnout si ottiene a partire dall’osservazione dei pazienti e dalla somministrazione di test di valutazione quali:
- Maslach Burnout Inventory (MBI) già descritto.
- Copenhagen Burnout Inventory (CBI) sviluppato da Kristensen e altri studiosi nel 2005, composto da 19 item dividi in tre sottoscale, gratuito, si usa in sostituzione al primo che invece è coperto da copyright e risulta un’ottima alternativa per la sua adattabilità e affidabilità psicometrica.
- Oldenburg Burnout Inventory (OLBI) elaborato nei primi anni 2000 da Demerouti e collaboratori, costituito da due scale di 8 item ciascuna sia positivi sia negativi al fine di ridurre i bias.
Le strategie di prevenzione e intervento abbracciano sia la sfera individuale sia quella organizzativa che coinvolge il singolo lavoratore. In primis, il trattamento di elezione risulta essere la psicoterapia, soprattutto la terapia cognitivo-comportamentale che allena all’autoconsapevolezza mirando a instaurare capacità di autoascolto fondamentali per la gestione emotiva. Di conseguenza, le conoscenze acquisite si trasformano in competenze da applicare nella quotidianità all’insegna dell’equilibro, anche tra vita privata e lavoro. Inoltre, trovano utilità anche le tecniche di gestione dello stress come la mindfulness.
A partire dal rapporto dell’individuo con se stesso nell’affrontare il possibile discomfort lavorativo, si allarga l’attenzione al rapporto con colleghi, dipendenti e collaboratori che richiede lo sviluppo di soft skills quali competenze relazionali e sociali che concorrerebbero a creare un clima cooperativo e sinergico. A tal fine, è essenziale che il lavoro personale sia accompagnato da un contesto in cui la leadership sia supportiva e operi attraverso una comunicazione efficace, offrendo inoltre a tutti i professionisti programmi di supporto psicologico. Quest’ultimo punto nello specifico dovrebbe prendere avvio da normative per il benessere psicosociale, politiche di promozione della salute mentale sul posto di lavoro e sorveglianza sanitaria periodica.
Un altro scopo fondamentale nel percorso di diagnosi è differenziare la sindrome da burnout da altre patologie e condizioni franche quali la depressione, lo stress acuto e la compassion fatigue.
L’emergenza che ci ha colpito nel 2020 con la pandemia da Coronavirus (COVID-19) è un esempio recente ed emblematico delle criticità di questa condizione e di come sia urgente e importante renderla oggetto di discussione e impegno attivo per prevenirla e affrontarla.
Fonte
- Staff Burn-Out. Herbert J. Freudenberger (1974).
Journal of Social Issues - Maslach Burnout Inventory. G. Kinman (2024).
Oxford University Press (OUP) - Burn-Out: The High Cost of High Achievement.Freudenberger, Herbert J. (with Geraldine Richelson) (1981).
TACD Journal - The job demands-resources model of burnout. Demerouti, E., Bakker, A. B., Nachreiner, F., & Schaufeli, W. B. (2001).
Journal of Applied Psychology - The Stress Process. earlin, Leonard I., et al. (1981).
Journal of Health and Social Behavior - Use of the Maslach Burnout Inventory Among Public Health Care Professionals: Scoping Review. Soares JP, Lopes RH, Mendonça PBS, Silva CRDV, Rodrigues CCFM, Castro JL. (2023).
JMIR Publications - Global prevalence of burnout symptoms among nurses: A systematic review and meta-analysis. T. Woo, R. Ho, A. Tang, W. Tam (2020).
Journal of Psychiatric Research - Coping Strategies of Healthcare Professionals with Burnout Syndrome: A Systematic Review. Maresca G, Corallo F, Catanese G, Formica C, Lo Buono V. (2022).
National Library of Medicine